Sabera Parvin ci riceve nel soggiorno della sua casa di Baixa da Banheira, una cittadina sulla sponda del fiume Tago di fronte a Lisbona. È in questa stanza che passa tre o quattro ore al giorno a studiare la lingua portoghese e ad aggiornarsi sui progressi dell’anestesia, la sua specializzazione, su libri di medicina in portoghese. “Un medico non smette mai di studiare”, sottolinea la donna.

Parvin ha 41 anni, viene dal Bangladesh ed è un’anestesista con undici anni di esperienza in terapia intensiva. Indossa l’hijab, i salower (pantaloni lunghi tradizionali) e una kamiz, parola che significa “tunica” ma che suona quasi uguale a “camicia”. “La terminologia medica in portoghese è diversa rispetto a quella in inglese. È importante per me capire cosa mi dicono i miei pazienti”.

Parvin dice “i miei pazienti”, ma è una formula astratta per indicare qualcosa che vorrebbe avere ma che per il momento non ha. È arrivata in Portogallo tre anni fa, dopo aver lavorato per undici anni negli ospedali e nelle cliniche dell’Oman, dove ha visto e curato “molti uomini nudi, naturalmente”.

Parvin è musulmana e prega cinque volte al giorno, tuttavia “in ambito professionale vedere un uomo nudo è permesso. A volte bisogna osservare un corpo nudo per curarlo. È normale”.

Parvin vuole fare la medica anche in Portogallo e ha inviato i documenti necessari per candidarsi all’esame d’ingresso di medicina. Spera di farlo all’inizio del 2026. “È difficile, perché bisogna rispondere a 150 domande in tre ore”, spiega sottolineando che l’esame “è già complicato in inglese, figuriamoci in portoghese. Si tratta di domande complesse su casi ipotetici. Dobbiamo leggere il quesito due o tre volte, capire quale può essere la diagnosi e proporre una cura”.

Mentre studia – legge soprattutto libri e testi reperiti nei gruppi di medici portoghesi su Facebook e guarda i video del ministero della salute – lavora come traduttrice per una ong, dove ha conosciuto altri medici. “Sono simpatici. Quando gli dico che mi sto preparando per l’esame mi prestano i loro libri”.

Parvin racconta che per i medici stranieri è più facile entrare in Oman perché è richiesta solo la conoscenza di alcune parole chiave in arabo: “Sanno che piano piano gli stranieri apprendono la lingua. Se dopo tre mesi i medici dimostrano di poter parlare meglio e di essersi adattati al sistema, vengono assunti e aiutati in tutto, dalla casa al contratto”.

Per Parvin è un peccato che ci siano così tanti medici stranieri in Portogallo, dove si ritrovano a fare lavori non qualificati, quando invece potrebbero esercitare la professione per cui hanno studiato. Il Portogallo, attualmente, sta lottando contro una grave carenza di professionisti. E per questo molti pazienti si ritrovano senza un medico di famiglia.

Terapia intensiva

Parvin si è trasferita in Oman nel 2011. Dopo aver completato il corso si è candidata ed è stata assunta. Figlia di un padre avvocato e imprenditore, è cresciuta nella classe media e ha sempre voluto andare all’estero. “Volevo fare qualcosa di diverso”, racconta. Anche suo fratello maggiore ha lasciato il Bangladesh. Parla arabo quasi senza accento e ha imparato a scriverlo al livello base. “Nei casi di annegamento, avvelenamento e soprattutto d’incidenti d’auto, molto frequenti in Oman, dovevo compilare dei documenti, quindi ho imparato anche a scrivere in arabo”.

Biografia

1984 Nasce in Bangladesh.
2011 Si trasferisce in Oman per lavorare come anestesista in un reparto di terapia intensiva.
2020 Durante la pandemia lo stress le causa un aborto spontaneo: decide di prendersi un periodo di pausa dal lavoro.
2022 Si sposta con la famiglia in Portogallo e trova casa a Baixa da Banheira, una cittadina alle porte di Lisbona.
2023 Fonda la Comunità delle donne del Bangladesh di Baixa da Banheira.


In Oman andava tutto bene. All’ospedale dove lavorava, il policlinico Suwaiq, aveva uno stipendio buono e le condizioni di lavoro erano “incredibili”, come dice lei. “In Oman ci sono conoscenze avanzate, equipaggiamenti ottimi, tecnologia all’avanguardia e molti soldi. Si usa spesso l’elisoccorso per raggiungere qualsiasi punto del paese, portando gli strumenti necessari per svolgere interventi di ogni tipo, anche le operazioni chirurgiche”.

Poi, però, la pandemia le ha stravolto la vita. All’epoca lavorava in terapia intensiva. In quel periodo ha visto morire molti pazienti. “Coprivo e preparavo i cadaveri, cinque o sei al giorno per ogni medico”. Mentre la sua vita professionale attraversava quella fase drammatica, nella sfera privata è arrivata una buona notizia: era di nuovo incinta, dopo otto anni di tentativi. Un giorno, al pronto soccorso, un paziente ha avuto un arresto cardiaco. “Ho cercato di rianimarlo, ma purtroppo è morto. Poi, forse a causa della mia vita stressante, o forse proprio per la fatica di quel tentativo di rianimazione, ho avuto un aborto spontaneo. È successo due ore dopo”.

Per vent’anni aveva pensato quasi solo alla carriera. La mattina andava in ospedale e a volte faceva turni di ventiquattr’ore. Sua figlia cresceva con la baby sitter, perché Sabera non aveva tempo per nulla. Quando non lavorava, studiava. Il giorno in cui ha avuto l’aborto spontaneo ha deciso insieme al marito che non poteva andare avanti così: “Dovevo mettere in pausa la carriera e dedicare più tempo alla famiglia. C’è un momento in cui nella nostra vita scatta qualcosa”.

Per Parvin il momento era arrivato. “Ho parlato con uno zio che viveva in Portogallo da tre anni e mi ha detto che è un paese molto gradevole”.

Con il suo curriculum e la sua esperienza, avrebbe potuto trasferirsi nel Regno Unito e trovare lavoro in poco tempo come medica. “Molti colleghi l’hanno fatto. Ma nel Regno Unito sarei stata sotto pressione come in Oman. Così ho detto a mio marito: ‘Chiederò il pensionamento anticipato’. Ero svuotata e triste. Ero incinta di due gemelli e li avevo persi”, dice.

Persone sorridenti

Ora che vive in Portogallo, Parvin crede che il paese, oltre a essere “gradevole”, presenti anche altri vantaggi. “Il clima è uguale a quello del Bangladesh. Qui non c’è razzismo nei confronti dei musulmani e i portoghesi sono amichevoli”. Per un breve periodo ha vissuto in Danimarca. “Quando sorridevo, i danesi non ricambiavano. Mentre se sorrido a un portoghese, lui ricambia sempre e mi saluta, mi chiede come mi chiamo. I portoghesi sono brave persone”.

Parvin si sente a suo agio nella cittadina dove ha comprato subito “la casa dei sogni”. Baixa da Banheira è una zona vicina alla capitale, ad appena venti minuti di traghetto, e non è come Lisbona, una città che lei definisce “molto caotica, dove non c’è spazio per respirare”.

Nel palazzo dove vivono, lei e la sua famiglia sono gli unici stranieri. Quando incontra i vicini, però, la salutano sempre: “Se ho un problema mi aiutano, questo è l’aspetto più importante”.

Poco dopo l’arrivo a Baixa da Banheira, ha scoperto che altre famiglie bangladesi vivevano nelle vicinanze e ha fondato un piccolo club, la Comunità delle donne del Bangladesh di Baixa da Banheira. “Siamo in dieci”, racconta. Le donne si riuniscono nel parco José Afonso, 25 ettari di verde lungo la riva del Tago. Mangiano insieme e giocano con i bambini.

Parvin si augura che la figlia, che oggi frequenta il terzo anno delle elementari, possa fare un percorso simile al suo. “Mi sono licenziata in Bangladesh e sono andata in Oman, dove ho costruito la mia esistenza diventando la ‘dottoressa Sabera’. I miei colleghi continuano a mandarmi messaggi dicendo che gli manco. Mi piacerebbe che anche lei si facesse un nome in Portogallo e in Europa”.

Sogna che sua figlia diventi medica e sposi un musulmano. Ma non è indispensabile. “La passione è incontrollabile. C’innamoriamo per caso”. Parvin ne è sicura, perché la sua vita è andata proprio così. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati