In Mali la guerra si combatte per il carburante. Da settimane il paese affronta una grave penuria dovuta ai jihadisti del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani, che hanno bloccato le strade da cui passano i rifornimenti di benzina, con i camion cisterna sistematicamente presi di mira. La doppia crisi – logistica e di sicurezza – mette alla prova il potere del presidente golpista Assimi Goita, che ha dovuto ricorrere a misure d’emergenza. Il governo ha ricostituito il comitato interministeriale per la gestione delle crisi e delle catastrofi, che deve proporre un piano, garantendo innanzitutto la sicurezza dei convogli e dei siti strategici. Le autorità sanno che la situazione è grave. A settembre il colonnello Abdoulaye Maiga aveva promesso, con toni marziali e la retorica sovranista tipica del potere maliano, di “voler vincere la guerra con la benedizione di Dio e il sostegno del popolo. Anche se dovessimo andare a cercare il carburante a piedi con in mano dei cucchiai, lo faremo”, aveva concluso, pronunciando una frase che aveva fatto il giro dei social media. “Le autorità non avevano scelta”, spiega un analista maliano. “Bisognava rassicurare la popolazione perché la crisi è reale e colpisce duramente Bamako e altre grandi città”.
Racconto e realtà
Il governo cerca di allentare la morsa con una maggiore presenza delle forze armate sulle strade. “I soldati fanno sforzi enormi per garantire la sicurezza delle vie principali”, aveva detto a settembre il generale Makan Alassane Diarra. “Ma non è facile affrontare un nemico che agisce in modo invisibile e imprevedibile, confondendosi tra la popolazione”.
Bamako cerca di controllare il racconto degli eventi: in un discorso a Mosca davanti alla comunità maliana in Russia, Goita ha parlato di “guerra psicologica”: “Non sarà breve, ma dobbiamo andare avanti. Non sarà tutto rose e fiori, ci saranno momenti difficili”. Il potere cerca di trasformare la crisi in una dimostrazione di resilienza.
Ma la tensione è palpabile. Gli attacchi contro le autocisterne si moltiplicano sulle strade N1, N6 e N7 in direzione di Bamako. Di recente i jihadisti hanno fermato degli autobus per fare dei controlli, ordinando alle donne di indossare l’hijab. Inoltre la penuria di carburante pesa sulla vita quotidiana dei maliani. Un insegnante spiega di non essere riuscito ad andare al lavoro: “Negli ultimi giorni ho perso vari giorni di lezione. E visto che sono un supplente, non sarò pagato”. I blackout e l’impennata del prezzo della benzina alimentano lo scontento sui social media, in contrasto con gli appelli ufficiali alla resilienza a tutti i costi.
◆ Il 27 ottobre 2025 il governo maliano ha sospeso le lezioni nelle scuole e nelle università di tutto il paese per due settimane, a causa della scarsità di carburante. A settembre l’organizzazione jihadista Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim) aveva annunciato che avrebbe bloccato tutte le importazioni di combustibile e da allora attacca i camion cisterna che cercano di entrare nel paese e di raggiungere Bamako. Nonostante il prezzo della benzina abbia raggiunto il record di 2.500 franchi cfa (3,80 euro) al litro, si formano lunghe file ai distributori. Molte attività economiche sono paralizzate. Reuters, Mali Tribune
Se non si troverà presto una soluzione, la legittimità del regime militare – fondata anche sulla sua capacità di garantire la sicurezza e di unire il paese intorno all’idea di una sovranità ritrovata – rischia di crollare. La guerra del carburante potrebbe essere la prova del nove per il regime di Goita. ◆ adg
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Questo articolo è uscito sul numero 1638 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati
 
			 
        
                 
                     
                     
                     
	                 
	                 
	                 
            