Al contrario degli altri paesi europei, dopo l’inizio dell’epidemia di covid-19 la Svezia ha scelto di non imporre il distanziamento sociale e di non chiudere i luoghi pubblici. Ma nelle scorse settimane la rabbia degli operatori culturali, uno dei settori più profondamente colpiti dalla crisi sanitaria, è diventata particolarmente evidente: si sono moltiplicate le lettere aperte di artisti disperati, sui giornali sono comparsi articoli molto polemici, in molti hanno chiesto le dimissioni della ministra della cultura e dello sport Amanda Lind, dei Verdi.
Così il 21 agosto il governo ha fatto un annuncio che è stato accolto con grande sollievo (e naturalmente qualche interrogativo): il ministro dell’interno Mikael Damberg ha fatto sapere che presto le sale da spettacolo potranno accogliere più delle cinquanta persone finora autorizzate. Inoltre la ministra della cultura ha promesso un miliardo e mezzo di corone (150 milioni di euro) di aiuti, oltre ai 500 milioni (48 milioni di euro) già versati.
Indicazioni vaghe
A Stoccolma Mikael Brännvall, direttore della Svensk Scenkonst, l’associazione svedese delle arti sceniche, è soddisfatto: “È un segnale positivo, indica che possiamo cominciare a pianificare una vera riapertura, anche se questo è solo un primo passo. Molte cose infatti vanno ancora definite, in particolare per quanto riguarda il numero di spettatori che potranno assistere ai singoli spettacoli”.
Il ministro dell’interno non ha fornito alcuna cifra, ma ha posto delle condizioni: il pubblico dovrà essere seduto e tra i singoli spettatori dovranno esserci almeno due metri di distanza. Damberg ha incaricato l’agenzia della sanità pubblica di definire i limiti del provvedimento insieme agli operatori del settore. Le nuove regole saranno applicate entro il primo ottobre.
“Non si può certo parlare di un ritorno alla normalità”, sottolinea Brännvall. Da ciò l’importanza degli aiuti annunciati. Ma per fare in modo che le parole diventino atti concreti, il governo, composto dai Verdi e dai socialdemocratici, dovrà ottenere in parlamento il sostegno degli alleati centristi e liberali.
L’8 aprile i deputati avevano approvato il primo piano di aiuti da 500 milioni di corone per la cultura (e altrettanti per lo sport). “Purtroppo questi aiuti coprono solo una piccola parte dei redditi persi dall’inizio dell’epidemia”, osserva Calle Nathanson, presidente della Folkets hus och parker, un’organizzazione che riunisce cinquecento istituzioni culturali in tutta la Svezia e il cui fatturato dovrebbe quest’anno ridursi dell’ottanta per cento.
Nessuna disciplina è stata risparmiata dalla crisi. La Svensk Scenkonst, che riunisce un centinaio di teatri, orchestre e compagnie di danza, valuta le perdite in cinquanta milioni di corone alla settimana. Secondo l’organizzazione Musikcentrum, tra giugno e agosto i musicisti professionisti hanno dovuto rinunciare a 260 milioni di corone in compensi. La metà degli scrittori dice di aver registrato una contrazione dei propri redditi a causa degli eventi annullati.
Visto che la Svezia ha scelto di non ordinare il lockdown, in teoria i cinema e i teatri avrebbero potuto rimanere aperti accogliendo un pubblico ridotto. Ma la maggior parte di queste strutture ha preferito chiudere.
Direzione opposta
Mentre nei paesi vicini le restrizioni sono state progressivamente annullate, la Svezia – che ormai è il solo paese in Europa a non imporre l’obbligo della mascherina – si è mossa in direzione opposta affermando che la pandemia era ancora in corso e che le misure di distanziamento sociale dovevano continuare.
◆ Il 19 agosto 2020 la ministra della cultura Roselyne Bachelot si è impegnata a proporre al prossimo consiglio dei ministri, di cui però ancora non si conosce la data, la fine del distanziamento nelle sale da concerto, nei teatri e in generale per gli spettacoli a cui si assiste seduti. Niente più capienze dimezzate e posti vuoti, anche se rimarrà l’obbligo di usare la mascherina. “La ministra ha capito il nostro punto di vista e questo ci fa ben sperare”, ha detto Malika Seguineau, direttrice generale del Prodiss, sindacato nazionale dello spettacolo musicale e di varietà. “Crediamo nel senso di responsabilità degli spettatori, così come quando prendono la metropolitana, il treno e l’aereo, o quando torneranno in ufficio nelle prossime settimane”. Le rivendicazioni degli operatori del settore sono diventate più pressanti dopo la deroga concessa al parco a tema Puy du Fou, in Vandea, che aveva potuto accogliere novemila spettatori, invece dei cinquemila previsti dalla normativa, durante i suoi spettacoli Cinéscénie. La concessione fatta al parco divertimenti è stata annullata, ma ha lasciato molti dubbi, espressi direttamente a Bachelot dagli operatori di settore. “Abbiamo incontrato una ministra molto preoccupata”, ha detto Bertrand Thamin, presidente del sindacato dei teatri privati. “Vuole salvare lo spettacolo dal vivo”. E non è un’esagerazione. Il settore culturale è stato colpito duramente dalla crisi del covid-19. Uno studio diffuso dal ministero a luglio parla di “un crollo degli affari del 25 per cento, rispetto al 2019 (da 97 a 74,7 miliardi di euro)”. Il settore più colpito sarà quello degli spettacoli dal vivo (con una flessione del 72 per cento, pari a una perdita di circa 4,2 miliardi di euro). Il Prodiss ha chiesto anche lo sblocco di un piano di trecento milioni di aiuti alle imprese. Una sala su due rischia di chiudere e sono in ballo 135mila posti di lavoro oltre a tanti soldi.
Guillaume Tion, **
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Quest’estate la frustrazione degli artisti è cresciuta, e spesso non hanno potuto esibirsi nei caffè o nei ristoranti perché il pubblico avrebbe superato le cinquanta persone.
In una lettera aperta rivolta alla ministra della cultura a metà luglio, 173 artisti hanno denunciato un atteggiamento ipocrita: “Vediamo bar e ristoranti pieni, spiagge e prati affollati di gente. Vogliamo sapere perché il nostro settore è punito più duramente degli altri”.
Un’altra polemica riguarda la distribuzione degli aiuti, non sempre assegnati a chi ne aveva più bisogno. In primavera il numero dei professionisti della cultura disoccupati è aumentato del 50 per cento. “Molti lavoratori autonomi hanno perso le fonti di reddito senza ricevere alcun sostegno economico”, afferma Nathanson citando il caso dei tecnici, che hanno “dovuto vendere strumenti e materiali e cominciare dei corsi di formazione per cambiare lavoro”.
Il 21 agosto la ministra della cultura ha anche promesso di rivedere le regole dell’assegnazione dei sussidi. Per Brännvall la questione è molto importante, perché “in futuro rischiamo di vedere scomparire delle competenze professionali che non ritroveremo più”. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1373 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati