Nascosta all’ombra delle montagne White Tank, al confine tra il deserto e l’estrema periferia di Phoenix, c’è una piccola scuola che potrebbe entrare nella storia. Il Refresh learning center, con poche decine di studenti, è stato aperto nel 2023 da un’insegnante e da un pastore in una casetta indipendente nel loro giardino, a Waddell.

La scuola è un’estensione della loro chiesa, e come la chiesa la gesticon0 da casa. Ci lavorano quattro insegnanti a tempo pieno, due con una laurea e solo una con l’abilitazione all’insegnamento. La maggior parte degli studenti si riunisce in un’unica aula rivestita di alluminio, con sedie riciclate e banchi di seconda mano. Le pareti sono decorate con lavori degli alunni e una grande riproduzione della Mappa sincronica della storia umana di Sebastian C. Adams, ministro presbiteriano dell’ottocento (nascita dell’universo: 4004 aC). Il liceo è ospitato in un ripostiglio riadattato; il programma scolastico non è riconosciuto da nessuna autorità ufficiale. Eppure da anni gli iscritti sono in aumento. I genitori sono attratti dall’orario ridotto (dal lunedì al giovedì, dalle 8 alle 14), dalle dimensioni contenute e dalla semplice sensibilità cristiana. Con una retta inferiore a settemila dollari all’anno, è relativamente accessibile rispetto agli altri istituti privati, anche se molte famiglie statunitensi non possono permettersela. Almeno sulla carta. In realtà, è gratuita.

Per tanti genitori dei quartieri intorno a Waddell, fino a pochi anni fa l’idea di mandare i figli in una piccola scuola privata sarebbe stata inconcepibile. Credevano che questi istituti fossero riservati alle famiglie ricche o a bambini con bisogni educativi speciali, che ricevono sussidi dallo stato. Ma tutto è cambiato nell’estate del 2022, quando Doug Ducey, all’epoca governatore dell’Arizona, ha firmato la legge che istituiva il programma Empowerment scholarship account (Esa). Anche se in un primo momento è stata quasi ignorata dalla stampa nazionale, questa misura ha segnato una svolta nella storia dell’istruzione statunitense, perché per la prima volta ha permesso alle famiglie di ricevere direttamente i fondi che lo stato avrebbe speso per i loro figli in una scuola pubblica, in media circa 7.500 dollari (per gli alunni con disabilità la somma può essere fino a sei volte più alta).

Il programma è stato descritto come il più vasto sistema universale di voucher del paese, ma la parola voucher è fuorviante: se prima questi sussidi potevano essere usati per entrare in una struttura approvata dallo stato, ora i fondi Esa diventavano l’equivalente di denaro contante. Tramite carte prepagate o un portale online, i genitori possono spendere i fondi per risorse che secondo loro soddisfano meglio le esigenze dei figli, compresi computer portatili, pianoforti, trampolini, skipass, mazze da golf, utensili da cucina, visori per realtà virtuale, corsi per costruire spade e una lunga serie di “fornitori” di servizi personalizzati – tutor, allenatori, consulenti, maestri – apparsi dalla sera alla mattina per soddisfare le necessità delle famiglie in questa nuova frontiera educativa.

A seconda della persona con cui parli, il programma Esa dell’Arizona è un faro per riformare la scuola o l’inizio della sua fine, almeno di quella pubblica. Di sicuro è molto popolare tra i politici di tutto il paese: diciotto altri stati hanno adottato sistemi simili, finanziando l’istruzione di più di mezzo milione di alunni fuori dal sistema pubblico. Il Texas vuole introdurre presto un programma che dovrebbe riguardare centomila studenti, con una spesa di un miliardo di dollari. “È arrivato il momento della scelta scolastica universale”, ha detto a marzo il presidente Donald Trump firmando l’ordine esecutivo che smantellava il dipartimento dell’istruzione. In autunno quasi la metà di tutti gli alunni statunitensi potrà lasciare le scuole pubbliche con l’assistenza dello stato. In Arizona l’Esa ha già accompagnato più di ottantamila studenti, di cui almeno la metà arriva dalle scuole pubbliche. I suoi sostenitori dicono che non c’è un rapporto diretto tra il programma e i tanti problemi delle scuole pubbliche statali, ma è chiaro che questa redistribuzione dei fondi può solo aggravare una situazione già critica. Alcuni dei distretti più grandi hanno registrato un calo delle iscrizioni superiore al 10 per cento. Nel marzo 2024 Tom Horne, il sovrintendente all’istruzione dello stato, ha spiegato che negli istituti pubblici mancavano 2.300 docenti, e ha avvertito che se questa “tendenza dovesse continuare si arriverebbe a zero insegnanti”. Nel frattempo i “fornitori” di servizi educativi si sono riversati in massa sul mercato dell’Esa.

Menti curiose

In primavera ho deciso di farlo anch’io. Avevo delle qualifiche: da giovane avevo insegnato in una prigione statale e in una scuola charter (un istituto autonomo che riceve fondi dallo stato) per alunni a basso reddito in Arizona, e poi, in cerca di soldi, avevo lavorato due anni in una costosa scuola privata a New York. Ma che lavorassi nel pubblico o nel privato, per la maggior parte del tempo mi occupavo di questioni burocratiche. Alla fine avevo lasciato la professione, nauseato dalla combinazione di progressisti che volevano imporre un impossibile standard di equità, conservatori rancorosi che lottavano per accertarsi che non riuscissi a raggiungere quello standard e genitori pronti a tutto per dare un vantaggio ai loro figli.

Ma dopo l’introduzione dell’Esa, ero curioso di sapere qualcosa di più sugli studenti e sugli insegnanti che stavano sparendo nel sistema. Un sistema che tracciava come i genitori spendevano i fondi ma non forniva dati su quello che i loro figli stavano imparando e da chi. Avevo letto di famiglie che compravano Lego da 1.800 dollari o un violoncello da sedicimila, ma mi sembravano più interessanti le notizie sulle tante piccole scuole che proliferavano negli stati con programmi Esa.

Queste “microscuole”, come sono chiamate, di regola accolgono qualche decina di alunni e hanno un curriculum che non segue quelli statali. Negli ultimi anni le microscuole sono spuntate in tutto il paese (nel 78 per cento dei casi senza essere accreditate ufficialmente) e oggi accolgono quasi lo stesso numero di studenti di tutti gli istituti cattolici messi insieme. Anche se ero scettico sulle loro intenzioni, mi chiedevo se queste realtà potevano almeno lasciare un po’ di spazio agli insegnanti.

Dopo aver creato in un quarto d’ora un’azienda di tutoraggio per il mercato Esa, ho cominciato a offrire i miei servizi educativi alle microscuole dello stato. Il Refresh learning center è stato l’unico a rispondere. Visto che l’anno scolastico stava per finire ho proposto un laboratorio estivo di lettura e, con mia grande sorpresa, otto studenti – quattro coppie di fratelli, tra i dodici e i diciassette anni – ­si sono iscritti. Nel corso, che durava sei settimane, avrei approfondito un libro non incluso nel programma ma considerato un classico nelle scuole statunitensi da sessant’anni: Il buio oltre la siepe di Harper Lee. I genitori mi avrebbero pagato una piccola somma attingendo dai fondi Esa, e in cambio io avrei fornito un’esperienza educativa destinata ad alleviare il purgatorio delle scuole estive. Nessun adattamento. Nessuno standard. Nessun test. Solo un gruppo di menti curiose in un’aula, proprio come volevano Gesù e George Washington.

Il programma Esa dell’Arizona ha le sue radici in un movimento di riforma educativa cominciato nel 1955, nel pieno della crisi dell’integrazione scolastica, quando l’economista Milton Friedman propose di privatizzare l’istruzione pubblica. Nel saggio The role of government in education (il ruolo del governo nell’istruzione), Friedman sosteneva che il governo aveva inasprito lo scontro sulla segregazione ostinandosi sia a finanziare sia a gestire l’istruzione. “I due passaggi potrebbero essere facilmente separati” scriveva, dando ai genitori voucher per un importo massimo prestabilito per bambino all’anno. I genitori sarebbero stati liberi di spendere questa somma e qualunque cifra aggiuntiva per comprare servizi educativi da un’istituzione “approvata” di loro scelta.

Per decenni molti riformatori dell’istruzione hanno parlato di school choice, libertà di scelta scolastica, per invocare strade simili a quelle suggerite da Friedman. Ma è sempre stata un’etichetta imperfetta, perché il movimento della libera scelta comprende sia gli sforzi neoliberisti per diversificare l’offerta educativa sperando in migliori risultati accademici, sia gli sforzi conservatori per far avere agevolazioni fiscali all’istruzione religiosa privata. Lo stesso Friedman non usò mai l’espressione school choice; parlava invece di parental choice, libertà di scelta dei genitori.

Con l’Esa il movimento per la libera scelta scolastica ha preso una svolta decisiva verso il modello immaginato da Fried­man. E nel frattempo ha riscritto le motivazioni alla base della riforma educativa. “L’istruzione pubblica, intesa correttamente, non riguarda i sistemi scolastici ma l’autonomia dei genitori e lo sviluppo armonico dei bambini”, hanno dichiarato Nicole Stelle Garnett e Richard W. Garnett, professori di diritto alla University of Notre Dame, in un articolo del 2023 sui programmi Esa uscito sul City Journal, una rivista pubblicata da un centro studi conservatore. Le motivazioni, quindi, sono soprattutto morali, e non accademiche: “La scelta dei genitori dovrebbe essere accolta con favore non perché migliorerà i punteggi dei test, ma perché dare potere ai genitori è la cosa giusta da fare”.

Questo tipo di argomentazione spiega molte cose. Per esempio, perché i programmi Esa hanno preso piede in stati che storicamente investono poco nell’istruzione pubblica. Sembra un controsenso: impegnandosi a finanziare l’educazione di uno studente anche se non frequenta una scuola pubblica, gli stati conservatori hanno di fatto visto crescere la loro spesa sociale. In Arizona i costi si stanno avvicinando a un miliardo di dollari all’anno.

Chi lo appoggia afferma che a lungo termine il programma farà risparmiare soldi allo stato, visto che per legge può assegnare agli studenti solo il 90 per cento di quanto le autorità avrebbero speso per loro nella scuola pubblica. Ma quello dell’Arizona è un sistema universale a cui possono accedere anche ragazze e ragazzi già iscritti a scuole private, quindi i loro voucher Esa rappresentano un nuovo onere per il bilancio.

Cosa fanno realmente?

L’imperativo morale alla base della “libera scelta” chiarisce anche perché i programmi con i buoni sono così popolari nei quartieri con ottime scuole pubbliche. Se il loro obiettivo principale fosse migliorare i risultati accademici, sarebbe normale aspettarsi che abbiano successo tra le famiglie dei distretti scolastici con i risultati più bassi. In realtà, secondo un’analisi condotta in Arizona dalla Abc nel 2024, metà degli studenti del programma Esa viene da zone che rappresentano il 25 per cento più ricco e che spesso possono contare su buone scuole pubbliche.

Per molte di queste famiglie benestanti, le convinzioni ideologiche della scuola sembrano essere più importanti della qualità educativa. Secondo l’ultimo rapporto trimestrale del programma, solo 323 degli 87.602 studenti Esa dello stato hanno frequentato in precedenza una scuola pubblica che aveva una valutazione molto bassa. Il potere dato ai genitori potrebbe suggerire perché le realtà basate sui buoni non si preoccupano di misurare il livello di apprendimento degli studenti: queste famiglie sembrano rifiutare i test. Horne, il sovrintendente, me lo ha detto chiaramente: “Quando il parlamento ha approvato la legge sui voucher universali, l’idea era che la responsabilità deve ricadere sui genitori”. Non esistono standard vincolanti, e questo, sostiene John Ward, il responsabile dell’Esa in Arizona, contribuisce a rendere il sistema attraente. I genitori dei bambini che frequentano le microscuole considerano i test standardizzati lo specchio “di un curriculum scelto e sviluppato dai sistemi scolastici pubblici”, spiega. “Ma dal momento che queste scuole praticano qualcosa di diverso, i test non sarebbero un buon metro per misurare quello che fanno realmente”. A questo punto si pone la domanda: cosa fanno realmente?

In un luminoso martedì mattina di giugno, il termometro della mia auto superava i 37 gradi mentre da Phoenix correvo verso le montagne White Tank. Percorrere la lunga strada per Waddell significa attraversare tutti gli strati della periferia dell’Arizona, ognuno annunciato da un cartello di benvenuto: Glendale, un’ex cittadina proibizionista che oggi ospita il primo parco a tema della Mattel; Sun City, una comunità per pensionati pianificata e costruita sopra una città fantasma; e Surprise, chiamata così perché la sua fondatrice dichiarò che sarebbe rimasta “sorpresa se quel paese fosse mai riuscito a contare qualcosa”. Waddell è ancora più a ovest, oltre i vecchi agrumeti e la base militare Luke, da dove partono i caccia che per sei settimane avrebbero fatto periodicamente tremare le esili pareti e il tetto di lamiera della mia aula.

Il Refresh learning center è stato fondato da Coby e Donnie Aldana, una coppia originaria del sud della California. Coby, che in passato ha insegnato storia degli Stati Uniti in una scuola cristiana privata, si occupa del curriculum e delle attività quotidiane. Il marito Donnie è un tecnico del settore lattiero-caseario e il pastore della chiesa. Sono il ritratto della cordiale educazione dell’ovest, con il sorriso sempre stampato e modi accoglienti. L’etica della scuola riflette il loro spirito evangelico inclusivo, mentre il modello economico dimostra un fiuto per gli affari: la retta è di circa settemila dollari all’anno, di poco inferiore all’importo medio dei voucher Esa. E questo è particolarmente importante per le famiglie di lavoratori che si trasferiscono nelle nuove villette a schiera spuntate come funghi nella West valley di Phoenix. “Senza l’Esa questa scuola non esisterebbe”, mi dice Coby.

La giornata al centro comincia con il giuramento alla bandiera statunitense e con la preghiera. Poi ci sono le attività: pulire il pollaio e le gabbie delle tartarughe, rastrellare il cortile, sistemare gli attrezzi nell’officina. La parte legata allo studio è fortemente individualizzata. Ragazzi e ragazze non sono divisi per età ma per abilità. C’è n’è uno di tredici anni in seconda elementare e un altro della stessa età che frequenta le superiori. Lavorano in blocchi da un’ora su matematica, scienze, inglese e storia, e poi c’è un momento di lettura libera in cui possono scegliere da un assortimento accuratamente selezionato di libri, tra cui manuali cristiani con capitoli intitolati: “Come possiamo usare i dinosauri per diffondere il messaggio evangelico della creazione?”. Risposta: “Usando la vera storia di questi lucertoloni missionari”.

I confini che di solito definiscono la vita scolastica sono tutt’altro che rigidi: adolescenti fanno lavori manuali accanto a bambini di sei anni, e durante la ricreazione alcuni si uniscono agli adulti per dare una mano a sistemare l’edificio principale. Un alunno ha preso il diploma di quinta elementare all’improvviso, nel bel mezzo di una lezione di matematica: aveva finito un quaderno di esercizi e stava passando al successivo.

Quasi tutti gli studenti si sono sfogati contro le miss Caroline di questo mondo

I fondamentalisti tra noi

Quando ho incontrato i miei studenti, ho capito subito che non erano i tipici ragazzi delle famiglie benestanti che approfittano del programma Esa, ma riflettevano le comunità di lavoratori da cui provenivano. I loro genitori erano idraulici, poliziotti, pastori, parrucchieri o magazzinieri nei depositi Amazon. Si erano fatti strada sgobbando in luoghi non facili come Bakersfield, in California, o nelle campagne dell’Idaho e in seguito si erano stabiliti a Waddell. Molti facevano parte della congregazione di Refresh. La maggior parte, forse tutti, erano bianchi.

Tra i ragazzi e le ragazze si intravedevano vaghe tracce del vecchio stereotipo dell’istruzione parentale (quando gli ho chiesto la sua parola preferita, Emmett, 12 anni, ha esclamato: “Gesù!”), ma messi in fila potevano confondersi con qualunque gruppo di studenti delle scuole pubbliche dell’ovest americano. Per la nostra prima lezione ci siamo accomodati su sedie color prugna intorno a dei tavoli di plastica, nella stanza principale della scuola. C’erano anche Coby e altre due insegnanti del Refresh; entrambe si sono presentate con un sorriso un po’ nervoso dicendo di essere, in fondo, “solo delle mamme”. Abbiamo cominciato discutendo del primo giorno di scuola di Scout, la bambina protagonista del Buio oltre la siepe.

Tutti si sono entusiasmati leggendo di miss Caroline, la nuova insegnante, che con la sua cieca fiducia nel metodo Dewey si affretta a rimproverare Scout, ufficialmente perché sa già leggere, ma in realtà perché non corrisponde allo stereotipo dell’ignorantella di paese. Ho chiesto se loro avevano mai avuto un’esperienza simile: una selva di mani alzate.

“La mia maestra di prima elementare non sopportava che pensassi con la mia testa. Mi faceva sedere da solo in un angolo, lontano dagli altri bambini, così non avevo nessuno con cui parlare”, ha raccontato Aaron, un ragazzo di sedici anni con un cappellino da camionista e un accenno di baffetto. Era tornato a casa e aveva detto alla madre che la maestra lo aveva messo in un angolo a guardare il muro per l’intera giornata. La madre aveva chiesto un incontro con l’insegnante, solo per sentirsi dire che Aaron era un ragazzo profondamente disturbato e che aveva affilato le punte delle matite per trasformarle in lame e “tagliare la gola a qualcuno”.

Suo fratello Kyler, quattordici anni, era stato altrettanto sfortunato. Al suo primo giorno in una nuova scuola media pubblica dei ragazzi l’avevano preso di mira perché indossava scarpe Vans invece che Nike. La madre gliene aveva comprato un paio, una spesa per lei non indifferente, e gli aveva detto di riprovare. Ma il giorno dopo aveva sentito che dio le consigliava di andare a riprendere il figlio in anticipo. Aveva scoperto che Kyler era stato lasciato fuori da un edificio chiuso a chiave, a sudare nell’afa dell’Arizona. Era andata in segreteria e aveva avvertito che avrebbe ritirato entrambi i figli. “E poi sono venuto qui”, conclude Kyler.

Alla fine quasi tutti gli studenti si sono sfogati contro le miss Caroline di questo mondo. Perfino le adulte hanno cominciato a raccontare le loro esperienze con le maestre avute da piccole, ma a differenza degli alunni, che parlavano ridacchiando, loro ribollivano di rabbia, con la voce spezzata e gli occhi spalancati in un panico adolescenziale che avevano quasi dimenticato.

Quei torti condivisi hanno creato un’atmosfera sorprendentemente amichevole, il tipo di cameratismo che nasce dal risentimento. Intanto fuori il caldo si faceva soffocante, i motori della guerra rimbombavano sopra le nostre teste e nello stomaco cominciavo a sentire un filo di esitante eccitazione.

Goffstown, Stati Uniti, 13 giugno 2023. Una scuola parentale nel New Hampshire (Cheryl Senter, The Washington Post/Getty)

Nell’officina

I sostenitori dell’Esa adorano parlare di “personalizzazione”, cioè la possibilità di adattare l’esperienza educativa ai bisogni del singolo. Le famiglie possono integrare l’istruzione domestica o il programma della microscuola che hanno con decine di attività extracurriculari offerte da terzi. Può voler dire pagare una quota alla scuola pubblica locale perché il figlio giochi nella squadra di football, oppure assumere un tutor privato che insegni lituano due volte alla settimana alla figlia. Molte microscuole incoraggiano questa personalizzazione offrendo spazi a fornitori esterni o integrando diverse opzioni nella loro programmazione.

Un corso del centro di Refresh che attira molto le famiglie è quello di lavori manuali, un’attività che nella scuola pubblica ha perso importanza dopo il 1983, quando l’amministrazione Reagan promosse i test standardizzati come strumento per imporre parametri e valutare scuole e studenti. Da allora in classe si fanno più verifiche, chi ha insufficienze è escluso da alcune attività extrascolastiche e molte scuole hanno scelto di rinunciare alle attività manuali a favore dell’informatica.

A Refresh invece l’officina occupa quasi un terzo della superficie totale. Per un ragazzo come Aaron probabilmente è l’unica vera attrattiva della scuola. Aaron è dislessico e impara meglio usando le mani, il tipo di studente per cui il sistema pubblico fatica a trovare un metodo educativo. Mi ha detto che vuole diventare meccanico dell’aeronautica e che l’obiettivo per l’autunno era imparare a saldare. Mentre mi accompagnava in un giro dell’officina dopo la lezione, ho cominciato a capire la differenza tra l’autorità di facciata che concediamo agli studenti nelle scuole tradizionali e il vero senso di appartenenza che possono sentire in una microscuola.

Sarebbe banale dire che Aaron “s’illuminava” mostrandomi tutte le attrezzature, ma è difficile descrivere il suo linguaggio del corpo in altro modo. Non è stata solo la sua abilità tecnica a colpirmi: era anche un buon padrone di casa. Mi avvertiva di fare attenzione a dove mettevo i piedi, si scusava per la catena arrugginita di una bici e continuava a chiedermi se avevo domande. Nel suo territorio ha imparato qualcosa di più delle semplici abilità manuali.

“Qui hai tutte le chiavi inglesi, i martelli. Gli utensili elettrici stanno qui sopra, con le batterie e i caricabatterie. Non so chi abbia lasciato così l’armadietto, dovrò sistemarlo. In genere, se la signora Coby ha bisogno di una riparazione, la facciamo noi. E se serve qualcosa, lei fa una lista e il pastore Donnie lo compra”.

“È questo che ti piace di più qui a scuola?”, gli ho chiesto.

Phoenix, Stati Uniti, maggio 2024. Studenti della Martin Luther King Jr. (Melina Mara, The Washington Post/Getty)

“Sì, assolutamente”, ha risposto. “Per esempio, quando abbiamo fatto la recita scolastica, Emmett e io abbiamo costruito quella cosa – come si chiama? Dove dormiva Gesù?”.

“La mangiatoia?”.

“La mangiatoia. Te la faccio vedere”.

Me l’ha mostrata. Era bella. Aveva perfino le ruote.

Non sempre la personalizzazione produce risultati così toccanti. Il mercato dell’Esa funziona come l’economia di una città in espansione, e non è difficile trovare fornitori pronti ad approfittare di un’interpretazione piuttosto elastica di cosa può essere definito “educativo o professionale”.

Nei miei giorni liberi ho incontrato alcuni di questi fornitori e ho seguito i loro corsi. Ho partecipato a una sessione con un consulente cristiano specializzato nella dipendenza da pornografia; ho incontrato una terapeuta che mi ha insegnato come una corretta posizione della lingua può alleviare i sintomi del disturbo da deficit di attenzione; ho frequentato il seminario online di un analista finanziario che per 244 dollari offre un corso “per adulti” che “ti dà il potere di vivere la vita che hai sempre sognato”.

A lezione dai pirati

Ho avuto un’esperienza particolarmente memorabile in una casa nei sobborghi di Tucson. L’insegnante era un’ex docente della scuola pubblica che aveva conosciuto il marito in chiesa, a una festa a tema “pirati”, e poi aveva arredato la casa secondo quella passione, arrivando a sistemare un veliero fatto a mano lungo dodici metri nel vialetto di casa.

Mi ha dato il permesso di assistere alla lezione “Bambini in cucina”, che insegna ai piccoli e ai loro genitori varie ricette usando prodotti di Juice Plus+, un’azienda d’integratori alimentari. La pubblicità nelle scuole dell’Arizona è rigidamente regolamentata, ma “Bambini in cucina” non prevedeva restrizioni: la lezione è stata di fatto un’ora di spot. Quando ho detto alla maestra che trovavo discutibile che i genitori usassero fondi pubblici per comprare prodotti della Juice Plus+, lei ha liquidato la questione: “Le scuole pubbliche hanno un programma di pasti gratuiti”, ha detto. “Allora perché la Juice Plus+ non dovrebbe essere ammessa”.

La proliferazione di venditori fa crescere abusi e forzature, ma i sostenitori del programma sono convinti che i benefici superino i rischi. Dal loro punto di vista la spinta imprenditoriale è il segno di un sistema che funziona. “Uno degli elementi che determinano la riuscita di un programma Esa è la sua capacità d’introdurre rapidamente nuovi modelli e nuovi tipi di scuola nell’universo educativo”, mi ha detto Robert Enlow, presidente e Ceo di EdChoice, un’associazione che promuove la libertà di scelta dei genitori. Enlow sottolinea che meno dell’1 per cento dei fondi Esa dell’Arizona si traduce in spese improprie. Ma l’accesso universale rende queste risorse un bersaglio facile per i truffatori: nel 2024 due persone del Colorado hanno imbrogliato i contribuenti dell’Arizona per circa centomila dollari, usando buoni Esa per 43 bambini che non esistevano.

Va detto che i principali destinatari dei fondi sottratti alle scuole pubbliche dell’Arizona non sono le aziende ma le scuole religiose private. Istituti che spesso, come nel caso del Refresh, sono allestiti in fretta accanto a chiese già esistenti. Il flusso di risorse verso queste realtà può non sorprendere, data la lunga storia di sostegno conservatore ai voucher scolastici, ma in realtà lo spostamento popolare verso l’istruzione privata è un fenomeno relativamente nuovo negli ambienti evangelici statunitensi.

La Bibbia alla lettera

E. Ray Moore, fondatore della Christian education initiative, ha cercato per cinquant’anni di convincere le chiese a sfruttare il loro patrimonio immobiliare per creare una rete di scuole cristiane private in grado di fare concorrenza al sistema pubblico. Moore racconta che i suoi sforzi sono stati a lungo ignorati o criticati. Molti evangelici vedevano nelle scuole pubbliche un terreno fertile per far crescere la congregazione, e i pastori spesso incoraggiavano le famiglie a mandarci i figli perché avvicinassero i non credenti alle attività della chiesa.

Ma negli ultimi tempi le cose sono cambiate: in un opuscolo del 2024 pubblicato dalla North American mission board, che fa parte della Southern baptist convention (la più grande denominazione protestante del paese), i pastori ecclesiastici venivano esortati ad abbandonare il vecchio approccio all’istruzione pubblica. “Vogliamo che ogni chiesa evangelica valuti la possibilità di aprire una scuola cristiana”, recitava. “Se avete una struttura di qualunque tipo, vi chiediamo di prendere in considerazione l’idea di ospitare una scuola durante la settimana collegata alla vostra chiesa di quartiere”.

Questo cambiamento è il frutto di una forte reazione conservatrice alla scuola pubblica, ma potrebbe esserci anche una spiegazione più semplice: i soldi. Con l’Esa, ogni bambino della scuola domenicale (incontri che si tengono prima o dopo la messa, rivolti soprattutto ai più piccoli) potrebbe aggiungere l’equivalente di migliaia di dollari al piattino delle offerte. Molti fautori dell’istruzione religiosa, come Moore, restano contrari ai programmi di questo tipo perché pensano che usare i fondi pubblici porti a ingerenze governative. Per loro i buoni universali sono uno strumento imperfetto ma necessario per creare un’infrastruttura di scuole cristiane destinata a sostituire quella pubblica.

“Al momento la percentuale di bambini al di fuori del sistema pubblico è intorno al 15 per cento”, mi ha detto Moore con l’accento strascicato tipico della Carolina. “Se riuscissimo a portarla al 25, il sistema comincerebbe a collassare. È come un gigante addormentato che sta per svegliarsi”.

Alla mia quarta settimana al Refresh, ho deciso che era il momento di mettere alla prova il buon rapporto che si era creato con gli studenti. Nessuno di loro aveva mai letto Il buio oltre la siepe, e anche se le battute su miss Caroline avevano oliato gli ingranaggi sospettavo che una discussione sugli altri personaggi del libro potesse creare qualche attrito.

C’era il signor Radley, per esempio, un “battista lavapiedi” che si rifiuta di mandare a scuola il figlio Boo, preferendo tenerlo chiuso in casa. Un giorno ho cominciato la lezione chiedendo chi fossero i battisti lavapiedi.

“Quelli che prendono la Bibbia alla lettera”, ha detto Hailey con un sorrisetto. Ho chiesto se qualcuno di loro prendeva la Bibbia alla lettera, e le mani si sono alzate una dopo l’altra. Coby, accanto a me, ha preso la parola: “In un certo senso, sì. Crediamo che quando dice di onorare il padre e la madre, significa letteralmente che dobbiamo farlo”.

“Ma ci sono un sacco di altre regole”, è intervenuta un’altra insegnante. “Non fare questo, non fare quest’altro. Non giocare a carte, non ballare, non..”.

“Non intrecciarti i capelli!”, l’ha interrotta Michaela.

Goffstown, Stati Uniti, 13 giugno 2023. Un momento di pausa in una scuola parentale (Cheryl Senter, The Washington Post/Getty)

“Non portare gioielli!”, ha gridato Hailey.

Essendo le uniche ragazze della classe, erano contente di sfidare le prescrizioni religiose sul genere. Hailey e la sorella si dichiaravano cristiane, come i loro compagni, ma Hailey sosteneva la sua fede con una maturità impensabile per i ragazzi. Immagino dipenda dal fatto che in passato è stata una ragazza credente in una scuola pubblica, una posizione non semplice. I suoi vecchi amici non erano cresciuti in una bolla protetta; alcuni erano gay.

Una delle cose paradossali che possono capitare in una scuola pubblica ai ragazzi profondamente religiosi è di ritrovarsi relegati al tavolo dei “diversi”, insieme a tutti gli altri emarginati. Hailey aveva quel tipo di indipendenza ribelle che si conquista con un’esperienza del genere. Le ho chiesto cosa pensasse delle interpretazioni letterali della Bibbia che condannano comportamenti come la scelta di portare gioielli.

“Penso che siano stupide”, ha risposto. Coby ha riso con aria imbarazzata, ma Hailey ha insistito: “Dovresti poter vivere la tua vita”.

Un reperto del passato

Nel pomeriggio della nostra ultima lezione, nell’aria c’era quell’atmosfera di affiatamento tipica dell’ultimo giorno di scuola. Sentivo che l’unico modo per sapere di più sugli studenti spariti dentro il sistema Esa fosse chiedere direttamente a loro cosa pensavano del Refresh. Era un argomento imbarazzante da affrontare davanti agli insegnanti, così ho pensato d’infilare qualche domanda personale nell’ultimo compito, che mi avrebbero consegnato la domenica successiva, quando ci saremmo visti in chiesa.

Quel giorno ho scoperto con sorpresa che la funzione non si sarebbe tenuta lì. La congregazione aveva superato la capienza dell’aula e si era trasferita nello spazio più grande che si poteva affittare a un prezzo contenuto nei fine settimana: l’auditorium della scuola pubblica locale. Mi sono infilato in silenzio in una delle ultime file e, nella scarsa luce proiettata dal palco, ho letto le risposte dei miei studenti.

Nashville, Stati Uniti, 12 marzo 2024. Protesta contro un provvedimento che riduce i fondi alle scuole pubbliche (Seth Herald, Getty)

Qual è una cosa che non hai imparato a scuola e che ti piacerebbe imparare?

Hailey: La cosa dei tre/quinti bianchi/neri (un riferimento al compromesso in base al quale dopo la nascita degli Stati Uniti tre quinti della popolazione schiava sarebbe stata conteggiata ai fini della rappresentanza politica e della tassazione diretta per ciascuno stato) e la cosa di una folla di bianchi che ha bruciato la città dei neri (un riferimento al massacro di Tulsa).

Dirk: le tasse, l’anticipo per una casa o un’auto, come essere motivato a leggere, come ricevere offerte dai college.

Emmett: Scrivere.

Se fossi tu a dirigere questa scuola, quali cambiamenti faresti?

Aaron: Farei più ore di falegnameria.

Kyler: Smetterei di paragonare tutto alla religione (lo so che è una scuola cristiana, ma è fastidioso studiare storia se ti fanno sempre domande sulla Bibbia).

Se potessi scegliere tra questa scuola, l’istruzione a casa o la scuola pubblica, cosa sceglieresti?

Le scuole preferite
Percentuale di alunni negli Stati Uniti per tipologia di scuola a seconda del reddito familiare, in dollari (50can education opportunity survey)

Aaron: Sceglierei questa scuola perché qui ti insegnano a fare cose con le mani.

Canaan: Sceglierei questa scuola, perché costruisci amicizie più profonde con le persone che hai accanto.

Hailey: Personalmente sceglierei la scuola pubblica. Lì ho più opportunità di quante ne avrei con l’istruzione a casa o in questa scuola. Ho studiato a casa per un po’ e questo mi ha reso timida e impacciata. Ho cominciato a irritarmi con le persone che non capivano le cose. Ora va molto meglio e questo grazie al fatto di stare con altri studenti. Non mi preoccupa nemmeno che la mia fede vacilli.

Ho guardato i fedeli sparsi in sala, giovani e anziani, riuniti lì come memorie viventi dei nostri giorni di scuola: alcuni seduti in gruppo e altri da soli, alcuni che prendevano appunti e altri che sonnecchiavano, alcuni impazienti di andarsene e altri che sarebbero voluti restare per sempre. Avevo la sensazione che una grande scuola pubblica come quella in cui ci trovavamo potesse presto diventare un reperto della storia, un residuo del vecchio sogno collettivo di un’istruzione che incarnasse il pluralismo della società statunitense. Non so chi sentirà di più la mancanza di quel sogno. Per studenti come Aaron, il suo impulso universalista aveva regolarmente soffocato i sogni personali. Per quelli come Hailey, l’ampiezza di prospettive che offriva poteva spalancare possibilità altrimenti limitate alla casa.

È chiaro che il principio cardine del movimento Esa è il diritto dei genitori di scegliere la migliore istruzione per i propri figli. Può sembrare un obiettivo nobile. Ma non può cambiare il fatto che in una democrazia il principio fondamentale dell’istruzione è il diritto dello studente di imparare. È quello che i tedeschi chiamavano Lernfreiheit (libertà di apprendimento) ed è quello che suggeriva Emerson quando consigliava ai futuri insegnanti di “rispettare il bambino. Non siate troppo i suoi genitori”.

In teoria i programmi Esa creano le condizioni perché ogni studente apprenda nel modo più idoneo alla sua natura e alle sue capacità, ma comportano il rischio di sovvenzionare un sistema che privilegia la paranoia dei genitori rispetto alla responsabilità accademica e lascia gli studenti più vulnerabili che mai agli incentivi del libero mercato.

Proposta ragionevole

Almeno per ora. Le persone su entrambi i fronti del dibattito sulla scuola dovranno accettare che, come testimoniano le risposte dei miei alunni, le microscuole rispondono anche ai bisogni di molti. Gli scettici possono usare il movimento Esa per riorientare il sistema verso ciò che serve veramente ai ragazzi.

Si può fare: la Georgia, per esempio, riserva le borse di studio alle famiglie che risiedono vicino alle scuole con i risultati peggiori e impone che i tutor siano certificati da una commissione statale; l’Iowa prescrive che chi richiede i buoni s’iscriva a una scuola non pubblica accreditata e poi si sottoponga a test standardizzati una volta entrati nel programma. L’Arizona potrebbe cominciare dai controlli su tutti i fornitori, fissando limiti di reddito per l’accesso al programma, istituendo una qualche forma di verifica sui progressi accademici e stabilendo limiti più rigorosi su come si possono spendere i fondi, in modo da mantenere i soldi dei contribuenti all’interno del percorso d’istruzione pubblica.

Queste regolamentazioni, pur rispettando l’autonomia delle famiglie, garantirebbero un grado maggiore di responsabilità fiscale e accademica e renderebbero più facile la creazione di scuole più piccole. Mentre sta per cominciare il primo anno scolastico completo della seconda amministrazione Trump, gli Esa offrono anche agli insegnanti un meccanismo per sfuggire agli assurdi vincoli ideologici imposti ai programmi delle scuole pubbliche dai politici di destra, e allo stesso tempo guadagnare qualcosa. Se i contratti Esa sprecati per famiglie ad alto reddito fossero usati per raddoppiare, per esempio, le risorse destinate alle famiglie a basso reddito, allora gli insegnanti che vogliono lavorare con studenti svantaggiati potrebbero ottenere il finanziamento necessario per avviare una piccola scuola e pagarsi uno stipendio dignitoso. E soprattutto, un sistema simile rafforzerebbe una visione democratica dell’istruzione, dimostrando che i pochi fondi assicurati dalle tasse possono servire a estendere le opportunità, invece che a sostenere la stanca lamentela secondo cui i soldi dei cittadini sono spesi male. Tutti sappiamo che la risposta ideale al problema sarebbe pagare di più gli insegnanti delle scuole pubbliche, ma negli stati in cui i finanziamenti all’istruzione sono cronicamente insufficienti, una misura temporanea che stimoli l’organizzazione locale e riconosca che tutti gli studenti apprendono in modo diverso può non essere il modo peggiore di salvare una generazione di ragazzi e ragazze che annega in pessime scuole.

Se oggi imparare fuori da una scuola pubblica tradizionale è un’opzione realistica per circa metà degli studenti statunitensi, allora potrebbe essere arrivato il momento di ampliare l’idea di cosa sia l’istruzione pubblica negli Stati Uniti.◆ gc

Chandler Fritz è uno scrittore statunitense nato a Phoenix, in Arizona. Collabora con vari giornali tra cui County Highway e The New York Review of Books. Harper’s Magazine, dove è uscito questo articolo, è un mensile statunitense fondato nel 1850.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati