“Sono felicissimo di aver ricevuto il permesso di soggiorno, era l’ultima possibilità per essere regolarizzato”, spiega Kolo Konate*, 28 anni, della Costa d’Avorio, dopo aver chiuso la sua pratica.

L’entusiasmo, evidente nei suoi occhi, avrebbe potuto essere condiviso da altre migliaia di migranti irregolari che da tempo vivono in Italia senza un permesso di soggiorno. Ma non è stato così. Più di otto mesi dopo la scadenza per la presentazione dei documenti nell’ambito dell’ultima regolarizzazione di massa, il 15 agosto 2020, la maggior parte attende ancora una risposta e molti hanno incontrato delle difficoltà nella presentazione della domanda. I problemi variano dall’impossibilità di presentare la domanda all’infinità di ostacoli lungo il percorso. “Abbiamo organizzato alcuni seminari online per discutere i risultati di questa regolarizzazione, ma non siamo riusciti ad arrivare a delle conclusioni”, ammette Marco Paggi, avvocato del lavoro ed esponente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). “Non esiste uno studio perché gran parte delle richieste deve ancora essere esaminata”. Il meccanismo di regolarizzazione ha già mostrato diversi impedimenti. Prima di tutto è selettivo. Gli immigrati che vivono in Italia da prima dell’8 marzo 2020 (senza aver mai lasciato il paese da allora) hanno potuto presentare richiesta solo in due casi. Se erano riusciti a trovare un datore di lavoro disposto ad assumerli o che li faceva lavorare già irregolarmente. Questo caso si applica solo a chi cercava lavoro (o già lavorava) in determinati settori. Il secondo, invece, riguarda quelli che potevano dimostrare di aver lavorato in tali settori prima del 31 ottobre 2019. In questo caso le persone che avevano un permesso di soggiorno, della durata di sei mesi dalla presentazione della domanda, potevano convertirlo in un permesso di lavoro presentando un contratto d’assunzione.

Per le associazioni, le autorità avrebbero dovuto garantire tessere sanitarie temporanee durante la pandemia

La natura non inclusiva della regolarizzazione e le lunghe attese per ottenere un permesso di soggiorno hanno creato molti problemi. L’esclusione di numerosi settori lavorativi ha lasciato migliaia di persone in una condizione di irregolarità e senza la possibilità di avere accesso all’assistenza sanitaria. Non un buon risultato per una legge che avrebbe dovuto “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della diffusione del covid-19”.

“Ho trovato molti lavori, soprattutto negli autolavaggi, ma sfortunatamente non vanno bene per la regolarizzazione”, spiega Nisar Khan*, 30 anni, pachistano.

A causa dei ritardi burocratici, inoltre, spesso molti immigrati hanno avuto il permesso di soggiorno quando mancava una settimana alla scadenza o quando il termine era già scaduto. Significa che per mesi molti di loro si sono ritrovati in uno stato di profonda incertezza. Molte delle persone ancora in attesa di una risposta raccontano che ormai i datori di lavoro che erano disposti ad assumerli non avevano più bisogno di loro. Questo perché nel settore agricolo i posti di lavoro sono stagionali. “Sono molto preoccupato. Ho già un’occupazione, ma i documenti non arrivano”, dice Babacar Diarra*, 28 anni, guineano.

Pagare per essere assunto

Le misure non hanno fatto altro che alimentare l’irregolarità, cioè proprio il problema che avrebbero dovuto risolvere. Il processo di regolarizzazione non ha offerto una soluzione alle carenze di manodopera nell’agricoltura. Solo 30.694 domande su 207.542 registrate a dicembre dal ministero dell’interno sono arrivate dall’agricoltura, circa il 15 per cento del totale. “Non è una novità. La disponibilità degli imprenditori agricoli a regolarizzare la manodopera è rara”, dice Paggi. “Qualcuno è riuscito a farsi mettere in regola pagando il titolare o il caporale. Hanno lavorato per un certo periodo gratis pur di essere regolarizzati”. La cifra richiesta può raggiungere diverse migliaia di euro. È quello che è successo anche a Khan, ma nell’ambito dei lavori domestici. Il pensionato che l’ha assunto gli ha chiesto in cambio mille euro.

Presentare domanda di regolarizzazione significa rinunciare alla richiesta d’asilo, e se la domanda non viene accettata ci si ritrova senza niente, dopo mesi di attese e speranze. “Che differenza fa il settore in cui lavoro? Mentre aspettavo il permesso di soggiorno i problemi si sono accumulati: salute, denaro, futuro…”, spiega Khan.

“La percentuale di domande per i lavori domestici, il restante 85 per cento, è distorta. Molti collaboratori domestici in realtà sono rimasti fuori”, aggiunge Paggi, “perché tante persone che lavorano nei settori esclusi dalla legge non avendo alternativa hanno puntato a questo. La limitazione dei settori ha alimentato l’illegalità: chi ha presentato richiesta come lavoratore domestico, ma è già impiegato in un altro settore ora è nei guai, perché dovrebbe lavorare per il datore di lavoro indicato nella richiesta”, spiega.

È la situazione in cui si trova Konate, che aveva già un lavoro in un magazzino dell’Ikea ma ha dovuto trovare un imprenditore agricolo disposto ad assumerlo in modo fittizio per presentare la domanda di regolarizzazione. “Dovrò chiedere di ridurre le ore di lavoro all’Ikea, perché devo dimostrare di lavorare per l’azienda indicata nella domanda”, spiega Konate.

Tutti gli immigrati che abbiamo intervistato hanno presentato la loro domanda attraverso l’Associazione nazionale oltre le frontiere (Anolf), una delle organizzazioni che gestiscono l’accoglienza ai migranti nelle Marche. Ma nelle altre regioni la situazione è la stessa. Un articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica il 7 febbraio 2021 rivela che solo due immigrati su cento hanno ricevuto una risposta alla loro richiesta di regolarizzazione. Dei 142 che hanno avviato la pratica assistiti dall’Anolf, pochissimi hanno avuto un riscontro. La copresidente dell’associazione, Neli Isaj, solleva un altro problema: “Molte persone non hanno potuto fare domanda perché non avevano un passaporto o un documento equivalente. I loro paesi, soprattutto quelli africani, non hanno facilitato le procedure per il rilascio di un documento d’identità”. Isaj cita alcuni casi in cui le ambasciate hanno ostacolato le procedure di consegna del passaporto e aumentato i costi. In molti casi gli immigrati sono stati costretti ad accettare questa forma di sfruttamento “perché non vogliono restare senza documenti”. Alcuni governi, come quello della Guinea, hanno vietato l’emissione di passaporti all’estero. Nella sua richiesta Diarra ha dovuto usare una carta consolare.

Sui ritardi con cui sono esaminate le domande le autorità non rispondono. “La giustificazione principale è il covid-19, e la legge non ha fissato una scadenza”, spiega Isaj. Queste ambiguità causano spesso contrasti tra gli immigrati e le associazioni a cui si affidano. “È frustrante, ci chiedono i documenti perché è a noi che si sono rivolti. Dobbiamo dare risposte comprensibili. Significa spendere una quantità enorme di energie per riuscire a fargli capire la situazione”. Le associazioni sostengono che le autorità avrebbero dovuto garantire tessere sanitarie temporanee durante la pandemia. “Con alcuni datori di lavoro abbiamo trovato una soluzione. S’impegnano in anticipo ad assumere appena il procedimento di regolarizzazione sarà andato a buon fine, in modo che gli immigrati possano richiedere la tessera sanitaria”.

Si è capito subito che il procedimento di regolarizzazione era fatto male e che avrebbe creato enormi problemi ad alcune persone, spingendole a cercare altri modi per essere messe in regola. “Ad aprile l’Asgi ha inviato una lettera al governo spiegando quello che non funzionava, ma non ha mai ricevuto risposta”, racconta Paggi. “Seguo i processi di regolarizzazione in Italia dal 1986, e posso dirvi che la situazione è peggiorata. Il passato dovrebbe insegnare qualcosa, ma negli ultimi 35 anni i politici non hanno imparato nulla”.

Secondo il governo Conte, che aveva approvato la legge, la regolarizzazione del 2020 avrebbe dovuto coinvolgere metà dei circa 500mila immigrati senza permesso di soggiorno che vivono in Italia. Paggi prevede che alla fine non saranno più di centomila. “Esiste una grande distanza tra chi scrive le leggi e chi vive la realtà sul territorio”, conclude Isaj. “Subiamo una sorta di terrorismo burocratico”. ◆ as

*I nomi indicati con l’asterisco nell’articolo sono di fantasia.

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Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati