Due immagini speculari e due storie che s’intrecciano rendono l’idea delle luci e ombre della monarchia marocchina oggi. La prima scena risale al 7 giugno 2025, in occasione della preghiera dell’Eid al adha (la festa del sacrificio), nella moschea di Tétouan, nel nord del regno. Con la djellaba giallo chiaro e il fez rosso, il re Mohammed VI è seduto su uno sgabello rivestito di cuoio. Sul suo volto traspare la fatica, mentre tutti intorno a lui invocano Allah prostrandosi. Il sovrano, 62 anni, non sembra in grado di fare lo stesso sforzo, accentuando così le preoccupazioni già forti sul suo stato di salute.

Più di due settimane dopo la scena cambia radicalmente. Sui social media circola un video del re in costume da bagno a bordo di una moto d’acqua a Cabo Negro, una località balneare vicino a Tétouan, circondato da uno sciame di imbarcazioni con le sue guardie del corpo. Il re alza timidamente la mano verso i connazionali che lo acclamano dalla costa. Il suo atteggiamento è ancora impacciato, ma un re capace di pilotare un veicolo simile non può essere troppo sofferente. Di colpo la paura causata dalla situazione precedente sembra dissiparsi.

Queste due scene riassumono perfettamente il processo di transizione che sta vivendo il Marocco: il re è fisicamente fragile, e questo è confermato anche da altre foto; tuttavia per ora l’indebolimento non sembra intaccare la sua serenità come timoniere del regno. O almeno questo è il messaggio ufficiale, che viene rielaborato e ripetuto alla nausea. E a chi continua a preoccuparsi, si fa notare che il futuro re, anche se non è ancora pronto, si sta già abituando a comandare e a partecipare alla vita pubblica, nel rispetto delle antiche tradizioni del regno. Le stesse che dal seicento assicurano alla dinastia alawita una longevità che è un motivo di orgoglio per il paese.

Da due anni tutte le attenzioni si concentrano sul figlio primogenito Moulay (principe) Hassan, 22 anni, l’erede al trono. Questo giovane slanciato si è appena laureato a Rabat, dove ha studiato anche il cinese. Alla fine del novembre 2024 ha rappresentato il padre in un incontro a Casablanca con Xi Jinping, il presidente cinese, che aveva fatto scalo in Marocco nel suo viaggio di ritorno dal vertice del G20 in Brasile.

L’incontro tra il principe e uno degli uomini più potenti del mondo davanti a un vassoio di tè e dolci è stato un momento di svolta. “Moulay Hassan insieme ai grandi”, titolava la rivista Maroc Hebdo, che vedeva nell’evento il “battesimo del fuoco del futuro monarca”.

La consacrazione si sta svolgendo seguendo le tradizioni: il 31 luglio il principe ha ricevuto ufficialmente la nomina a colonnello-maggiore e presto gli sarà attribuito il titolo di coordinatore dell’ufficio e dei servizi dello stato maggiore delle forze armate. Suo padre aveva la stessa età quando nel 1985 ereditò questi titoli e queste funzioni.

Ma l’affermazione internazionale è un’altra cosa. Finora per Hassan la frequentazione dei capi di stato stranieri si è limitata al colloquio con Xi. Durante la cerimonia di riapertura della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, alla fine del 2024, Mohammed VI si è fatto rappresentare dal fratello Rachid, mentre ai funerali di papa Francesco a Roma ha inviato il primo ministro Aziz Akhannouch. Alla Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani organizzata a giugno a Nizza ha partecipato una delle sorelle del re, Lalla (principessa) Hasnaa.

“Con una messa in scena curata nei minimi dettagli si cerca di non mandare dei segnali che rischiano di essere interpretati come un passaggio di testimone tra re Mohammed VI e il figlio”, osserva un diplomatico occidentale che lavora a Rabat. “La transizione non è ancora cominciata, anche se tutti ci stanno già pensando”.

In un limbo

Questo è un problema per un paese che ha davanti a sé enormi sfide socioeconomiche, come l’esodo dalle campagne accelerato dalla scarsità d’acqua, la disoccupazione giovanile, la polarizzazione sociale: tutte sfide che richiedono un governo dinamico.

Per quanto sia meticolosa, la “messa in scena” ufficiale fatica però a dissipare la nebbia politica che circonda la transizione, che non viene ammessa né accettata.

“Il re non abdicherà malgrado la sua malattia”, dice una fonte che conosce bene i segreti del makhzen, il sistema di potere in Marocco e, per estensione, il palazzo reale. Mohammed VI continua ad avere il controllo e tutti devono saperlo. Si moltiplicano quindi i comunicati sugli impegni di “sua maestà Mohammed VI, Amir al muminin (comandante dei credenti), che Dio l’assista e lo benedica”: la partecipazione come presidente a un consiglio dei ministri, il ricevimento di wali (prefetti) o di ambasciatori, i messaggi di condoglianze alle famiglie di defunti illustri o gli auguri in occasione delle feste nazionali, le grazie reali concesse ai condannati e così via.

Ma è difficile non sospettare che dietro questa frenesia protocollare non ci sia il tentativo di mascherare un vuoto al vertice, nato dalle ripetute assenze del re in questi ultimi anni. Assenze non sempre dovute a motivi di salute. Le sue lunghe fughe a Parigi, a Dubai, alle Seychelles, a Zanzibar o in Gabon hanno testimoniato soprattutto un distacco, se non proprio una stanchezza, nei confronti delle sue responsabilità. Alla fine anche i suoi più fedeli consiglieri hanno finito per preoccuparsi.

Questa distanza dal trono risale già agli anni ottanta e novanta, quando Mohammed VI faceva i primi passi da principe, all’ombra del padre Hassan II (1929-1999). Il giornalista spagnolo Ferran Sales Aige nel 2009 gli aveva dedicato una biografia intitolata Mohamed VI: el príncipe que no quería ser rey (Mohammed VI, il principe che non voleva essere re).

Di nuovo sotto i riflettori

L’organizzazione dell’operazione “ritorno del re” – come l’ha definita il giornalista marocchino Omar Brouksy – si può far risalire alla primavera del 2023. Quell’anno una lunga inchiesta dell’Economist intitolata “Il mistero del re disperso del Marocco” aveva causato un terremoto all’interno della classe dirigente del paese. L’articolo raccontava in modo dettagliato l’influenza crescente esercitata sul sovrano da Abu Bakr Azaitar, un campione di arti marziali miste (Mma). Il re l’aveva incontrato nel 2018 a un ricevimento a palazzo reale per celebrare i suoi successi internazionali. “Fu un colpo di fulmine”, osserva una persona vicina al re. Mohammed VI aveva subito invitato Azaitar a unirsi a lui alla preghiera del venerdì.

Tra il sovrano e il pugile tedesco-marocchino, proveniente dalla diaspora della regione marocchina del Rif a Colonia, in Germania, era nato un rapporto personale stretto. In breve tempo si erano uniti il fratello Ottman, anche lui campione di Mma; il gemello di Abu Bakr, Omar, che faceva il manager degli altri due; e il padre, imam di una moschea in Germania, diventato poi il muezzin della moschea del palazzo reale.

Re Mohammed VI (con il bastone), i figli Hassan e Khadija, e il fratello Rachid (a destra) a Rabat, il 28 ottobre 2024 (Ludovic Marin, Afp/Getty)

“Con i suoi nuovi amici il re si sente più rilassato”, spiegava una fonte vicina alla monarchia. “Aveva bisogno di voltare pagina dopo il divorzio del 2018. Con gli Azaitar può concedersi più leggerezza, non deve sempre pensare alle preoccupazioni e alle responsabilità. Inoltre l’hanno convinto a fare sport e questo gli ha giovato”.

Queste frequentazioni, però, non erano ben viste. L’élite marocchina era indignata dalla presenza di questi fratelli dalle maniere rozze e dalla fedina penale non proprio immacolata in Germania, almeno secondo alcuni giornali tedeschi. Gli Azaitar si mostravano sui social media a fianco di Mohammed VI, o sotto il suo ritratto, esibendo bicipiti gonfi, orologi di lusso e auto fiammanti (Ferrari, Bentley, Rolls Royce), tutti doni del loro amico sovrano.

Tuttavia, agli occhi della vecchia guardia, la cosa peggiore era che interferivano nella gestione del potere, arrivando talvolta a filtrare l’accesso al re. Secondo alcuni resoconti, Omar Azaitar rispondeva alle telefonate destinate al re e decideva se era il caso di disturbarlo, a seconda di quanto era stanco o impegnato. Uno dei due fratelli aveva interrotto un colloquio tra Mohammed VI, il fratello Moulay Rachid e il cugino Moulay Ismail con la scusa che il re doveva ritirarsi.

Tra i frequentatori del palazzo reale circolava un aneddoto in particolare. Un giorno Abu Bakr Azaitar aveva perso il suo cane di piccola taglia in un parco di Rabat. Era introvabile. Abu Bakr, con il consenso reale, ne aveva parlato con Abdellatif Hammouchi, il noto direttore generale dei servizi di sicurezza interni, ordinandogli di mobilitare i suoi uomini per ritrovarlo. Hammouchi aveva dovuto obbedire.

Non era servito altro per spingere i custodi del makhzen a lanciare un attacco contro gli Azaitar attraverso il sito Hespress. I “danni” causati da “sordidi personaggi” in piena “ascesa ai vertici del potere” sono “bombe a orologeria che finiranno per esplodergli in faccia”, si leggeva in un articolo del luglio 2021. “Non esistono principi al di fuori della famiglia reale”, aggiungeva. “Abu [Bakr] Azaitar dovrebbe leggere la storia di Rasputin”.

la famiglia reale a Rabat, nel 2014: da sinistra, Mohammed VI, Hassan, il principe Rachid e la moglie Oum Kalthum, le principesse Salma, allora moglie del re, e Khadija. (Moroccan royal palace/Afp)

Questi avvertimenti non avevano avuto conseguenze perché venivano da siti come Hespress o Barlamane, legati allo “stato profondo”. Mohammed VI li aveva verosimilmente ignorati e aveva lasciato che i suoi nuovi amici si vantassero liberamente della loro amicizia.

L’articolo dell’Economist, invece, ha dato un carattere internazionale a quel disagio. L’autore, Nicolas Pelham, era stato corrispondente a Rabat negli anni duemila e aveva mantenuto rapporti con l’élite marocchina. La questione, ormai di dominio internazionale, aveva cambiato natura.

La reputazione della monarchia all’estero era in discussione e si doveva intervenire. Questo ha portato al “ritorno del re” nella primavera dello stesso anno e all’esibizione delle sue attività, intensificata dopo il terribile terremoto che ha colpito il Marocco nel settembre 2023. Durante il sisma il sovrano si trovava all’estero ed era intervenuto in ritardo.

Anche se Mohammed VI continua a frequentare gli Azaitar, i fratelli sono stati progressivamente cancellati dai social media. Intanto altri amici si sono uniti all’allegra brigata. Il nuovo favorito del re ora è Yussef Kaddur, anche lui campione di Mma, originario dell’enclave spagnola di Melilla. Kaddur segue il monarca ovunque, ma è molto discreto, non ha mai pubblicato nulla sui social e la sua famiglia non mostra di essersi arricchita. All’inizio del 2025 è stato visto insieme al re in un centro commerciale ad Abu Dhabi.

Un ritratto di famiglia

Per contrastare le dicerie e la cattiva pubblicità, la famiglia reale marocchina è presentata come molto unita e impegnata nel lavoro. A fianco del principe Hassan sta emergendo anche la sorella Khadija, 18 anni. Non è passata inosservata la sua partecipazione a una cena a Rabat alla fine dell’ottobre 2024, in onore del presidente francese Emmanuel Macron.

il principe Hassan a Parigi nel 2019. (Julien Mattia, Anadolu/Getty)

Tre settimane dopo, Khadija è comparsa di nuovo insieme al padre e al fratello a Parigi. La loro passeggiata è stata ripresa da Point de Vue, rivista specializzata in notizie sulla famiglia reale. Le foto sembravano voler trasmettere un senso di armonia: Mohammed VI, in jeans e scarpe da ginnastica, aggiusta delicatamente la sciarpa sulla spalla di Khadija, mentre in un altro scatto Hassan fa un selfie del gruppetto. Tutte immagini che avevano poco di spontaneo.

Nell’idilliaco ritratto di famiglia c’è una grande assente, la madre dei ragazzi ed ex moglie del re: Lalla Salma, scomparsa dall’iconografia ufficiale dopo un difficile divorzio nel 2018. Nessuno sa esattamente i motivi della separazione. Sembra che lei gli rimproverasse di disinteressarsi dell’educazione dei figli.

Le sorelle del re, Meryem, Asma e Hasnaa, hanno dimostrato apertamente la loro antipatia verso la cognata, una donna della borghesia di Fès, laureata in ingegneria, bella e dal carattere forte. Dopo il divorzio Salma è stata obbligata a una grande discrezione. La sua prima uscita ufficiale è stata solo nell’estate del 2024, accanto al figlio per le strade dell’isola greca di Mykonos.

Salma è oggi l’“innominabile” della transizione, in altre parole una fonte di imbarazzo. Molto vicina al principe ereditario, che vive con lei a Rabat, sarà costretta a riapparire ufficialmente dopo che il figlio sarà incoronato. E il suo ritorno provocherà degli scossoni nelle alte sfere, visto che Salma è stata trattata molto duramente ai tempi della separazione. L’onda d’urto rischia di propagarsi e di coinvolgere tutti quelli che hanno contribuito alle campagne denigratorie di Salma. A Rabat e a Casablanca si mormora che il futuro re non sarà molto tollerante con chi ha organizzato o ha partecipato a quel complotto. Le speculazioni sono premature – per ora s’ignora tutto sulle sue intenzioni – ma sono coerenti con una logica che vede un inevitabile ricambio della squadra dei consiglieri reali a ogni successione. Nel 1999, quando Mohammed VI salì al trono, si sbarazzò di alcuni fedeli collaboratori del padre, tra cui il potente ministro dell’interno Driss Basri.

Da qui la trepidazione che già si è impadronita della classe dirigente marocchina, dove alcuni si preoccupano di mantenere le loro posizioni, mentre altri cercano di conquistare nuovo potere. Contrasti, lotte e colpi bassi rendono il clima ancora più pesante. “Un’atmosfera da fine regno soffocante”, osserva un imprenditore di Casablanca.

Uno dei segni più interessanti di questo nervosismo è la campagna contro Mostafa Terrab, l’amministratore delegato dell’azienda pubblica Office chérifien des phosphates (Ocp), leader nella produzione mondiale di fosfati. Un articolo molto duro uscito a giugno sul giornale online Le360 (controllato da Mounir Majidi, segretario personale di Mohammed VI e amministratore del patrimonio reale) critica la hybris di Terrab, accusandolo di aver trasformato l’Ocp in un suo “giocattolo”, segno di una “preoccupante deriva personalistica”.

Ma come va letta la critica di un fedelissimo del re contro un’eminenza degli affari, che tra l’altro sostiene gli studi del principe Hassan al politecnico Mohammed VI, un ateneo finanziato dall’Ocp? Probabilmente qualcuno teme l’influenza di Terrab al momento della successione, e questo lo rende un uomo molto potente che già adesso va contrastato. Ma sono solo ipotesi. In ogni modo l’episodio rivela che l’atmosfera è carica di tensione e le linee di forza si stanno ridefinendo.

La situazione si è ulteriormente aggravata nella primavera del 2025 dopo i preoccupanti attacchi informatici a diversi enti pubblici (previdenza sociale, catasto e altri ancora), che hanno sottratto una grande quantità di informazioni sugli stipendi o sulle transazioni immobiliari di centinaia di migliaia di marocchini. Questo hackeraggio su vasta scala è stato rivendicato dall’enigmatico gruppo JabaRoot DZ, nel cui nome sembra esserci un riferimento all’Algeria (DZ). Ma questo non basta a svelare il mistero, e alcuni osservatori non escludono che sia stata un’operazione interna marocchina.

La diffusione di dati compromettenti su alti funzionari del regno – come Majidi, Yassine Mansouri (capo dei servizi segreti per l’estero) o il ministro degli esteri Nasser Bourita – ha mostrato gli enormi privilegi dell’élite, aumentando le tensioni.

Le ultime azioni di JabaRoot (che ormai si firma senza il suffisso DZ) sono state ancora più preoccupanti: gli hacker hanno rivelato l’enorme patrimonio immobiliare di Mohamed Raji, un importante uomo dei servizi segreti interni esperto nell’acquisto di software di spionaggio. Raji era stato richiamato dalla pensione per aiutare il re a risolvere i problemi legati al caso dei fratelli Azaitar.

Le reazioni
Silenzio e articoli compiacenti

◆ La serie di articoli pubblicati da Le Monde sulla famiglia reale del Marocco ha scatenato reazioni durissime nel paese, rivelando le tensioni profonde tra due concezioni del giornalismo e del potere. Il 27 agosto l’associazione nazionale dei mezzi d’informazione e degli editori marocchini ha pubblicato un comunicato che denuncia “un mucchio di frottole”, accusando Le Monde di aver pubblicato “pettegolezzi”, senza citare fonti e parlando di episodi inventati. Questa smentita in blocco, senza sfumature né analisi, è indice del trauma causato dall’inchiesta. La casa reale si è chiusa nel silenzio: nessun comunicato e nessuna reazione formale. Una strategia in contrasto con la mobilitazione giornalistica organizzata dietro le quinte, che ricorda la massima usata da Hassan II (il padre dell’attuale re), “i cani abbaiano, ma la carovana passa”. Dal silenzio istituzionale emerge anche un dilemma: commentare significherebbe legittimare le accuse; non farlo permette di liquidarle come gossip.

Giornali e siti marocchini si sono affrettati a difendere la monarchia usando sempre gli stessi argomenti: l’incapacità occidentale di capire il Marocco, l’invidia verso i suoi successi, la manipolazione operata da forze ostili. Il sito Hespress, che conta milioni di visitatori ogni giorno, ha parlato della “resilienza silenziosa di Mohammed VI”, notando che Le Monde usa “una griglia di lettura occidentale” inadatta alla realtà marocchina. Le360, sito di proprietà del premier e miliardario Aziz Akhannouch, ha ribattuto elencando i successi del re, come l’inaugurazione di porti, linee ferroviarie ad alta velocità e centrali per l’energia solare. Ali Attar, Afrik.com


Questa situazione complicata è aggravata da un’economia in cui dilaga un affarismo senza scrupoli. Negli ultimi anni in Marocco si è affermato un gruppo di oligarchi decisi ad arricchirsi con le connivenze politiche sfruttando un sistema capitalistico parassitario.

Aziz Akhannouch, capo del governo e uomo più ricco del paese, è l’esempio più evidente. Nel 2024 il suo gruppo Akwa (un colosso che si occupa di distribuzione di idrocarburi, immobili, mezzi d’informazione, energie rinnovabili e altro ancora) ha ottenuto la gestione della desalinizzazione dell’acqua di Casablanca in condizioni che alcuni considerano un “conflitto d’interessi”. Definizione che Akhannouch contesta.

Bulimia finanziaria

Ai vertici le cose vanno allo stesso modo. La Siger, la holding personale di re Mohammed VI, ha diramazioni che vanno dal settore bancario, alla telefonia mobile, passando per l’agroalimentare e le energie rinnovabili. A maggio è stata firmata un’importante collaborazione da circa 12 miliardi di euro tra la Taqa (il gigante dell’energia degli Emirati Arabi Uniti) e alcune aziende marocchine – come la Nareva (la filiale per l’energia della holding reale) che conferisce una dimensione quasi vertiginosa al mescolarsi di politica e affari. Mentre il patrimonio reale continua a crescere e a consolidarsi, sembra sgretolarsi l’immagine di Mohammed come “re dei poveri”, sensibile alle rimostranze del popolo, come lui voleva apparire all’inizio.

In ogni caso la bulimia finanziaria del sovrano non sembra intaccare la sua popolarità. Al contrario, le voci sulle sue condizioni di salute hanno suscitato compassione tra i marocchini. Il malcontento si concentra sulle disuguaglianze sociali e sulla corruzione – basta ascoltare i cori dei tifosi negli stadi – ma risparmia il re, in virtù della massima che dipinge il califfo come virtuoso e i visir corrotti. Così, facendo leva sulla sacralità del monarca, intoccabile nonostante le sue mancanze, il popolo concentra le rimostranze su Akhannouch. I mezzi d’informazione controllati dal palazzo reale si sono impegnati in questa manovra per sviare l’attenzione. Il sito Le360, barometro delle strategie usate per proteggere la monarchia, ha pubblicato articoli degni di una stampa di opposizione, criticando un “apparato statale in ostaggio di un esecutivo assente”, di un “governo ridotto a un guscio vuoto”.

Dopo la festa

In realtà il primo ministro è un protetto di Mohammed VI, che alle elezioni politiche del 2021 aveva fatto affidamento su di lui per allontanare gli islamisti del Partito della giustizia e dello sviluppo. Un compito che Akhannouch aveva portato a termine con successo grazie a una costosa campagna elettorale. E nonostante le critiche, ora è di nuovo in corsa per le elezioni del 2026, con il consenso reale.

La transizione esaspera questo cinico gioco di sponda, ma è prematuro vedere i segni di una futura crisi di regime: i piccoli omicidi tra amici non fanno una rivoluzione. L’attaccamento della popolazione e l’ascesa di un nazionalismo spregiudicato sono una solida rete di sicurezza. Il palazzo reale ne approfitta, esibendo i risultati ottenuti dalla sua diplomazia, che punta al riconoscimento della sovranità marocchina del Sahara occidentale a scapito della rivale Algeria, additata come nemico della nazione. Inoltre la prospettiva dei Mondiali di calcio del 2030 – che il Marocco ospiterà insieme alla Spagna e al Portogallo – apre un orizzonte positivo.

Ma dopo cosa succederà? Finite le feste e le celebrazioni il Marocco rischia di ritrovarsi di fronte ai suoi vecchi problemi, alle fratture sociali e regionali, e a un’oligarchia affaristica aggressiva e incline a sovvertire lo stato. Quando arriverà il momento dei bilanci, le luci e le ombre del regno di Mohammed VI – modernizzatore timido e riformatore inconcludente – diventeranno ancora più nette. ◆ adr

Christophe Ayad è un giornalista di Le Monde esperto di mondo arabo e di terrorismo. Frédéric Bobin è il corrispondente di Le Monde dal Nordafrica.

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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati