Tre giorni di “dialogo costruttivo” e una sigla sono bastati per riportare sui binari l’accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo (Rdc) e il Ruanda, la cui firma è prevista il 27 giugno a Washington. Dopo settimane di indugi gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per imporre quella data. Il progetto provvisorio di accordo – discusso dagli inviati congolesi e ruandesi sotto la supervisione di Allison Hooker, sottosegretaria di stato agli affari politici – dovrà essere firmato dai ministri degli esteri di Kinshasa e Kigali davanti a Marco Rubio, il capo della diplomazia statunitense.
Le pressioni di Washington sono arrivate in un momento in cui le speranze di un’intesa sembravano svanite. Dopo la dichiarazione di princìpi firmata a fine aprile, il Ruanda aveva inviato messaggi contrastanti. Il suo ministro degli esteri, Olivier Nduhungirehe, aveva dichiarato al quotidiano La Libre Belgique che serviva “pazienza per arrivare a un accordo definitivo”. Inoltre Kigali aveva chiesto che prima si concludessero i negoziati di Doha, in Qatar, tra il governo congolese e i ribelli del Movimento 23 marzo (M23) e il loro braccio politico, l’Alleanza del fiume Congo (Afc). Washington, però, è riuscita ad accelerare i tempi, visto che a Doha i negoziati sono fermi.
Il testo preliminare del futuro accordo non è rivoluzionario e ripropone tutte le clausole delle precedenti bozze che non sono mai state messe in atto: il “rispetto dell’integrità territoriale dei paesi, la fine delle ostilità, il disimpegno, il disarmo e l’integrazione condizionata dei gruppi armati non statali, la facilitazione del ritorno di rifugiati e sfollati, l’ingresso degli aiuti umanitari” e la creazione di un “quadro d’integrazione economica regionale”.
Un’offerta gradita
Sarà la volta buona? Dalla ripresa dei combattimenti tra l’M23 e l’esercito congolese alla fine del 2021, tregue e cessate il fuoco non sono mai stati rispettati. Oggi, nonostante l’imprevedibilità del presidente Donald Trump, Washington cerca a tutti i costi una vittoria diplomatica nei Grandi laghi. Inoltre l’offerta di Kinshasa di “sicurezza in cambio di minerali” è stata molto apprezzata dagli statunitensi.
La prospettiva di un accordo con il Ruanda è un’ottima notizia per il presidente congolese Félix Tshisekedi. Dopo aver esaurito, senza successo, tutte le opzioni militari potrebbe finalmente assaporare una vittoria diplomatica. La firma gli darà un po’ di tregua dopo quattro anni di cattive notizie dall’est del paese. Sul piano interno potrà rilanciare l’idea di formare un governo di unità nazionale con alcuni leader dell’opposizione.
Anche l’iniziativa lanciata dalle chiese cattolica e protestante (che il 21 giugno hanno consegnato al presidente il rapporto di tre mesi di consultazioni su come raggiungere la pace sociale in Rdc) potrebbe consolidare il potere di Tshisekedi, che finora era indebolito dai fallimenti contro il gruppo armato M23.
Firmando un accordo con Kigali senza prima negoziare con i ribelli, Kinshasa spera di togliere un alleato all’M23. Secondo le Nazioni Unite i ribelli sono sostenuti dall’esercito ruandese, che ha inviato almeno quattromila soldati in territorio congolese, anche se Kigali nega.
Nel 2013, durante la prima ribellione dell’M23, il ritiro ruandese fu sufficiente a far implodere il gruppo. Washington, e soprattutto Kinshasa, sperano di ripetere quello stesso scenario, ma oggi la situazione è diversa. L’M23 occupa da mesi territori molto vasti, tra cui due capoluoghi di provincia, Goma e Bukavu, e le principali vie di comunicazione della zona. La milizia amministra quei territori e recluta nuovi combattenti. Nel 2013 occupò Goma solo per una decina di giorni.
◆ Il 20 giugno 2025 le autorità ruandesi hanno arrestato la leader dell’opposizione Victoire Ingabire con l’accusa di aver alimentato disordini e di aver creato un’organizzazione criminali. Secondo i suoi avvocati sono accuse motivate politicamente. Ingabire guida una formazione dell’opposizione non regolarmente registrata. In un articolo su Al Jazeera, l’oppositrice ruandese esprime sostegno per il processo di pace tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo (Rdc) promosso dagli Stati Uniti ma ritiene che debba essere accompagnato da un accordo sulla gestione condivisa delle risorse minerarie di quella regione, perché “non ci sono dubbi che il commercio illegale di minerali abbia alimentato i conflitti nell’est dell’Rdc”.
La situazione nell’est dell’Rdc è quindi tutt’altro che risolta. Per riportare la pace, bisognerà ascoltare anche l’M23, che ha rivisto le sue richieste al rialzo prima dell’incontro delle delegazioni in Qatar l’11 giugno. All’interno del gruppo si parla apertamente di una sorta di “autonomia” per le aree che controlla.
Sarà sufficiente un accordo di pace per ridare all’Rdc l’integrità territoriale e una parvenza di pace? Ci sono due correnti di pensiero. La prima è che l’M23 sia semplicemente il braccio armato del Ruanda e che segua gli ordini di Kigali. La seconda pensa che la milizia abbia ormai un certo grado di autonomia e sia stata rafforzata dalle conquiste di Goma e Bukavu.
Influenzare l’alleato
Entrambi i modi di vedere le cose evidenziano l’ambiguità del movimento, che è fedele a Kigali ma ha un margine di manovra ampio. L’M23 è diventato più “congolese” dopo che ha inglobato il movimento politico Afc di Corneille Nangaa, l’ex presidente della commissione elettorale. Inoltre, la presenza a Goma dell’ex presidente Joseph Kabila ha dimostrato che la crisi nell’est è anche una crisi politica interna. Parte della risoluzione del conflitto dipenderà dalla capacità di Washington di influenzare il Ruanda, e da quella del Ruanda di influenzare l’M23. Kigali in ogni caso potrebbe ritirare le truppe dall’Rdc, dissociandosi da quello che l’M23 fa sul campo. ◆ adg
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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati