Davanti a me c’è una sedia. Una bella sedia rossa in legno con quattro gambe, il sedile su cui sedersi, lo schienale. Esiste, la sedia, di per sé? Ovviamente sì: esiste indipendentemente da me. Ma, un momento: noi la chiamiamo sedia perché la usiamo per sederci. Ci sarebbe il concetto stesso di sedia, senza l’umanità che si siede? Forse no, ma anche se qualcuno non fosse a conoscenza della funzione di una sedia, i suoi componenti esisterebbero comunque, il legno rosso e lucido di cui è fatta sarebbe lì di per sé. Ma cosa significa “rosso”? Essere rosso si riferisce a un’interazione tra il legno, la luce e particolari recettori dei nostri occhi. La maggior parte degli animali non vede i colori come gli umani. Quindi la sedia è rossa rispetto a me, non di per sé.
Indipendentemente da questo, gli atomi del legno sono lì, anche senza i nostri recettori e senza la luce che potrebbe rimbalzare su di loro. Se scaviamo abbastanza in profondità, le cose hanno proprietà slegate da tutto il resto, no? Forse no. La fisica quantistica, che descrive il bizzarro comportamento del mondo fisico al livello più elementare che conosciamo, ci sta probabilmente dicendo che non è così. Le cose non hanno proprietà di per se stesse: le loro proprietà esistono in virtù della loro relazione con le altre cose, proprio come non ci sono sedie rosse senza qualcuno intorno che le veda come tali. Venire a patti con questa strana idea potrebbe chiarire la natura persistentemente misteriosa del mondo quantistico. Potrebbe anche darci un piccolo aiuto e rendere altri misteri, come la natura della nostra esperienza cosciente, un po’ meno misteriosi.
La funzione d’onda
La teoria dei quanti rimane sconcertante nonostante un secolo di successo. La teoria è abitualmente usata nella fisica della materia condensata, nucleare e delle particelle, in astrofisica, chimica, elettronica e molto altro, e finora si è sempre rivelata corretta. Ma se ci fermiamo a chiederci cosa ci dice davvero sulla natura del mondo, non possiamo evitare di rimanere perplessi. La questione è argomento di vivace dibattito nei dipartimenti di fisica e filosofia.
Per esempio, per calcolare il comportamento di un elettrone usiamo una funzione d’onda, un’entità diffusa nello spazio che determina la probabilità di trovare l’elettrone in una posizione o in un’altra. Ma la funzione d’onda è un’immagine autentica e realistica della realtà? O è solo uno strumento che usiamo per calcolare cosa potrebbe succedere, come le previsioni del tempo che ci aiutano ad anticipare se pioverà? Interpretare la funzione d’onda come qualcosa di reale crea difficoltà. Nei nostri calcoli, la funzione d’onda salta quando misuriamo qualcosa. Quando vediamo un elettrone da qualche parte, per esempio, la sua funzione d’onda si concentra improvvisamente lì. Ma perché la natura dovrebbe cambiare se c’è qualcuno che misura qualcosa?
Erwin Schrödinger ha descritto la questione con una storiella famosa. La funzione d’onda di un gatto può essere una sovrapposizione di gatto addormentato e gatto sveglio (nella versione di Schrödinger il gatto era vivo o morto, ma non è bello scherzare sui gatti morenti). Questa sovrapposizione provoca effetti che non si verificano se il gatto è sveglio o addormentato. Ma come si sente il gatto in questa sovrapposizione? E come ti sentiresti tu, lettore?
Ci sono diversi tentativi di dare un senso a questa stranezza, e tutti hanno qualcosa di sconcertante. L’interpretazione a molti mondi, per esempio, suppone che il gatto davvero dorma e sia sveglio insieme; e se la guardi, la realtà si scinde in mondi paralleli in cui due copie ugualmente reali di te vedono quei due stati del gatto. Secondo l’interpretazione a variabili nascoste ci sarebbe un livello nascosto di realtà a noi inaccessibile che guida le cose di nascosto. E così via. C’è un’alternativa. Per capirla, è utile ricordare due fatti storici. Il primo è che quando Schrödinger introdusse la funzione d’onda nel 1926, la teoria quantistica esisteva già nella sua piena gloria senza funzione d’onda. Dopo una prima intuizione di Werner Heisenberg, la teoria fu completata nel 1925 da Max Born con Heisenberg e Pascual Jordan e, in modo indipendente, da Paul Dirac. Questa formulazione originale è la più elegante. Si può riassumere dicendo che un sistema quantistico è governato esattamente dalle stesse variabili ed equazioni della fisica classica, con l’aggiunta di una singola equazione: xp - px = iħ. Qui x è la posizione e p la quantità di moto (la velocità per la massa), i è la radice quadrata di -1 e ħ è la costante di Planck, la costante fondamentale che fissa la scala del mondo quantistico. Praticamente tutti i fenomeni predetti dalla teoria quantistica, dal famoso principio di indeterminazione di Heisenberg alla bomba atomica, dal laser ai computer quantistici, derivano da questa singola equazione, che afferma che moltiplicando due quantità fisiche in un ordine diverso si ottiene un risultato diverso.
In questo linguaggio, la teoria non riguarda una funzione d’onda. Tratta di fatti. L’elettrone è qui, l’elettrone è lì; il gatto dorme, il gatto è sveglio. Introducendo la funzione d’onda, Schrödinger non ha aggiunto potere predittivo alla teoria. La funzione d’onda aiuta a visualizzare i fenomeni, per esempio gli orbitali ondulati degli elettroni attorno al nucleo atomico che si vedono nei libri di testo di chimica. Ma la visualizzazione può essere fuorviante: gli epicicli di Tolomeo che trasportano i corpi celesti, o il fluido calorico dell’ottocento, erano facili da visualizzare, ma abbandonandoli si è guadagnato in chiarezza.
Il secondo fatto storico da ricordare è il modo in cui Niels Bohr, altro padre fondatore della fisica quantistica, sintetizzò quel che la teoria quantistica sembrava dirci. Scrisse che “la descrizione di un sistema quantistico non può essere separata dagli strumenti di misura che interagiscono con esso”. Questa idea si chiama contestualità. Coglie correttamente il nucleo della teoria, ma la formulazione di Bohr è fuorviante perché sembra rendere necessari degli strumenti di misura. Al tempo di Bohr, infatti, i sistemi quantistici erano studiati quasi solo nei laboratori dei fisici. Ma oggi, dopo quasi un secolo di successi, siamo fiduciosi che la teoria quantistica si applichi a tutto nell’universo, per esempio ai processi in galassie lontane, dove non è detto che qualcuno stia misurando. L’osservazione sulla contestualità di Bohr dev’essere generalizzata eliminando lo strumento di misura. Questo è possibile. Basta dire: “La descrizione di un sistema fisico non può essere separata dagli altri sistemi fisici che interagiscono con esso”. Abbandonando l’idea di una funzione d’onda reale e prendendo sul serio quest’ultima affermazione, possiamo dare un senso alla teoria quantistica.
Le cose non hanno proprietà di per se stesse: le loro proprietà esistono in virtù della loro relazione con le altre cose
Sequenza di interazioni
Le proprietà di un sistema descrivono solo il modo in cui un sistema interagisce con qualcos’altro, si riferiscono solo alle interazioni. Un elettrone non si diffonde come un’onda. Tra un’interazione e l’altra, non ha alcuna posizione. Lo stesso Schrödinger, più tardi, abbandonò l’idea che la realtà fosse descritta dalla sua funzione d’onda e scrisse: “È meglio considerare una particella non come un’entità permanente, ma piuttosto come un evento istantaneo. A volte questi eventi formano catene che danno l’illusione di essere permanenti”. Una particella è una sequenza di interazioni distinte e istantanee. La sua posizione, o qualsiasi altra proprietà, esistono solo nel contesto di un’interazione.
Le proprietà di un sistema non sono assolute: sono relative al sistema interagente. È un errore pensare che possano essere attribuite a un unico sistema. I fatti sono fatti relativi. Per esempio, non ha senso chiedere informazioni sullo stato del gatto di Schrödinger di per sé. Rispetto a se stesso, il gatto è sveglio o addormentato.
Ma rispetto all’osservatore fuori dalla scatola in cui è nascosto il gatto, può darsi che nessuno dei due fatti sia vero: finché il gatto non interagisce con l’osservatore, la questione del suo stato non ha significato. Questa è l’idea centrale dell’interpretazione relazionale della meccanica quantistica. L’idea di base risale al 1996 e ha lentamente attirato l’attenzione prima dei filosofi e poi di un numero crescente di fisici, che l’hanno sviluppata e chiarita. Evita molti mondi, variabili nascoste e simili. Il prezzo è accettare che le proprietà di tutte le cose sono relazionali: dicono come le cose interagiscono, non come sono.
Una comprensione del mondo in termini di relazioni piuttosto che di entità può aiutarci a districare questioni spinose, come la natura della coscienza
Questa lettura dei fenomeni quantistici elimina le nozioni fuorvianti di misurazioni e osservatori, che annebbiano la nostra comprensione della teoria. Le proprietà di un sistema sono determinate quando il sistema interagisce con un altro sistema, qualunque esso sia: non ci sono sistemi speciali che sono osservatori. Le proprietà così realizzate sono relative solo al sistema interagente: non hanno conseguenze per altri sistemi dell’universo.
Una sedia è il modo in cui interagisce con l’ambiente circostante. Parlare delle proprietà della sedia da sola, quando non interagisce con nulla, non ha senso. Tutte le proprietà che in genere caratterizzano una sedia – il colore, l’uso, il peso – sono definite attraverso l’interazione con qualcos’altro. E così è anche per le proprietà dei singoli atomi o particelle elementari che formano la sedia.
L’interpretazione relazionale fa luce su diversi aspetti misteriosi del mondo quantistico, per esempio lo strano fenomeno dell’entanglement, in cui due particelle sembrano comunicare tra loro istantaneamente a grande distanza. Dal punto di vista relazionale, non c’è comunicazione istantanea: relativamente a ciascuna particella, non c’è alcun dato di fatto su ciò che è accaduto all’altra. Solo quando la comunicazione fisica tra le due parti è effettivamente stabilita le correlazioni diventano reali.
A questo punto però non c’è più comunicazione istantanea a distanza.
La relatività dei fatti è stata mostrata in laboratorio da alcuni esperimenti recenti. È possibile simulare una situazione simile a quella del gatto di Schrödinger. Il risultato mostra che, in un preciso senso tecnico, ci sono fatti che sono veri per il gatto ma non per l’osservatore esterno. Perché, allora, non percepiamo la relatività dei fatti nella vita di tutti i giorni? Il motivo è un fenomeno ben compreso previsto dalla teoria quantistica: la decoerenza, un effetto onnipresente che sopprime gli effetti di interferenza quantistica ogni volta che è coinvolto un numero molto elevato di particelle. La decoerenza rende “stabili” i fatti relativi, diluendo gli effetti d’interferenza quantistica a un livello così sottile da essere praticamente inosservabili. La loro dipendenza dal sistema interagente diventa irrilevante, perché avremmo bisogno di registrare un numero di dettagli troppo grande per poterlo osservare in modo da rilevare l’interferenza che potrebbe rivelare la relatività dei fatti.
L’interpretazione relazionale non implica che ogni osservatore sia isolato nel proprio mondo. La stabilità rende la realtà quasi identica per tutti. Inoltre, tutti gli osservatori sono sistemi fisici, quindi possono interagire. Possono semplicemente chiedersi a vicenda cos’hanno visto, e la teoria prevede che le due risposte concordino. I paradossi emergono solo se ignoriamo il fatto che qualsiasi comunicazione tra osservatori è un’interazione quantistica, quindi soffre di un margine d’imprecisione a causa del principio di indeterminazione di Heisenberg, che dice che alcune proprietà di un oggetto quantistico non possono essere nettamente determinate insieme in una qualsiasi interazione.
Pregiudizio metafisico
Non è una novità rendersi conto che tanti aspetti del mondo sono relazionali. La biologia, la psicologia, l’economia e molte altre scienze si concentrano sulle relazioni più che sulle entità. La fisica stessa è piena di nozioni relazionali: la velocità è definita solo rispetto a qualcos’altro, così come il potenziale e l’orientamento elettrico o gravitazionale, per fare solo alcuni esempi. Ma il mondo fisico sembrava fornire un substrato non relazionale formato da sostanze con proprietà assolute. La meccanica quantistica, credo, è la scoperta che non è così: il mondo è tessuto da relazioni anche per le più piccole entità fisiche. Una comprensione del mondo in termini di relazioni piuttosto che di entità può aiutarci in parte a districare questioni spinose, come la natura della coscienza. Se pensiamo al mondo fisico come se fosse fatto di piccole pietre, ognuna con le sue proprietà, il salto da quest’immagine all’esperienza soggettiva dei fenomeni mentali è enorme. Ma se la natura fisica del mondo è meglio descritta in termini di come i sistemi fisici, semplici e complessi, s’influenzano a vicenda, forse il divario appare meno drastico: i prodotti della mente sono solo il complesso fenomeno formato delle interazioni tra il mondo e il nostro corpo.
Il nostro naturale pregiudizio metafisico era che la realtà fisica è costituita da una sostanza fondamentale con proprietà assolute. La teoria quantistica mette in dubbio questo pregiudizio. Bene: i nostri pregiudizi metafisici si sono formati ed evoluti all’interno del dominio ristretto della nostra esperienza quotidiana. Siamo abituati a pensare il mondo in termini di cose con proprietà assolute perché questo è quello che sperimentiamo, grazie alla stabilità generata dalla decoerenza. Ma non dobbiamo costringere ciò che abbiamo scoperto sulla natura ad allinearsi ai nostri pregiudizi: piuttosto, dobbiamo lasciare che i nostri pregiudizi siano modificati dalle scoperte sulla natura. La teoria quantistica ha alterato la nostra comprensione della realtà fisica in modi ancora più profondi della rivoluzione copernicana, quando abbiamo appreso che viviamo su una roccia che gira in modo folle. Per digerire tutte le implicazioni del lavoro di Copernico ci sono voluti secoli. Stiamo solo cominciando a digerire tutte le implicazioni della rivoluzione quantistica. ◆
Carlo Rovelli è un fisico teorico, docente universitario e saggista. Il suo ultimo libro, dedicato alla meccanica quantistica, è Helgoland (Adelphi 2020).
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Questo articolo è uscito sul numero 1407 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati