Nel 2011 Hayahisa Tomiyasu aveva 29 anni. Dopo aver studiato fotografia al politecnico di Tokyo, aveva deciso d’iscriversi all’accademia di belle arti di Lipsia, in Germania, dove seguiva le lezioni dell’artista tedesco Peter Piller. Tomiyasu racconta con grande precisione come cominciò quella che sarebbe diventata la sua serie fotografica più famosa: “Era il 14 agosto, una domenica. Verso le 15 passeggiavo vicino alla biblioteca, non lontano dal mio alloggio universitario, quando accanto a me vidi una volpe. Probabilmente lei non mi aveva visto o aveva deciso d’ignorarmi, perché continuò con gli occhi chiusi a fiutare le pietre del marciapiede e il prato. Ne ero affascinato e continuai a osservarla. Poi all’improvviso corse verso i cespugli e, prima di scomparire, guardò nella mia direzione. La punta della coda era di un bianco immacolato”.
Il fotografo aveva molta voglia di rivedere la volpe e una settimana dopo si svegliò e guardò fuori dalla finestra per cercarla. “La mia camera era all’ottavo piano, esposta a sud. Davanti all’edificio c’è un campo sportivo, sulla destra una piscina coperta, un campo da calcetto e accanto la palestra. A sinistra una sabbionaia per gli attrezzi sportivi, una pista di atletica, un campo da calcio più grande e un tavolo da ping pong. Vidi la volpe che camminava con calma sulla sabbia e attraversava la pista di atletica. Si fermò prima di superare il tavolo da ping pong, e alzò la testa per guardarlo. Poi se ne andò. Da allora tornavo spesso alla mia finestra per rivederla, ma non la vidi più. Così lentamente, ma con determinazione, cominciai a osservare il tavolo da ping pong”.
Da quel momento la vita di Tomiyasu cambiò, scandita dal ritmo delle lunghe attese alla finestra. Sacrificò sempre di più il suo tempo libero, “anche a Natale e a capodanno”, per non rischiare di perdersi il ritorno della volpe. Con il passare dei giorni però, ciò che diventò più importante, fino a trasformarsi in un’ossessione, fu quello che succedeva intorno al tavolo da ping pong (Tischtennisplatte in tedesco, da cui è tratto il titolo della serie Ttp), dove si svolgeva un’insospettabile vita sociale.
Se dobbiamo affidarci a quello che vediamo nelle immagini, quest’oggetto serviva a tutto tranne che alla pratica dello sport per il quale è stato concepito. Dal suo osservatorio privato, dove aveva posizionato la macchina fotografica, Tomiyasu documentò per cinque anni le diverse attività che si svolgevano in quello spazio ridotto. Circa quattromila foto di situazioni banali o strane, dove il tavolo da ping pong è il filo conduttore che, grazie alla scelta della stessa inquadratura e della visione dall’alto, dà coerenza visiva alla serie. A volte il tavolo diventa un punto d’incontro per innamorati o giovani sportivi, altre un luogo dove si riuniscono le famiglie o un attrezzo per fare ginnastica, o semplicemente un posto dove sedersi o stendersi. Di fatto, è un tavolo per ogni esigenza: i bambini lo usano per proteggersi dal sole o dalla pioggia battente o ci si arrampicano, con l’aiuto dei genitori, per giocarci come se fosse un palcoscenico. Quando nevica ci salgono sopra e lasciano le loro impronte. In un’immagine la rete separa una coppia, in un’altra un uomo si appoggia al tavolo per piegare le sue lenzuola.
Ripetizione dell’inquadratura, del luogo, della distanza e della prospettiva: gli elementi principali della fotografia documentaria sono perfettamente rispettati. E questo permette di osservare le variazioni all’interno di una scena, che diventa la vera protagonista di una storia piena di sorprese. Il lavoro sembra costruito come una serie d’immagini fisse estratte da un piano sequenza cinematografico, con elementi che entrano ed escono dall’inquadratura. Un piccolo film muto, caratterizzato da un’atmosfera quasi assurda e raccontato con uno sguardo ironico sulla vita quotidiana e su una realtà che a volte stupisce più della finzione. È un lavoro documentario che unisce dimensione cinematografica e dimensione letteraria: “Questo libro non è un libro di fotografia, ma un romanzo sulla creatività delle persone capaci di trasformare un oggetto in qualcosa di cui hanno bisogno in quel determinato momento”, dice il fotografo.
Con il suo approccio alla fotografia, Tomiyasu dimostra ancora una volta l’efficacia del concetto di “dispositivo”, qui inteso come una serie di regole che obbligano a ripetere un punto di vista (l’inquadratura), e della sua ripetizione. Ma attraverso il suo lavoro analizza in profondità anche le nozioni di spazio pubblico e di voyeurismo. La serie mostra come uno spazio diventi pubblico – o anche l’oggetto che si trova in questo spazio – non perché qualcuno lo decide, ma perché di volta in volta le persone se ne appropriano, rispettando i suoi diversi usi, che possono portare a sorprese o a incomprensioni: perché, per esempio, qualcuno decide di superare il tavolo come in un esercizio di salto in lungo? Questo lavoro può essere anche letto come un esercizio di voyeurismo. Quelle persone non sanno di essere osservate e fotografate e Tomiyasu sembra affermare che c’è sempre qualcosa di voyeuristico nell’atto di fotografare, anche se a lui non interessa sapere chi sono, ma conoscere il modo in cui occupano quello spazio, che diventa un piccolo teatro sociale.
Tutto questo è andato avanti per cinque anni. “Poi il 28 settembre 2019 ho sostenuto l’esame finale, e il 30 settembre ho dovuto lasciare la mia stanza. Così il mio progetto si è concluso”. ◆ _ adr_
◆ La serie _Ttp _di Hayahisa Tomiyasu è esposta al Festival images Vevey, in Svizzera. Per l’allestimento è stato portato un tavolo da ping pong in un parco, dove gli anziani di una casa di riposo possono vederlo. Il lavoro è in mostra fino al 27 settembre al Musée de l’Elysée di Losanna all’interno del progetto reGénération4, una selezione di artisti emergenti. Nel 2018, il libro ha vinto il First book award della casa editrice Mack.
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Questo articolo è uscito sul numero 1376 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati