Una battaglia dopo l’altra, il decimo film di Paul Thomas Anderson, aggancia lo spettatore già nel primo dei suoi 162 minuti, per non mollarlo più. Non appena il logo Warner Bros svanisce, infatti, ci ritroviamo immersi in un’audace operazione condotta da una cellula radicale in un centro di detenzione per migranti al confine tra Stati Uniti e Messico, che culmina con la liberazione dei migranti, l’immobilizzazione dei loro aguzzini e l’umiliazione sessuale dell’ufficiale di comando Steven Lockjaw (Sean Penn) da parte di un personaggio dal nome ancora più assurdo, Perfidia Beverly Hills (Teyana Taylor). Perfidia è legata a un’organizzazione terroristica di sinistra chiamata French 75, che svaligia banche e piazza bombe in nome di un programma piuttosto vago, basato sull’apertura dei confini, sul diritto all’aborto e sulla giustizia razziale. Del gruppo fanno parte anche il compagno di Perfidia, “Ghetto” Pat Calhoun (Leonardo DiCaprio) e una banda di ribelli sgangherati interpretati da Regina Hall, Wood Harris e Alana Haim.
Tutto questo è solo il preludio. Alla fine del primo atto, Perfidia ha voltato le spalle ai French 75 provocando la morte di alcuni compagni, mentre Pat e la piccola Charlene, figlia della coppia, si nascondono sotto i nomi falsi Bob e Willa Ferguson. Sedici anni dopo, comincia finalmente la caccia all’uomo che domina il film, con il rapimento dell’adolescente Willa (Chase Infiniti), la comparsa del magnetico Benicio del Toro nel ruolo di un istruttore di karatè che gestisce un nascondiglio per migranti, la minaccia di una società segreta di suprematisti bianchi simile al Ku klux klan e una serie di appassionanti inseguimenti in auto. Riassumere la trama del film è complicato e un po’ noioso, ma sullo schermo la storia scorre con un’intensità coinvolgente.
Pynchon popolare
Anderson, regista adorato dai cinefili, non aveva mai girato un film così popolare, per quanto possa sembrare assurdo definire “popolare” un lungo adattamento di un romanzo di Thomas Pynchon incentrato sulla violenza rivoluzionaria di sinistra contro uno stato di polizia razzista. Una battaglia dopo l’altra ha un notevole successo al botteghino e quasi certamente sarà il film del 2025 più elogiato dalla critica. Questo significa che qualcosa, nel film, tocca l’animo dello spettatore: la forza della generazione X, le scene d’azione propulsive, i deliri da alcol e marijuana o forse proprio la politica radicale. Per qualche misterioso motivo, comunque, sembra che un’opera epica rimasta in lavorazione per decenni sia precisamente il film più adatto per il contesto attuale.
La violenza politica di sinistra, o almeno quella immaginata come tale, è al centro dell’attenzione. Dopo l’omicidio dell’attivista conservatore Charlie Kirk, il 10 settembre, il consigliere di Trump, Stephen Miller, ha promesso di reprimere “le organizzazioni di sinistra che promuovono la violenza in questo paese”, senza presentare alcuna prova dell’effettiva esistenza di questi fantomatici gruppi. Il 22 settembre l’amministrazione Trump ha inserito il movimento antifascista (Antifa) nell’elenco delle organizzazioni terroriste nazionali, bollando il movimento come “organizzazione militarista e anarchica che invita esplicitamente a rovesciare il governo degli Stati Uniti, i vertici delle forze dell’ordine e il nostro stato di diritto”. E uno studio pubblicato pochi giorni dopo dal Center for strategic and international studies sostiene che nella prima metà del 2025, per la prima volta in trent’anni, gli attacchi compiuti da “estremisti di sinistra” sono stati più numerosi rispetto a quelli degli estremisti di destra.
Opzione violenta
Naturalmente anche le minacce di Trump contro la sinistra potrebbero essere considerate una manifestazione della violenza politica. E l’idea che il governo di Trump sia tirannico, oppressivo, aggressivo e senza controllo sembra diffusa. Eppure l’ipotesi che la sinistra possa non avere altra opzione per resistere se non quella di imbracciare le armi resta innominabile, tranne che negli ambienti più estremi. La sinistra organizzata e le reti di finanziatori che la sostengono, compreso lo spauracchio di Trump, la Open society foundations di George Soros, restano quasi categoricamente non violente.
In questo senso, nel contesto della reazione dei progressisti alla morte di Kirk, sorprende il gran numero di personaggi influenti che hanno sentito subito la necessità di rinnegare ogni violenza politica. “Una società libera si fonda sulla possibilità di partecipare alla politica senza temere la violenza”, ha scritto Ezra Klein in un articolo molto discusso pubblicato sul New York Times all’indomani dell’omicidio di Kirk, elogiato da Klein come “uno dei più efficaci artisti della persuasione della nostra epoca”.
Ultimamente il concetto della lotta armata contro un regime oppressivo ha prosperato soprattutto nel regno della finzione. Nel 2024, il film Civil war ha immaginato un paese devastato da una guerra tra diverse fazioni che non sembravano avere una chiara posizione ideologica, mentre Andor, acclamato spin-off di Star wars, ha presentato la violenza antifascista come un’azione meritevole e legittima. In altre parole la violenza politica va benissimo per la fantascienza, ma non è un’ipotesi che i leader progressisti sono pronti a sostenere nel mondo reale.
Pur non essendo un’opera di fantascienza in senso stretto, Una battaglia dopo l’altra ci regala l’ultima manifestazione cinematografica di una sinistra immaginaria disposta a resistere all’oppressione con ogni mezzo. Per questo ha molto senso che i ribelli di Anderson costituiscano una sorta di ritorno al passato. Nell’occidente sviluppato l’ultimo periodo di grande violenza di sinistra risale infatti a una sessantina di anni fa, nell’epoca segnata dalla Rote armee fraktion nella Germania Ovest, dal Provisional irish republican army in Irlanda del Nord e dei Weather underground negli Stati Uniti. L’organizzazione statunitense, il cui impatto sull’immaginario popolare è sproporzionato rispetto alle sue dimensioni e alla sua influenza reale, è una chiara fonte d’ispirazione per i French 75.
Anderson ha ammesso che il suo film, a cui ha lavorato per vent’anni, è basato molto liberamente su Vineland, pubblicato da Pynchon nel 1990, ambientato principalmente al tempo di Ronald Reagan e incentrato su un gruppo di ex hippy radicali il cui apice dell’impegno politico coincide grosso modo con quello dei Weather underground. L’intellighenzia occidentale degli anni sessanta e settanta aveva flirtato spesso con i movimenti più radicali. The New York Review of Books, per esempio, pubblicò il diagramma di una bottiglia molotov sulla copertina del numero del 24 agosto 1967, mentre Leonard Bernstein ospitò le Black panthers a una cena di gala nel 1970, poi immortalata nel saggio Radical chic di Tom Wolf. Lo stesso discorso vale per il successo della Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo (1966) che Leonardo DiCaprio guarda in tv in una scena del film.
Sul piano estetico i French 75 non ricordano tanto i Weather underground quanto l’immagine complottista dei “supersoldati Antifa”
Una delle tante differenze tra la pellicola e Vineland è che la storia di Una battaglia dopo l’altra sembra ambientata nel presente, anche se i personaggi non fanno mai riferimento al presidente in carica, all’anno in corso o a qualsiasi evento specifico del mondo reale. Se la seconda parte del film vuole rappresentare l’America del 2025, allora la prima parte dovrebbe riferirsi più o meno al 2009, all’inizio della presidenza Obama, non certo un periodo ricordato per gli attacchi dei gruppi di sinistra ai centri di detenzione per i migranti. Di contro, nella sua descrizione della repressione statale di destra e soprattutto nella magistrale interpretazione di Sean Penn come suprematista bianco indeciso e ridicolo (che però risulta comunque terrificante, forse proprio a causa delle sue comiche debolezze), Una battaglia dopo l’altra evoca palesemente l’amministrazione attuale, pur essendo stato scritto e girato prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca.
Estremismo del presente
La parte meno credibile è quella che mostra l’esistenza di un gruppo rivoluzionario di sinistra impegnato in azioni antigovernative. Sul piano estetico i French 75 non ricordano tanto i Weather underground quanto l’immagine dei “supersoldati Antifa”, costruita dalla destra complottista, proiettata nel passato. I militanti del film non incarnano la nostalgia per un’epoca passata, ma un’ipotesi di come potrebbe essere un estremismo del presente, se davvero esistesse. L’organizzazione descritta da Anderson è infatti multirazziale e multigenerazionale, comunica attraverso parole codificate e radiofari e gestisce rifugi sicuri in comunità solidali. Gran parte della violenza è di disturbo più che letale, anche se esistono alcune eccezioni. Nelle azioni dei French 75 emergono una certa gioia e un certo cameratismo. Fanno sembrare spassosa la lotta al fascismo, fino a quando la situazione, inevitabilmente, precipita. Nella sala dove ho visto il film, il pubblico rideva e applaudiva. In un primo momento è stato così anche per me. Poi, considerando l’attualità delle immagini delle famiglie di migranti separate e torturate dagli agenti federali, ho pensato che forse la mia era una reazione fuori luogo.
Le azioni spettacolari dei French 75 sono abbastanza inverosimili (almeno per il momento) da funzionare bene come intrattenimento sul grande schermo, ma la ferrovia sotterranea per migranti organizzata di Benicio del Toro costituisce un modello più plausibile di resistenza al fascismo. Al piano di sopra di un negozio insospettabile, Sensei/del Toro conduce Bob/DiCaprio attraverso un rifugio improvvisato dove le famiglie sono apparentemente addestrate per rispondere a eventuali raid delle forze dell’ordine. Diversamente dagli altri esponenti dei French 75, Sensei parla spagnolo, conosce i nomi delle persone che aiuta e cerca di costruire una comunità solida. In questa parte del film vediamo lavoratori comuni che vorrebbero solo vivere in pace in un paese dove le forze armate usano regolarmente la violenza contro di loro. La resistenza, per loro, non è una scelta estetica né ricerca del brivido, e nemmeno il rifiuto delle norme sociali, ma una questione di sopravvivenza basata sulla collaborazione, la fiducia reciproca e una serie di procedure segrete ideate per tenere tutti al sicuro. Del resto la maggioranza delle persone, di solito, non aspira a un’esistenza elettrizzante in cui rischia la pelle in ogni momento, ma vorrebbe solo capire come costruire comunità in grado di difendere se stesse.
Fallimento e redenzione
Questo è uno dei messaggi più utili del film, in forte contrasto con la visione pessimistica che emerge nell’altro grande film recente sull’America degli ultimi anni, Eddington di Ari Aster, in cui sia la destra sia la sinistra scivolano in una pazzia algoritmica all’interno di un tessuto sociale sempre più logoro. Il nucleo emotivo di Una battaglia dopo l’altra è il rapporto padre-figlia tra Bob (quasi sempre ubriaco e/o fatto, ma ben intenzionato) e la coraggiosa e determinata Willa. Questo legame, evidentemente, conferisce un peso morale alla sequenza dell’inseguimento: per Anderson i rapporti sociali e l’amore familiare sono ancora importanti e vale la pena lottare per difenderli.
Come accade nel film, anche nel mondo di oggi la sinistra antifascista ha un compito proibitivo. Di recente Ezra Klein ha chiesto a Ta-Nehisi Coates di spiegare perché i progressisti stanno perdendo la battaglia. “Stiamo perdendo perché ci sono sempre momenti in cui perdiamo”, ha risposto Coates. Accusato di fatalismo da Klein, Coates ha sottolineato che intere generazioni di suoi antenati hanno combattuto senza successo contro la schiavitù e sono “morte nella sconfitta e nell’oscurità. Non è detto che le cose andranno meglio durante la mia vita, ma io devo comunque portare il contributo che mi spetta, fare la mia parte”.
Coates avrebbe potuto citare Una battaglia dopo l’altra, il cui titolo e la cui storia implicano una conclusione simile: il fallimento di una generazione nella lotta contro il fascismo può diventare un’opportunità di redenzione per la generazione successiva, o per le altre che la seguiranno, una battaglia dopo l’altra. Non è una grande consolazione, ma nelle circostanze attuali è la lettura onesta e positiva più autentica. ◆ as
Iscriviti a Schermi
|
Cosa vedere al cinema e in "tv". A cura di Piero Zardo. Ogni giovedì.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Schermi
|
Iscriviti |
Cosa vedere al cinema e in "tv". A cura di Piero Zardo. Ogni giovedì.
|
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati