Le autorità russe hanno fretta di dichiarare la sconfitta del coronavirus. Il 24 giugno si è festeggiata sulla piazza Rossa la vittoria nella seconda guerra mondiale, la cui celebrazione di solito si svolge il 9 maggio, e il 1 luglio si terrà il referendum sugli emendamenti alla costituzione voluti dal presidente Vladimir Putin. Anche se il virus continua a mietere vittime, Putin sembra fermamente deciso a portare a termine l’“operazione mandato eterno”, che gli consentirà di rimanere al potere anche dopo il 2024, e a far svolgere sulla piazza Rossa di Mosca una sfilata per celebrare la vittoria sul covid-19. Ma c’è qualcosa che disturba la realizzazione di questi piani.
Racconti dal bunker
Il bunker: così i russi hanno ribattezzato lo studio di Putin nella residenza di Novo-Ogarëvo, vicino a Mosca. Seduto davanti al pannello di comando, il presidente si collega con ministri, governatori delle regioni, scienziati e imprenditori. E da lì di tanto in tanto fa i suoi proclami alla nazione.
Durante le videoconferenze con i ministri Putin si presenta come un intraprendente padrone di casa che capisce la situazione e sa quali disposizioni dare affinché tutto proceda secondo il piano. Sgrida i funzionari indolenti, batte il pugno sul tavolo, minaccia col dito indice in aria, lancia sguardi di fuoco. Tutti devono vedere e sapere: non ci sarà pietà per chi non rispetta le misure per la difesa della salute dei russi. E nessuno deve pensare che dietro a quella scrivania possa sedere qualcuno che non sia Vladimir Putin.
Nei discorsi indirizzati ai cittadini, invece, il presidente indossa la maschera del padre premuroso e si rivolge ai russi chiamandoli “miei cari”. Afferma che è necessario adattarsi alle restrizioni, resistere, non lasciarsi prendere dalle emozioni. Assicura aiuti finanziari alle famiglie con bambini, esorta il governo a introdurre programmi di sostegno per le attività economiche e imprenditoriali e loda l’esercito, impegnato nella costruzione di ospedali mobili.
Ma, come ha osservato il giornalista Andrej Kolesnikov, quando un leader autoritario prova a ridurre la distanza tra sé e la società, significa che si sente insicuro.
L’incertezza del Cremlino, d’altra parte, era già stata messa in luce dal modo in cui è stata scelta la soluzione al “problema 2024”, cioè come gestire il potere dopo la fine dell’attuale mandato presidenziale. Putin ha esitato a lungo sul modello da adottare.
La tv riversa nelle case dei russi un flusso costante di notizie tranquillizzanti
All’inizio si è pensato di ripetere l’esperienza della cosiddetta tandemocrazia, magari con Dmitrij Medvedev nel ruolo di sostituto di Putin al Cremlino per un mandato, com’era già successo tra il 2008 e il 2012. La scelta, tuttavia, è subito sembrata troppo rischiosa, sia per lo stesso Putin, sia per il pericolo che emergessero divisioni nell’assetto di potere. Il timore era che il “sostituto” potesse intraprendere riforme capaci di portare allo smantellamento del sistema, esattamente come successe con Michail Gorbačëv, che con la perestrojka contribuì ad accelerare il crollo dell’Unione Sovietica.
Il gruppo che detiene il potere si è quindi convinto che solo Putin è in grado di assicurare il controllo della situazione politica, dei flussi finanziari e della corruzione su cui si regge il sistema burocratico. Così ha preso forma l’operazione che gli consentirà di rimanere al Cremlino.
Secondo la vecchia legge, nel 2024 Putin non si sarebbe più potuto candidare alla presidenza. La carica, infatti, non può essere ricoperta per più di due mandati consecutivi. Per questo a gennaio il Cremlino ha avviato un processo di riforma della costituzione che, attraverso alcuni emendamenti, punta ad azzerare la conta dei mandati passati per consentire a Putin di partecipare alle prossime presidenziali.
La nuova legge è già stata votata da entrambe le camere del parlamento, approvata dal tribunale costituzionale e firmata dal presidente. E il 22 aprile doveva essere sottoposta al vaglio dei russi con un referendum popolare. Ma è qui che è entrato in scena il nuovo coronavirus: per evitare la diffusione dell’epidemia il voto è stato rinviato. Dopo qualche settimana di stallo, però, il Cremlino si è rimesso all’opera per realizzare il piano che aveva dovuto rimandare. La commissione elettorale ha sbloccato il finanziamento della campagna referendaria. È cominciato l’allestimento dei seggi, sono state create le commissioni elettorali, e la propaganda ha ripreso a martellare. In tv sono ricomparsi i video che invitano i russi ad andare alle urne.
Putin farà di tutto per conservare l’ultima parola nelle questioni decisive
Ma se prima della pandemia Putin era certo dell’esito positivo del plebiscito, oggi ci sono diversi elementi d’incertezza. Il virus ha fatto sensibilmente diminuire il gradimento del presidente. Secondo l’istituto di ricerca indipendente Levada center, a maggio Putin aveva l’appoggio del 59 per cento dei russi, la cifra più bassa mai registrata da quando è al potere.
In questa situazione non è detto che le autorità riusciranno a mobilitare una società provata dalla pandemia, convincendola ad andare alle urne per tenere in vita un sistema che si è dimostrato inefficiente. Il parlamento russo ha approvato con grande rapidità la legge che consente di votare online o per posta, ma neppure questo sembra in grado di assicurare al Cremlino un’affluenza elevata e il risultato sperato. Gli equilibrismi giuridici che hanno permesso a Putin di restare in carica non hanno mai goduto dell’approvazione dei cittadini, e il Cremlino oggi appare in difficoltà.
Anche se, come sostengono i commentatori della radio Echo Moskvy, “il Cremlino farà saltare fuori senza problemi i numeri che gli servono”, è tuttavia evidente che il virus ha ostacolato i piani del potere e alterato il rapporto tra autorità e società. “La gente è convinta che sia il governo a dovergli qualcosa, non il contrario”, scrive il politologo Aleksander Baunov. “I regimi che si reggono sul potere personale del leader rimangono in piedi grazie a un preciso contratto sociale: si cedono alcuni diritti e libertà in cambio della sicurezza. Secondo questo patto, in una situazione di pericolo ci si aspettano dal capo azioni decise nell’interesse della collettività, al fine di assicurare tranquillità e certezza del domani. Durante la pandemia i russi non hanno visto niente di simile”.
Ma non è tutto. Invece di affrontare direttamente la situazione, Putin ha demandato parte delle responsabilità ai “piani inferiori”, ovvero alle amministrazioni delle regioni. I governatori, fino a oggi dipendenti in tutto e per tutto da Mosca, si sono improvvisamente trovati a doversela cavare da soli. E non tutti sono stati in grado di farlo.
In modalità straordinaria
Le autorità hanno gestito il lockdown in modo caotico: i cittadini non hanno ricevuto l’aiuto sperato né sono riusciti a orientarsi nei contorti meccanismi dei programmi di sostegno governativi. Il risultato è che molti si sono sentiti mancare la terra sotto i piedi o addirittura hanno perso le loro fonti di sostentamento. Inoltre i russi hanno avuto l’impressione che Putin non gli abbia assicurato il sostegno necessario in un settore fondamentale: l’assistenza sanitaria.
Negli ultimi anni il governo ha varato un programma per “ottimizzare il funzionamento della sanità pubblica”, che ha portato alla chiusura di molti ospedali e ambulatori. Di fronte alla pandemia è quindi dovuto intervenire il ministero della difesa, che ha costruito in tutta fretta 16 ospedali per malati di covid-19 in tutto il paese, da San Pietroburgo alla Kamčatka. Il problema è che in molte strutture mancano i medicinali e il personale medico.
Anche a Mosca e nel territorio urbanizzato che la circonda – dove si concentra la maggior parte dei casi – sono sorti ospedali improvvisati. Uno, in particolare, è stato allestito in un padiglione del complesso espositivo Crocus Expo, di proprietà di Araz Agalarov. Il nome di Agalarov è venuto fuori in occasione delle inchieste sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016. Durante la campagna elettorale americana Agalarov, suo figlio e i suoi collaboratori si sono incontrati con persone della cerchia di Donald Trump.
Agalarov è uno dei cento russi più ricchi e ha fatto fortuna nell’edilizia di lusso. Durante l’epidemia è finito sulle prime pagine dei giornali quando si è saputo che aveva ottenuto un contratto per allestire un ospedale, ovviamente senza nessun bando pubblico. Secondo Echo Moskvy, l’imprenditore avrebbe guadagnato quasi due miliardi di rubli (circa 25 milioni di euro) per aver creato circa 1.500 posti letto per malati di covid-19.
Un nuovo atteggiamento
Tornando agli effetti politici e sociali dell’epidemia, altri elementi fanno pensare che il vecchio ordine è ormai saltato. Non solo il patto sociale si è incrinato, ma si è anche chiuso il rubinetto dei petrodollari. Il crollo del prezzo di gas e petrolio – le principali esportazioni della Russia – va avanti da tempo e sicuramente continuerà. Dal suo bunker, Putin assicura che nonostante questi problemi il programma del governo per l’attivazione degli ammortizzatori sociali non si fermerà. Tuttavia non si è ancora deciso a mettere mano alle risorse accumulate durante gli anni di vacche grasse nel fondo sovrano, una sorta di paracadute a cui il Cremlino ricorrerà se la crisi durerà ancora a lungo. Secondo gli esperti, al momento il paese dispone di liquidità ancora per due anni. Il presidente spera tuttavia che dopo la pandemia cominci rapidamente la ripresa e che l’economia si rimetta presto in piedi.
Questa prudenza nell’uso dei fondi accumulati significa che i programmi di copertura per le imprese saranno all’insegna del risparmio e che non tutti riceveranno aiuti. Già oggi è evidente che il sistema avvantaggia soprattutto le aziende in mano a parenti e amici delle élite politiche vicine al Cremlino, mentre i medi e piccoli imprenditori – poco graditi al governo – resteranno a bocca asciutta. Si tratta spesso di persone attive e indipendenti, piuttosto inclini a criticare la corruzione e l’inefficienza del sistema. Il putinismo preferisce aiutare le grandi aziende statali, i cui capi sono stati scelti tra i fedelissimi del Cremlino.
Anche se, come sostiene Gleb Pavlovskij, grande conoscitore dei corridoi del Cremlino, “non si tornerà alla primavera”, cioè alla situazione di prima della pandemia, Putin farà di tutto perché ci siano meno cambiamenti possibile e per conservare l’ultima parola nelle questioni decisive.
Intanto i politologi riuniti nel Comitato d’iniziativa civica, un’associazione indipendente che si batte per la modernizzazione del paese, interpretando le dinamiche in atto nella società russa scrivono che “l’atteggiamento dei russi sta cambiando. Si sta affermando un sentimento di aggressività nei confronti delle autorità e il bisogno di essere governati con il pugno di ferro è quasi del tutto scomparso: sempre più spesso i cittadini pretendono il rispetto dei loro diritti”.
Nella società russa potrebbe anche crescere il livello di violenza.
◆ Il 1 luglio 2020 i russi andranno alle urne per approvare la riforma costituzionale che prevede emendamenti a 14 articoli della carta, tra cui quello che azzera il conto dei mandati presidenziali svolti finora da Vladimir Putin, consentendogli di candidarsi per altri due incarichi a partire dal 2024. La votazione era inizialmente prevista per il 22 aprile, ma è stata rimandata per la pandemia. Ufficialmente non è definita referendum ma voto nazionale (in russo obščerossijskoe golosovanie). Per la prima volta gli elettori potranno votare anche online. Secondo l’istituto indipendente Levada Center, il 44 per cento dei russi appoggia la riforma e il 32 per cento è contrario.
◆“Il referendum è un gesto simbolico più che una necessità giuridica”, scrive sul Moscow Times Ilja Šepelin, giornalista della tv indipendente Dožd. “Come tutti sanno, gli ubbidienti politici che siedono alla camera e al senato approvano qualunque proposta di Putin. Sarebbe quindi rischioso affidarsi al loro giudizio. No, per un obiettivo così importante bisogna coinvolgere l’intera popolazione, così che in futuro non ci saranno scuse. Per questo Putin sta cercando di portare tutti alle urne”. Secondo Šepelin, tuttavia, “il piano per organizzare un folle rituale elettorale nel mezzo di una pandemia è fallito. Per capire perché basta osservare come il voto è stato presentato ai russi. Gli slogan del governo affermano che il referendum è di importanza vitale per il paese”. L’unica cosa che il Cremlino non ha più la forza di dire con chiarezza è che il voto “servirà essenzialmente per consentire a Putin di rimanere al potere altri dodici anni. Così, quella che doveva essere una trionfale usurpazione di potere si è trasformata in un timido tentativo di cambiare i termini di un contratto scritti in lettere così piccole che il contraente neanche li leggerà prima di accettare”.
Statistica creativa
Uno dei classici metodi del Cremlino per gestire le crisi è l’adozione di interventi ibridi, che prevedono anche la possibilità di mentire per raggiungere gli obiettivi stabiliti, osserva la giornalista e scrittrice Julija Latynina. Ma non tutti si bevono le menzogne del Cremlino. Prendiamo, per esempio, i dati sul numero di contagiati e morti che sono comunicati quotidianamente. Le autorità sottolineano ogni giorno che la Russia ha l’indice di mortalità per covid-19 più basso del mondo. Questo dovrebbe convincere i cittadini dell’efficacia dell’azione del governo e del livello di eccellenza della sanità nazionale. Così, se i dati vengono contestati o messi in discussione, le autorità reagiscono in modo isterico. Quando, per esempio, il Financial Times e il New York Times hanno pubblicato documenti che dimostrerebbero la falsificazione delle statistiche, con un abbassamento dei decessi anche del 70 per cento, il ministero degli esteri russo ha minacciato di ritirare l’accredito ai giornalisti delle due testate.
Questa reazione così aggressiva è dovuta alla natura stessa della propaganda russa sulla gestione dell’epidemia. Il Cremlino punta infatti a contrapporre l’inetto occidente a una Russia governata in modo efficiente e la cui popolazione è capace di grande spirito di sacrificio. La narrazione è evidentemente falsa, e per renderla credibile bisogna mettere a tacere ogni racconto alternativo.
I giornalisti della rivista indipendente Novaja Gazeta hanno dimostrato che il numero degli infetti è sistematicamente abbassato dai governatori regionali che hanno a che fare con una difficile situazione economica e scalpitano per una rapida ripresa delle attività industriali nelle aree che amministrano. Il giornale ha anche messo a confronto i dati sui decessi anno dopo anno, scoprendo che a Mosca ad aprile sono morte 1.855 persone in più rispetto allo stesso mese del 2019. Secondo i dati ufficiali, nello stesso periodo i decessi per covid-19 nella capitale sono stati 658.
E ancora: secondo i calcoli del sito MediaZona, fino alla metà di maggio ci sono stati almeno 186 decessi per coronavirus tra il personale medico. Se si dà credito ai dati ufficiali, che parlano di circa tremila decessi fino a quel momento, vuol dire che tra i morti per covid-19 in Russia uno su 15 è un lavoratore della sanità. Sarebbe un dato 16 volte superiore rispetto a quelli dei paesi colpiti dalla pandemia con la stessa intensità della Russia. Decisamente poco probabile.
L’arma del riso
Ogni giorno la tv riversa nelle case dei russi un flusso costante di informazioni e comunicati tranquillizzanti: tutto va bene, Putin e il governo stanno fronteggiando al meglio la situazione; in Russia gli ospedali sono perfettamente riforniti di tutto, non come in occidente, dove mancano attrezzature e farmaci; la curva dei contagi si appiattisce sempre di più; molto presto si potrà proclamare la vittoria definitiva sul virus.
Nello spazio pubblico è presa di mira qualunque narrazione osi mettere in discussione l’ottimistico quadretto offerto dal governo. Nei decreti varati per far fronte alla crisi sono stati inseriti articoli che puniscono la diffusione di notizie false. Si tappa la bocca al personale medico che dice apertamente di non avere mascherine, guanti, tute protettive, che denuncia la mancanza di respiratori o la loro inadeguatezza (in due ospedali sono scoppiati incendi a causa delle avarie di questi macchinari) e che lamenta di non avere ricevuto i compensi promessi per il lavoro straordinario. È proibito anche dire che in molte città i malati non sono sottoposti ai tamponi e nemmeno ricoverati.
Con la popolazione sempre più frustrata, nel paese cresce il bisogno di una valvola di sfogo. In una situazione di pericolo (il 57 per cento dei cittadini dichiara di aver paura del contagio) i russi cercano espedienti per scaricare lo stress. “Il lockdown caotico e privo di una base legale, i divieti, i lasciapassare per potersi muovere a Mosca, lo spreco delle risorse finanziarie non sono solo argomenti di conversazione o motivi d’inquietudine. Sono anche la fonte di battute e scherzi con cui prendersi gioco dell’incoerenza delle autorità. Il riso è un’arma e una medicina”, spiega l’esperta di cultura russa Elena Volkova. Le battute e le barzellette ruotano intorno alle difficoltà materiali dei russi, all’inettitudine delle autorità o allo zelo della polizia nel multare o denunciare chiunque infranga gli obblighi di autoisolamento. Ma il soggetto prediletto è il grande capo. “Putin esce dal suo bunker di Novo-Ogarëvo”, dice una barzelletta. “E alla prima persona che incontra, chiede: ‘Allora, come va l’epidemia?’. ‘È finita da cinque anni’, si sente rispondere. A quel punto si mette una mano sulla fronte: ‘Ma i comunicati del governo dicono che stiamo vincendo la battaglia…”. ◆ dp
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Questo articolo è uscito sul numero 1364 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati