Nel 2017, durante una campagna elettorale particolarmente polarizzante nello stato dell’Uttar Pradesh, il primo ministro indiano Narendra Modi è intervenuto per peggiorare le cose. Ha accusato pubblicamente il governo dello stato, guidato da un partito d’opposizione, di assecondare la comunità musulmana spendendo più per i suoi cimiteri (kabristan) che per i terreni di cremazione indù (shamshan). Con il suo solito ghigno e la sua voce stridula ha incitato la folla dicendo: “Se in un villaggio si costruisce un kabristan, si deve costruire anche uno shamshan”.

Shamshan! Shamshan!”, gli ha fatto eco la folla ipnotizzata e adorante.

Sarà contento ora che l’immagine inquietante delle fiamme dei campi di cremazione indiani dove si svolgono i funerali di massa è sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. E che tutti i kabristan e gli shamshan nel suo paese stanno lavorando a dovere, proporzionalmente alle comunità che servono, e molto al di sopra delle loro capacità.

“L’India, con una popolazione di 1,3 miliardi di abitanti, può essere isolata?”, chiedeva retoricamente il Washington Post in un recente editoriale sulla catastrofe in corso e sulla difficoltà a contenere le nuove varianti di covid-19 in rapida diffusione all’interno dei confini indiani. “Non facilmente”, rispondeva. È improbabile che questa domanda il quotidiano se la sia posta quando il coronavirus imperversava nel Regno Unito e in Europa solo pochi mesi fa. Ma in India abbiamo poco diritto di offenderci, date le parole del nostro primo ministro al Forum economico mondiale lo scorso gennaio.

Modi è intervenuto mentre in Europa e negli Stati Uniti la seconda ondata della pandemia era al culmine. Non ha pronunciato una sola parola di solidarietà, si è limitato a un lungo, gongolante monologo sulle infrastrutture dell’India e su quanto il paese sia preparato ad affrontare la pandemia. Eccone alcuni inestimabili frammenti: “Amici, vi porto il messaggio di fiducia, positività e speranza di 1,3 miliardi di indiani in questi tempi di apprensione. Si pensava che l’India sarebbe stata il paese più colpito dal coronavirus. Si diceva che ci sarebbe stato uno tsunami di contagi, qualcuno aveva previsto che sarebbero stati infettati 700-800 milioni di indiani, mentre altri dicevano che ne sarebbero morti due milioni”.

“Amici, non si può giudicare il successo dell’India in rapporto a quello di altri paesi. Un paese che ospita il 18 per cento della popolazione mondiale ha salvato l’umanità da una grande catastrofe contenendo il virus in modo efficace”.

In un tempio sikh a New Delhi, 25 aprile 2021 (Atul Loke, The New York ​Times/Contrasto)

Modi il mago si vantava di aver salvato l’umanità contenendo efficacemente il coronavirus. Adesso che si scopre che non l’ha contenuto affatto, possiamo lamentarci se gli altri ci guardano come fossimo radioattivi? O se i confini di altri paesi vengono chiusi agli indiani e i voli dall’India cancellati? Se siamo chiusi qui con il nostro virus e il nostro primo ministro, con tutta la sofferenza, l’ostilità alla scienza, l’odio e l’idiozia che lui, il suo partito e la sua politica rappresentano?

La nuova valuta

Quando l’anno scorso la prima ondata di covid è arrivata in India e poi si è placata, il governo e chi lo sosteneva erano trionfanti. “L’India non se la passa bene”, ha twittato Shekhar Gupta, il direttore del giornale online The Print. “Ma le nostre fogne non sono intasate dai cadaveri, gli ospedali non hanno finito i letti, i crematori e i cimiteri non hanno esaurito la legna e lo spazio. Troppo bello per essere vero? Portatemi i dati se non siete d’accordo. A meno che non vi crediate dio”. A parte le immagini brutali e irrispettose, c’era bisogno di un dio per dirci che la maggior parte delle pandemie ha una seconda ondata?

Questa era stata prevista, anche se la sua virulenza ha colto di sorpresa perfino scienziati e virologi. Dove sono dunque le infrastrutture specifiche per i malati di covid e il “movimento popolare” contro il virus di cui Modi si vantava nel suo discorso? Negli ospedali non ci sono più letti disponibili. Medici e paramedici sono allo stremo. Amici mi raccontano di reparti senza personale e di più pazienti morti che vivi. La gente muore nei corridoi degli ospedali, per strada e a casa. I crematori di New Delhi hanno finito la legna. Il dipartimento forestale ha dovuto rilasciare un permesso speciale per abbattere gli alberi della città. Le persone, disperate, usano qualunque tipo di legna da ardere riescano a trovare. Parchi e parcheggi sono trasformati in terreni di cremazione. È come se ci fosse un ufo invisibile nei nostri cieli che ci risucchia l’aria dai polmoni. Un tipo di raid aereo mai conosciuto prima.

L’ossigeno è la valuta della nuova morbosa borsa valori indiana. Politici, giornalisti, avvocati e tutta l’élite indiana stanno chiedendo su Twitter letti d’ospedale e bombole d’ossigeno. Il mercato nero delle bombole è in forte espansione. Saturimetri e farmaci sono difficili da trovare. C’è un mercato anche per altre cose. Tangenti per dare un ultimo sguardo alla persona amata, chiusa in un sacco e accatastata in una camera mortuaria dell’ospedale. Un supplemento per un religioso che accetta di dire l’ultima preghiera. Consulenze mediche online in cui famiglie disperate vengono spennate da medici spietati. Al limite della disperazione si vende la terra e la casa, e si usa fino all’ultima rupia per essere curati in un ospedale privato. Basta l’anticipo, prima ancora dell’accettazione al ricovero, per riportare indietro il tenore di vita di una famiglia di due generazioni.

Un centro vaccinale a Mumbai, 16 aprile 2021 (Atul Loke, The New York ​Times/Contrasto)

Niente di tutto questo rende l’idea delle dimensioni del trauma, del caos e soprattutto dell’umiliazione a cui le persone sono sottoposte. Quello che è successo al mio giovane amico T. è solo una delle centinaia, forse migliaia di storie simili accadute a New Delhi. T. ha vent’anni e vive nel minuscolo appartamento dei suoi genitori a Ghaziabad, alla periferia della capitale. Tutti e tre sono risultati positivi al covid. Sua madre si è ammalata gravemente. Dato che erano i primi giorni della pandemia, ha avuto la fortuna di trovarle un letto in ospedale. Suo padre, a cui è stata diagnosticata una grave depressione bipolare, è diventato violento e ha cominciato a farsi del male. Aveva smesso di dormire. Si sporcava. La sua psichiatra stava cercando di aiutarlo online, ma ogni tanto anche lei crollava perché il marito era appena morto di covid. La psichiatra ha detto a T. che il padre aveva bisogno di essere ricoverato in ospedale, ma dato che era positivo non c’era alcuna possibilità di riuscirci. Così T. è rimasto sveglio, notte dopo notte, a tenere fermo il padre, a lavarlo e pulirlo. Ogni volta che gli parlavo mancava il fiato anche a me. Alla fine mi è arrivato un messaggio: “Mio padre è morto”. Non era morto di covid, ma a causa di un forte aumento della pressione sanguigna provocato dal crollo mentale indotto dalla totale impotenza.

Che fare del corpo? Ho chiamato disperatamente tutti quelli che conoscevo. Tra quelli che hanno risposto c’era Anirban Bhattacharya, che lavora con Harsh Mander, un attivista molto noto in India. Bhattacharya sta per essere processato con l’accusa di sedizione per una manifestazione che ha contribuito a organizzare nel suo campus universitario nel 2016. Mander, ancora con i postumi del covid avuto l’anno scorso, è stato minacciato di arresto e gli orfanotrofi che gestisce rischiano la chiusura perché ha organizzato una mobilitazione contro due provvedimenti discriminatori verso i musulmani approvati nel dicembre 2019: il registro nazionale dei cittadini e l’emendamento sulla cittadinanza. Mander e Bhattacharya sono tra i tanti cittadini indiani che, in assenza di una forma di intervento pubblico, hanno predisposto linee di assistenza telefonica d’emergenza, e si stanno sfiancando per trovare ambulanze e coordinare i funerali e il trasporto dei cadaveri. Questi volontari si espongono a un grave rischio. Nella nuova ondata della pandemia, sono i giovani che si ammalano e che riempiono i reparti di terapia intensiva. Quando i giovani muoiono, i più anziani tra noi perdono un po’ della loro voglia di vivere. Il padre di T. è stato cremato. T. e sua madre si stanno riprendendo.

Una sorta di democrazia

Alla fine le cose si sistemeranno, certo. Ma non sappiamo chi di noi sopravvivrà per vedere quel giorno. I ricchi respireranno meglio. I poveri no. Per ora, tra malati e moribondi c’è una sorta di democrazia. Anche i ricchi sono stati decimati. Gli ospedali non hanno ossigeno. Qualcuno ha cominciato a portarselo da sé. La crisi dell’ossigeno ha provocato conflitti indecorosi tra stati, con i partiti che cercano di allontanare ogni responsabilità.

La notte del 22 aprile, venticinque pazienti in condizioni critiche che andavano trattati con ossigeno ad alti flussi sono morti in uno dei più grandi ospedali privati di New Delhi, il Sir Ganga Ram. L’ospedale ha lanciato vari appelli disperati in cerca di rifornimenti. Il giorno dopo, il presidente del consiglio d’amministrazione dell’ospedale si è affrettato a chiarire: “Non possiamo dire che siano morti per mancanza d’ossigeno”. Il 24 aprile altri venti pazienti sono morti quando un altro grande ospedale della capitale, il Jaipur Golden, ha esaurito l’ossigeno. Quello stesso giorno, nell’alta corte di New Delhi il procuratore generale Tushar Mehta, parlando a nome del governo, ha detto: “Proviamo a non piagnucolare troppo, finora abbiamo fatto in modo che nel paese nessuno restasse senza ossigeno”.

Ajay Mohan Bisht, il primo ministro dalla veste color zafferano dell’Uttar Pradesh, noto come Yogi Adityanath, ha dichiarato che non c’è carenza di ossigeno in nessun ospedale del suo stato. Chiunque sparga questa voce sarà arrestato e detenuto senza possibilità di cauzione ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale, e i suoi beni saranno sequestrati.

Un tampone su due a Calcutta, la capitale dello stato, risulta positivo

Yogi Adityanath non scherza. Siddique Kappan, un giornalista musulmano del Kerala, detenuto per mesi nell’Uttar Pradesh dopo che lui e altri due erano andati nello stato per denunciare lo stupro di gruppo e l’omicidio di una ragazza dalit nel distretto di Hathras, è gravemente ammalato ed è risultato positivo al covid. Sua moglie, in una disperata petizione al presidente della corte suprema, dice che il marito giace incatenato “come un animale” a un letto d’ospedale del Medical college di Mathura (il 25 aprile la corte suprema ha ordinato al governo dell’Uttar Pradesh di trasferirlo in un ospedale di New Delhi). Quindi, se vivi nell’Uttar Pradesh, il messaggio sembra essere: fatti un favore e muori senza lamentarti.

Chi si lamenta non rischia solo nell’Uttar Pradesh. Un portavoce dell’organizzazione fascista e nazionalista indù Rashtriya swayamsevak sangh (Rss) – di cui fanno parte Modi e molti dei suoi ministri, e che ha una sua milizia armata – ha avvertito che i “nemici dell’India” useranno questa crisi per alimentare la “negatività” e la “sfiducia” e ha chiesto ai mezzi d’informazione di collaborare per promuovere un “clima positivo”. Twitter ha contribuito disattivando gli account che criticavano il governo.

Dove cercare conforto? Nella scienza? Ci aggrapperemo ai numeri? Quanti morti? Quanti guariti? Quanti contagiati? Quando arriverà il picco? Il 27 aprile il bollettino era di 323.144 nuovi casi e 2.771 morti. La precisione è alquanto rassicurante. Ma come facciamo a controllare? I tamponi sono difficili da trovare, perfino a New Delhi. I funerali celebrati secondo il protocollo covid nei cimiteri e crematori di paesi e città più piccole fanno pensare a un numero di vittime fino a trenta volte superiore. I medici che lavorano fuori dalle aree metropolitane sanno bene come vanno le cose lì.

Un altro esodo

Se la capitale sta cedendo, cosa possiamo immaginare che stia succedendo nei villaggi del Bihar, dell’Uttar Pradesh, del Madhya Pradesh, dove decine di milioni di lavoratori delle città stanno tornando dalle loro famiglie portando con sé il virus, traumatizzati dal ricordo del lockdown imposto da Modi nel 2020? È stato il lockdown più rigido del mondo, annunciato con solo quattro ore di preavviso. Ha lasciato i lavoratori migranti bloccati nelle città senza lavoro, senza soldi per pagare l’affitto, senza cibo e senza mezzi di trasporto. Molti hanno dovuto camminare per centinaia di chilometri per raggiungere le loro case in villaggi remoti. Centinaia sono morti durante il viaggio.

La sepoltura di un morto di covid-19 a Gauhati, 25 aprile 2021 (Anupam Nath, Ap/Lapresse)

Questa volta, anche se non c’è un blocco nazionale, i lavoratori sono partiti finché i treni e gli autobus erano ancora in funzione. Se ne sono andati perché sanno che, anche se sono il motore dell’economia di questo enorme paese, quando arriva una crisi, agli occhi del governo semplicemente non esistono. L’esodo stavolta ha provocato un altro tipo di caos: non ci sono più i centri dove fare la quarantena prima di entrare nei villaggi. Non c’è nemmeno il modesto tentativo di proteggere le campagne dal virus delle città.

Parliamo di villaggi in cui le persone muoiono di malattie facilmente curabili come la diarrea e la tubercolosi. Come possono affrontare il covid? Ci sono tamponi per loro? Ci sono ospedali? C’è l’ossigeno? Ma soprattutto, c’è amore? Lasciamo stare l’amore, c’è almeno la preoccupazione? Non c’è. Perché dove dovrebbe esserci il cuore pubblico dell’India c’è solo un buco a forma di cuore pieno di fredda indifferenza.

La mattina del 28 aprile è arrivata la notizia che il nostro amico Prabhubhai è morto. Prima di morire, ha mostrato i classici sintomi del covid-19. Ma la sua fine non rientrerà nei conteggi ufficiali perché è morto a casa senza aver fatto un tampone né una terapia. Prabhubhai era un sostenitore del movimento contro la diga nella valle di Narmada. Sono stata più volte a casa sua a Kevadia, dove alcuni decenni anni fa il primo gruppo di tribù indigene fu cacciato dalle sue terre per fare spazio alla colonia di costruttori e funzionari pubblici. Famiglie sfollate come quella di Prabhubhai vivono ancora ai margini di quella colonia, impoverite e instabili, fuorilegge su una terra che un tempo era loro.

Non c’è ospedale a Kevadia. C’è solo la statua dell’unità, costruita a somiglianza del combattente per la libertà e primo vicepremier dell’India, Sardar Vallabhbhai Patel, da cui prende il nome la diga. Con i suoi 182 metri, è la statua più alta del mondo ed è costata 422 milioni di dollari. Gli ascensori ad alta velocità al suo interno portano i turisti a vedere la diga di Narmada dall’altezza del petto di Sardar Patel. Ovviamente, non si può vedere la civiltà della valle del fiume che giace distrutta, sommersa nella profondità di quel vasto bacino idrico, né si possono ascoltare le storie delle persone che hanno intrapreso una delle lotte più belle ed emozionanti che il mondo abbia mai conosciuto, non solo contro quella diga, ma contro l’idea diffusa di cosa siano la civiltà, la felicità e il progresso. La statua è il progetto prediletto di Modi, che l’ha inaugurata nell’ottobre del 2018.

L’amico che mi ha inviato il messaggio su Prabhubhai aveva trascorso anni a lottare contro la diga nella valle di Narmada. Ha scritto: “Le mie mani tremano mentre scrivo. La situazione del covid dentro e intorno alla colonia di Kevadia è orribile”.

“Proviamo a non piagnucolare”.

Questioni più urgenti

Cerchiamo di dimenticare che la possibilità di una grave carenza d’ossigeno era stata già segnalata nell’aprile del 2020, e poi di nuovo a novembre da un comitato istituito dal governo stesso. Cerchiamo di non chiederci perché nemmeno i più grandi ospedali di New Delhi hanno un loro impianto per la produzione di ossigeno. Cerchiamo di non chiederci perché il Pm cares fund – l’organizzazione poco trasparente che ha recentemente sostituito il Prime minister national relief fund, e che usa denaro pubblico e infrastrutture governative ma funziona come un fondo privato senza alcun obbligo di rispondere pubblicamente – si è improvvisamente fatto avanti per risolvere la crisi dell’ossigeno. Ora Modi possiede anche azioni del nostro rifornimento d’aria?

Dovete capire che per il governo Modi c’erano, e ci sono, questioni molto più urgenti da risolvere. Distruggere le ultime vestigia di democrazia, perseguitare le minoranze e consolidare le fondamenta della nazione indù è molto impegnativo. Ci sono enormi complessi carcerari, per esempio, che devono essere costruiti con urgenza nell’Assam per i due milioni di persone che vivono lì da generazioni e sono state improvvisamente private della cittadinanza (su questo, la nostra corte suprema indipendente si è schierata con decisione dalla parte del governo).

Ci sono centinaia di studenti, attivisti e giovani musulmani da processare e incarcerare come principali accusati del pogrom contro la loro comunità nel nordest di New Delhi lo scorso marzo. In India, se sei musulmano, essere assassinato è un crimine. La tua gente dovrà pagare.

L’India spende per la sanità circa l’1,25 per cento del prodotto interno lordo

C’era l’inaugurazione del nuovo tempio di Ram ad Ayodhya, che stanno costruendo al posto della moschea ridotta in polvere dai vandali indù protetti dal Bharatiya janata party (Bjp). Anche in questo caso, la corte suprema si è pronunciata a favore del governo e dei vandali.

C’erano le nuove leggi agrarie da approvare, che consegnano il settore agricolo alle grandi aziende private. C’erano centinaia di migliaia di contadini da picchiare e attaccare con i lacrimogeni quando sono scesi in piazza per protestare.

Poi c’è il piano multimilionario per la nuova sede del governo, di cui occuparsi urgentemente. Dopotutto, come può il governo della nuova India essere ospitato in vecchi edifici? Mentre New Delhi è in lockdown, devastata dalla pandemia, sono cominciati i lavori per la realizzazione del progetto Central Vista, dichiarato un servizio essenziale, per il quale sono stati fatti venire operai da fuori città. Forse dovrebbero modificare il progetto e aggiungerci anche un crematorio.

Poi c’era da organizzare il Kumbh mela, per permettere a milioni di pellegrini indù di ammassarsi in una piccola città e bagnarsi nel Gange, e diffondere equamente il virus una volta tornati a casa, benedetti e purificati. Il Kumbh non è stato disdetto, anche se Modi ha sommessamente suggerito che l’abluzione sacra avrebbe potuto essere solo “simbolica”, qualunque cosa questo significhi.

C’erano anche quelle poche migliaia di rifugiati rohingya che dovevano essere rimpatriati con urgenza in Birmania, dal cui regime genocida erano fuggiti, nel bel mezzo di un colpo di stato (ancora una volta, quando è stata consultata in merito, la corte suprema indipendente ha concordato con il governo).

Quindi, come potete vedere, Modi è stato impegnatissimo. Oltre a tutte queste faccende urgenti, c’era un’elezione da vincere nello stato del Bengala occidentale. Questo ha costretto il nostro ministro dell’interno, Amit Shah, l’uomo di Modi, ad abbandonare quasi tutti i suoi doveri e concentrare l’attenzione sul Bengala per mesi, per diffondere la propaganda omicida del suo partito e mettere l’uno contro l’altro gli abitanti di ogni piccola città e villaggio. Geograficamente parlando, il Bengala occidentale è un piccolo stato. Le elezioni avrebbero potuto svolgersi in un solo giorno, com’è successo in passato. Ma poiché per il Bjp è un nuovo terreno di conquista, il partito ha avuto bisogno di tempo per spostare i suoi funzionari, molti dei quali non sono di lì, da un collegio all’altro per sovrintendere alle operazioni di voto. Il calendario delle elezioni è stato suddiviso in otto fasi, distribuite nell’arco di un mese, l’ultima si è svolta il 29 aprile. Mentre il numero dei contagi aumentava, gli altri partiti imploravano la commissione elettorale di modificare il calendario, ma questa si è rifiutata di farlo schierandosi dalla parte del Bjp, e la campagna è andata avanti. Chi non ha visto i video della star del Bjp, lo stesso primo ministro, trionfante e senza mascherina, che parlava a folle di persone anche loro senza mascherina, ringraziandole di essere lì in un numero senza precedenti? Era il 17 aprile, quando il numero ufficiale delle infezioni giornaliere era già salito a 200mila. Ora, a votazioni concluse, lo stato è pronto a diventare il nuovo calderone di coronavirus, con un nuovo ceppo mutante noto come – indovinate un po’? – “variante del Bengala”. I giornali riferiscono che un tampone su due a Calcutta, la capitale dello stato, è positivo al covid. Il Bjp ha dichiarato che se avesse conquistato il Bengala, avrebbe garantito a tutti il vaccino gratis. E se non ce l’avesse fatta, come poi è accaduto?

Da sapere
Dati sottostimati

◆ Il 1 maggio 2021 per la prima volta in India sono stati registrati più di 400mila contagi giornalieri da sars-cov-2. Ma, secondo M. Vidyasagar, capo del gruppo di scienziati incaricati di studiare e prevedere la diffusione del virus, i casi positivi potrebbero essere cinquanta volte di più, dato l’alto numero di asintomatici. Anche il numero ufficiale dei morti di covid-19, dicono gli esperti, è molto sottostimato. Il 29 aprile un centinaio di scienziati indiani ha firmato un appello al primo ministro Narendra Modi perché migliori la raccolta dei dati epidemiologici e li renda accessibili alla comunità scientifica. Le vaccinazioni procedono, ma solo il 2 per cento della popolazione ha ricevuto finora le due dosi del vaccino.

◆Il 29 aprile il Bharatiya janata party (Bjp) di Modi ha perso le elezioni nel Bengala Occidentale. Il Bjp aveva investito molto nella campagna elettorale nello stato, invece ha trionfato il partito della governatrice Mamata Banerjee, che si è aggiudicata un terzo mandato.

◆Il 4 maggio Rahul Gandhi, del partito del Congress, ha chiesto un lockdown nazionale, “l’unico modo per fermare la diffusione del virus in mancanza di un piano del governo”. The Hindu, Reuters


“Proviamo a non piagnucolare”.

Crimine contro l’umanità

A proposito di vaccini. Sicuri che ci salveranno? L’India non è forse una fucina di vaccini? In effetti, il governo dipende interamente da due aziende, il Serum insti­tute of India (Sii) e la Bharat biotech. A entrambe è consentito distribuire due dei vaccini più costosi del mondo alle persone più povere del mondo. Questa settimana hanno annunciato che li venderanno agli ospedali privati a un prezzo leggermente più alto e agli stati a un prezzo leggermente inferiore. Basta fare due calcoli per rendersi conto che le aziende produttrici probabilmente realizzeranno profitti indecenti. Da quando Modi è al governo, l’economia indiana è stata svuotata e centinaia di milioni di persone che già vivevano un’esistenza precaria sono state spinte verso la povertà estrema. Per sopravvivere, un numero enorme di loro oggi dipende dagli aiuti irrisori del National rural employment guarantee act (Nrega), istituito nel 2005 quando era al governo il partito del Congress. Non ci si può aspettare che famiglie ridotte quasi alla fame spendano la maggior parte del loro reddito mensile per farsi vaccinare. Nel Regno Unito i vaccini sono gratuiti, sono un diritto fondamentale. In India, a dare il principale impulso alla campagna vaccinale sembra sia il profitto delle aziende.

Mentre questa catastrofe di proporzioni epiche va in scena sui canali televisivi indiani allineati con Modi, noterete che tutti parlano con un’unica voce. Il “sistema” è collassato, continuano a ripetere. Il virus ha travolto il “sistema” sanitario indiano. Il sistema non è collassato. Il “sistema” quasi non esisteva. Il governo – questo come quello che lo ha preceduto – ha deliberatamente smantellato le poche infrastrutture sanitarie che c’erano. Questo è quello che succede quando una pandemia colpisce un paese con un sistema sanitario pubblico quasi inesistente. L’India spende per la sanità circa l’1,25 per cento del pil, una percentuale di gran lunga inferiore a quella della maggior parte dei paesi del mondo, perfino dei più poveri. E si ritiene che anche questa cifra sia gonfiata, perché ci hanno infilato dentro cose che sono importanti ma non si qualificano esattamente come assistenza sanitaria. Quindi si stima che la percentuale reale sia più vicina allo 0,34 per cento. La tragedia è che in questo paese disperatamente povero, come dimostra uno studio della rivista Lancet del 2016, il 78 per cento dell’assistenza sanitaria nelle aree urbane e il 71 per cento nelle zone rurali sono ormai gestiti dal settore privato. Le risorse che ancora rimangono nel settore pubblico sono sistematicamente travasate in quello privato da una rete di amministratori e medici corrotti e dal racket delle assicurazioni. L’assistenza sanitaria è un diritto fondamentale. Il settore privato non si occupa delle persone affamate, malate e moribonde che non hanno soldi. Questa pesante privatizzazione dell’assistenza sanitaria è un crimine.

Da sapere
I contagi nel mondo
Nuovi casi confermati di covid-19, per regione, migliaia. (Fonte: Johns Hopkins university)

Il sistema non è collassato. Il governo ha fallito. O forse “fallito” non è la parola giusta, perché ciò a cui stiamo assistendo non è solo negligenza, ma un vero e proprio crimine contro l’umanità. I virologi prevedono che in India i casi aumenteranno esponenzialmente fino a superare i 500mila al giorno. Prevedono che nei prossimi mesi moriranno molte centinaia di migliaia di persone. I miei amici e io abbiamo deciso di chiamarci ogni giorno solo per segnalare la nostra presenza, come quando si fa l’appello a scuola. Parliamo con trepidazione e in lacrime con le persone che amiamo, non sapendo se le rivedremo mai più. Scriviamo e lavoriamo, non sapendo se vivremo per finire quello che abbiamo cominciato, non sapendo quale orrore e umiliazione ci aspettano. È l’umiliazione a farci soffrire di più.

L’hashtag #ModiMustResign (Modi deve dimettersi) è di tendenza sui social network. Alcuni memi e vignette mostrano Modi con un mucchio di teschi che fanno capolino da dietro la cortina della sua barba. Modi il Messia che parla a un raduno di cadaveri. Modi e Amit Shah che scrutano l’orizzonte come avvoltoi alla ricerca di cadaveri da cui raccogliere voti. Ma questa è solo una parte della storia. L’altra parte è che quell’uomo senza sentimenti, quell’uomo con gli occhi vuoti e un sorriso senza allegria, può, come tanti tiranni in passato, suscitare negli altri sentimenti appassionati. La sua patologia è contagiosa. È questo che lo contraddistingue. Nel nord dell’India, dove vive la maggior parte dei suoi elettori e che quindi, con la sola forza dei numeri, tende a decidere il destino politico del paese, il dolore che Modi infligge sembra trasformarsi in un piacere particolare.

Fredrick Douglass aveva ragione: “I limiti dei tiranni sono definiti dalla capacità di resistenza delle persone che opprimono”. Noi in India siamo orgogliosi della nostra capacità di resistere. Siamo meravigliosamente addestrati a meditare, a guardarci dentro, a esorcizzare la nostra rabbia e a giustificare la nostra incapacità di essere ugualitari. Abbracciamo con docilità la nostra umiliazione.

Nel 2001, quando ha debuttato in politica come primo ministro del Gujarat, Modi si è assicurato la fama tra i posteri con il cosiddetto pogrom del 2002. Nell’arco di pochi giorni, orde di vigilanti indù, sorvegliate e talvolta attivamente assistite dalla polizia dello stato, hanno ucciso, violentato e bruciato vivi migliaia di musulmani come “rappresaglia” per un raccapricciante incendio doloso scoppiato su un treno in cui erano bruciati vivi più di cinquanta pellegrini indù. Una volta finite le violenze Modi, che fino ad allora era stato nominato primo ministro solo dal suo partito, ha chiesto elezioni anticipate. La campagna che lo rappresentava come hindu hriday samrat (l’imperatore dei cuori indù) gli ha permesso di ottenere una vittoria schiacciante. Da allora non ha mai perso un’elezione. Molti degli assassini nel pogrom del Gujarat sono stati successivamente ripresi dalla telecamera del giornalista Ashish Khetan mentre si vantavano di come avevano fatto a pezzi le persone, squarciato il ventre alle donne incinte e spaccato la testa ai bambini contro le rocce. Dicevano di aver potuto fare quello che avevano fatto solo perché Modi era il loro primo ministro. Quei video sono andati in onda sulla tv nazionale. Mentre Modi rimaneva al potere, Khetan, le cui riprese sono state portate in tribunale ed esaminate dagli esperti, è comparso come testimone in diverse occasioni. Nel corso del tempo alcuni degli assassini sono stati arrestati, ma molti sono stati poi rilasciati. Nel suo recente libro, Undercover. My journey into the darkness of hindutva, Khetan descrive nel dettaglio come, durante il mandato di Modi, la polizia del Gujarat, i giudici, gli avvocati, i pubblici ministeri e le commissioni d’inchiesta hanno collaborato per manomettere prove, intimidire testimoni e trasferire giudici.

Pur sapendo tutto questo, molti dei cosiddetti intellettuali indiani, gli amministratori delegati delle principali aziende e i mezzi d’informazione di loro proprietà hanno fatto di tutto per spianare la strada a Modi affinché diventasse primo ministro. Hanno umiliato e messo a tacere quelli di noi che insistevano nel criticarlo. “Voltiamo pagina”, ripetevano. Ancora oggi mitigano le loro dure parole nei confronti di Modi con elogi per le sue doti oratorie e il suo “impegno”. Le loro denunce e il loro disprezzo per gli esponenti dei partiti d’opposizione sono molto più martellanti. Riservano un particolare disprezzo a Rahul Gandhi del partito del Congress, l’unico politico che ha costantemente annunciato l’imminente crisi del covid e ha ripetutamente chiesto al governo di prepararsi come meglio poteva. Aiutare il partito al governo nella sua campagna per distruggere tutti i partiti d’opposizione equivale a essere complici nella distruzione della democrazia.

L’India ha bisogno di aiuto

Quindi eccoci qui, nell’inferno che tutti insieme hanno creato, con ogni istituzione indipendente essenziale per il funzionamento di una democrazia compromessa e svuotata, e un virus fuori controllo. Quella macchina generatrice di crisi che è il governo indiano non è in grado di portarci fuori da questa catastrofe. Non da ultimo perché in questo governo è un unico uomo a prendere le decisioni, e quell’uomo non solo è pericoloso ma anche poco intelligente. Questo virus è un problema internazionale. Per affrontarlo, il processo decisionale, almeno per quanto riguarda il controllo e l’amministrazione della pandemia, dovrebbe passare nelle mani di un organo composto da rappresentanti del partito al governo, dell’opposizione ed esperti di sanità pubblica.

Quanto a Modi, è possibile proporgli di smettere di commettere crimini? Forse potrebbe semplicemente prendersi una pausa, una pausa da tutto il suo duro lavoro. C’è quel Boeing 777 da 564 milioni di dollari, l’Air India One, che è fermo sulla pista da un po’ di tempo. Lui e i suoi uomini potrebbero semplicemente andarsene. E noi che rimaniamo ci impegneremo al massimo per fare pulizia dietro di loro.

No, l’India non può essere isolata. Abbiamo bisogno di aiuto. ◆ bt

Arundhati Roy è una scrittrice e attivista indiana, vincitrice del Booker Prize nel 1997 con Il dio delle piccole cose (Guanda 2003). Il suo ultimo libro uscito in Italia è Azadi. Libertà, fascismo, fiction all’epoca del Coronavirus (Guanda 2021).

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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati