Dall’inizio della pandemia a Varsavia e in altre grandi città polacche si sono svolte regolarmente feste segrete. A tarda sera aprono i locali sotterranei e i taxi si fermano davanti alle grandi ville. Gli eventi si moltiplicano. “I polacchi hanno cominciato a ballare di più e a curare il proprio spirito”, mi dice un dj di Varsavia. Questi eventi, mi spiega, sono spesso chiamati “corsi di danza” o “musicoterapia di gruppo”. Ma chi organizza feste in cui cento, duecento, trecento persone si divertono senza indossare la mascherina? Nell’ambiente dei frequentatori dei club è un segreto di Pulcinella.

Per ottenere un invito, cerco di accedere ai gruppi chiusi su Facebook, dove gli organizzatori annunciano le nuove feste. La speranza è arrivare al gomitolo seguendo il filo. Comincio dai miei amici. Ho conosciuto Michał a un concerto, prima che scoppiasse la pandemia. È un produttore musicale e dj di Varsavia. Ha suonato a molte feste segrete. Ogni settimana riceve diversi inviti. Gli organizzatori lo aggiungono sempre all’evento su Facebook, dove sono indicati gli artisti, l’orario e il prezzo (di solito tra i 100 a i 400 złoty, tra i venti e i novanta euro). “È una cosa professionale al 100 per cento”, dice Michał. “Suono e luci fantastici, alcol, uno spazio bellissimo. Gli organizzatori sono gli stessi che allestivano i migliori eventi a Varsavia prima della pandemia, quindi tutto è al top. Le attrezzature prendono polvere nei magazzini da mesi, te le affittano per niente. Quanto prendo per un’esibizione? Ora come ora poche centinaia di złoty per una serata, ma per me è ok, tanto di lavoro legale al momento non ce n’è”. Michał dice che le feste sono come il compleanno di un ricco adolescente statunitense. Ospiti eleganti, cocktail colorati, star della musica da club. “I partecipanti vogliono emozioni, gli organizzatori e gli artisti hanno bisogno di guadagnare”, spiega. “Perciò le feste ci sono e ci saranno. Non c’è legge o polizia che tenga. Maggiori sono le restrizioni, più attraenti e uniche sono le feste”.

Lo sgambetto

Michał non mi ha invitato al gruppo privato su Facebook, perché il fatto che sono una giornalista avrebbe destato sospetti. Mi ha indirizzato da un suo conoscente, un certo Szymon, nel quartiere Saska Kępa. È un personaggio legato alle scene della musica techno, vive vicino a una villa del quartiere già nota per eventi notturni con più di cento persone: “C’è stato un veglione di capodanno con tanta gente, e un’altra grossa festa prima ancora, a novembre”, racconta. “Il biglietto d’ingresso costava poco, almeno per come va il mercato ora. Cinquanta złoty”.

Gli chiedo se di notte si sente la musica, ma lui risponde di no. La casa è circondata da un ampio giardino, i vicini sono lontani e i muri piuttosto spessi. “La polizia? Una volta è venuta. Hanno dato un’occhiata. Non possono entrare, perché è una casa privata e ci vorrebbe un mandato. Del resto, non sai quanti poliziotti dopo l’orario di lavoro si mettono in borghese a fare la fila davanti ai cancelli dei locali. Per certi aspetti, dagli anni novanta a oggi molte cose sono rimaste uguali”.

Gli chiedo chi sono gli organizzatori. “Tutti lo sanno, ma nessuno parla. Nessun club ammetterà mai di avere a che fare con loro. Spesso è gente che magari, prima della pandemia, suonava in quel locale ogni settimana. Anche se qualcuno è contrario a queste attività, non dirà niente, perché sarebbe come fare lo sgambetto ai propri amici e significherebbe perdere la possibilità di suonare dopo la pandemia. A casa propria certe cose non si fanno, non ti pare?”.

Magda gestisce un ristorante di Varsavia. Ha partecipato più volte alle feste a porte chiuse. Due erano organizzate da avvocate che conosceva. Hanno affittato una villa fuori Varsavia per “girarci un video musicale”. Hanno ingaggiato i dj, organizzato il bar e le luci. Hanno invitato una quarantina di persone a testa. Ufficialmente erano tutte comparse e attori: poca gente, nel rispetto dei limiti per gli eventi che richiedono la presenza di una troupe cinematografica. “Ho festeggiato il mio compleanno con sessanta persone in uno spazio preso in affitto in un ristorante. La festa si è svolta dalle 17 alle 22, nell’orario durante il quale – ufficialmente – si stava svolgendo un corso di aggiornamento. Sono venuti anche i genitori e gli zii. Nessuno si è ammalato. Non è successo niente di straordinario”, aggiunge Mag­da. “Il 9 gennaio il Boogie club di Breslavia ha organizzato una grande festa alcolica con il pretesto della fondazione del Partito dello sciopero degli imprenditori. E quante festicciole aziendali ci sono state a Varsavia prima di Natale! I proprietari dei locali stanno cercando di guadagnare almeno quanto basta a coprire le spese per l’affitto e per gli stipendi dei dipendenti. Io lavoro nel settore della ristorazione e continuo a sentire delle storie orribili. Un mio amico voleva impiccarsi, ti rendi conto? Ha un debito di decine di migliaia di złoty e nessuna prospettiva di lavoro. Far chiudere tutto è disumano. Le persone vogliono lavorare e guadagnare; e vogliono divertirsi, perché anche questo è un bisogno”.

Magda racconta di festicciole casalinghe per poche decine di persone e di party ed eventi a cadenza regolare negli interrati di note discoteche di Varsavia: “All’ingresso si paga in contanti o con le app Blik e Revolut, in modo che il fisco non possa metterci il becco. Non puoi portare con te nessuna bevanda alcolica, sul posto puoi comprare acqua, succhi di frutta, vodka e birra”. L’evento più bello a cui ha partecipato si è svolto in un posto dove gli ospiti firmavano un contratto di lavoro di un giorno come personale di servizio o delle pulizie. “Un’azienda di arredamento per la casa si è messa a vendere cibo per gatti per essere classificata in un altro settore merceologico e poter tenere aperti i negozi. Loro possono fare queste manovre e noi no?”.

Molti artisti vedono la pandemia come un’occasione per farsi un nome

Neanche Magda mi ha aggiunto al gruppo segreto, ma mi ha permesso di dare un’occhiata ai post. L’indirizzo della festa non è indicato. Una volta iscritti alla lista degli ospiti, si riceve il messaggio con l’indirizzo della festa via Telegram o attraverso un altro servizio di messaggistica. “Si può far accedere al gruppo e invitare alla festa solo persone di fiducia”, dice Szymon. “Durante le feste non apriamo le finestre, per paura che si senta la musica ad alto volume”, ride Magda. “A volte c’è un caldo soffocante”. Kinga, dj e frequentatrice dei party segreti nelle discoteche, racconta che “le regole di comportamento sono spesso comunicate nel corso della festa. Per esempio, se comincia a circolare la voce che nelle vicinanze del locale c’è la polizia, bisogna uscire alla spicciolata, mai tutti insieme. Alcuni club aprono alle 22 e chiudono alle 5 del mattino. Non ti piace la musica? Peggio per te, devi restare fino alla fine”.

“Arriviamo puntuali e non facciamo foto”, dice Michał. “A volte i buttafuori ti mettono un adesivo sulla telecamera del telefono, ma probabilmente lo fanno solo per rendere l’evento ancora più eccitante e insolito. Chi pubblica una storia o anche solo una foto su Instagram viene rimosso dal gruppo e non può più essere ammesso”. Gli chiedo come la mettono con la pandemia, con il rispetto delle norme sanitarie. “Lascia perdere, la mascherina non la mette nessuno. Se vai a una festa di questo tipo metti in conto di poter contrarre il virus. Se credi all’esistenza del covid-19, dopo una serata da sballo te ne stai buono buono in quarantena ed eviti di andare a trovare la nonna”.

Magda all’esistenza del virus ci crede, ma pensa che i dati sui contagi siano ingigantiti artificialmente. “Nessuno dei miei amici si è contagiato. E considera che partecipiamo a eventi e rave almeno una volta alla settimana. La gente va ai rave per dire che non ci sta, che si ribella alle restrizioni, alla mancanza di sostegno finanziario. E poi dobbiamo pure scaricarci da qualche parte, non ti pare?”.

Senso di responsabilità

Paweł Klimczak è un musicista, dj e giornalista musicale. Mi spiega che rave è un termine per definire le feste illegali, da sempre espressione della controcultura. I rave hanno vissuto la loro età dell’oro nel Regno Unito degli anni novanta. A quei tempi il posto dove si sarebbe svolto il party segreto era comunicato attraverso volantini distribuiti nelle stazioni della metropolitana. “I primi rave davano espressione a un sentimento di rivolta contro le regole della mentalità borghese e conservatrice. Oggi invece c’è un invito a infrangere le regole etiche alla base del rispetto del prossimo”, dice Paweł. Secondo lui, la cultura del club si fonda sui princìpi di libertà, uguaglianza e rispetto delle altre persone. Organizzare delle feste durante la pandemia non ha niente a che fare con tutto questo. Anzi, danneggia il settore: “Ci sono diversi modi per affrontare la pandemia, per fare in modo che le iniziative musicali sopravvivano nella coscienza sociale. Per esempio si possono organizzare eventi in streaming sui social network”. Più di tutto lo delude il fatto che le feste illegali servano a smorzare l’impazienza di persone che hanno bisogno di emozioni e non sono in grado di cercarle in modi più sicuri per tutti. Per questo ritiene che sia necessario scuotere le coscienze portando il tema delle feste pandemiche nel dibattito pubblico.

È quello che ha fatto l’organizzatore di eventi ed editore Jacek Plewicki. Un giorno ha deciso di denunciare su Facebook il fenomeno puntando il dito contro un dj molto noto in Polonia e in Europa e accusando altre persone di aver organizzato party a porte chiuse: “Tre giorni prima di capodanno mi sono improvvisamente reso conto che nessuno dei frequentatori dei club si era preoccupato del fatto che durante la pandemia si stavano organizzando degli eventi illegali. Queste feste di solito diventano più frequenti alla fine dell’anno. Eppure alcuni loro amici erano ammalati, ricoverati in ospedale. I loro nonni stavano morendo e noi ce ne stavamo zitti”.

Jacek è preoccupato del fatto che due nomi famosi della musica techno polacca siano coinvolti in questa attività. Un dj ha suonato durante alcune feste nella fase più intensa della pandemia (e continua a suonare). Un’altra dj ha suonato a capodanno all’estero, nella discoteca più grande di Kiev. Pur essendo legale, è probabile che un concerto così affollato abbia provocato la morte di qualcuno. “Grazie ai pr delle grandi discoteche con ambizioni internazionali, le feste notturne sono diventate parte della cultura di massa, qualcosa che può essere facilmente combinato con la contestazione antigovernativa e con il simbolo dell’arcobaleno nella foto del proprio profilo sui social network. Chi disapprova questi eventi va incontro all’ostracismo, all’accusa di voler ‘privare il settore delle fonti di guadagno necessarie alla sua sopravvivenza’, perfino alle minacce”.

Quando Jacek ha criticato in un post i rave durante la pandemia, ha ricevuto molti messaggi in cui lo accusavano di avere violato un tabù, di stare con la polizia, di giocare con il fuoco. Ma il post ha anche prodotto effetti positivi. Una festa di capodanno è stata cancellata: l’organizzatore si è spaventato quando Jacek ha diffuso lo screenshot che mostrava il gruppo segreto. Per quanto riguarda l’aspetto economico, Jacek è convinto che i dj di Varsavia se la caverebbero lo stesso. In Polonia sono davvero in pochi a guadagnarsi da vivere solo suonando alle feste. I compensi per queste prestazioni sono molto più bassi rispetto ai paesi della “vecchia” Unione europea. “Abbiamo lavorato molto per rendere i club degli spazi sicuri per tutti, dove non c’è posto per molestie, seccature, comportamenti aggressivi”, spiega Janek. “A piccoli passi, anche sull’onda del movimento #MeToo, ci siamo riusciti. Molti locali di nicchia già rispettavano le regole: niente sessismo, niente molestie, niente fascismo. Ma se viene meno il senso di responsabilità verso gli altri, allora cadranno anche altre regole. In nome di cosa? Per far feste e dare notorietà a gente che dovrebbe essere esclusa dall’ambiente?”.

Dopo Jacek Plewicki, il silenzio è stato rotto da Yana Androsova, una dj legata a Radio Kapitał, e da Kajetan Łukomski, un produttore, dj e cantante noto con lo pseudonimo di Avtomat. Da quando è esplosa la pandemia, Łukomski si guadagna da vivere componendo musica e dando lezioni di mix ad aspiranti dj. Di tanto in tanto guadagna qualcosa come autista Uber. Androsova ha condiviso su Facebook lo screenshot di un gruppo chiuso che organizza delle feste. Si vedono i nomi d’arte di musicisti molto noti nell’ambiente della techno. “È necessario dire quello che sta succedendo, parlarne”, commenta la dj. “Sono comportamenti stupidi. Invece di contenere la pandemia espongono le persone a un suo potenziale prolungamento. Anch’io vorrei andare a ballare, ma stringo i denti e quando proprio non ne posso più faccio quattro salti in casa. Andare alle feste non è certo la prima delle necessità. Non parlerei di contestazione quando si fa violenza a persone che potrebbero anche morire a causa dell’irresponsabilità degli altri”, aggiunge Łukomski. “Nelle ultime tre settimane io e altri dj abbiamo fatto saltare diversi eventi prendendo la questione di petto sui social network. Ovviamente i colleghi ci chiedono da che parte stiamo. Per me la risposta è sempre quella: è il momento di essere responsabili. Non appoggerò eventi illegali durante la pandemia”.

Łukomski racconta che molti artisti vedono la pandemia come un’occasione per farsi un nome e dare una svolta alla propria carriera. Secondo lui dovrebbero essere messi su una lista nera, in modo che a pandemia finita non possano più lavorare. Perché un domani è probabile che i musicisti corretti, quelli che oggi hanno sospeso la loro attività, non riescano a tornare a galla a causa di questa concorrenza scorretta. “Ne ho piene le scatole dello slogan ‘la techno prima di tutto’. L’edonismo non può giustificare tutto”.

“Dicono che sputo nel piatto in cui mangio”, aggiunge Jacek Plewicki. “Ma a farlo sono le persone che si preoccupano solo di cosa faranno il prossimo fine settimana. Bisogna pensare a cosa succederà tra sei mesi”.

Varsavia, Polonia (Rafal Milach, Magnum/Contrasto)

Luci stroboscopiche

“Ho una casa di 450 metri quadrati”, comincia Karol. “Ottima posizione, zero vicini fastidiosi, muri spessi. Lavoro nel settore da anni, possiedo luci stroboscopiche, attrezzatura musicale di alto livello. Dall’inizio della pandemia organizzo regolarmente feste per decine di persone e party casalinghi. Tra gli ospiti ci sono conoscenti, ma anche pesci grossi, i proprietari delle grandi discoteche di Varsavia. Questa è una specie di oasi per gli amanti della techno”, dice ridendo. Le richieste di affittare la sua casa per fare feste non gli mancano.

Quando gli chiedo se ha mai avuto problemi con la polizia, mi dice che la polizia è solo una piccola scocciatura. “Viene, dà un’occhiata in giro. Certo può anche denunciare la festa all’ispettorato sanitario. Un mio amico, proprietario di un ristorante, organizza feste nel seminterrato del suo locale. Ogni mese ha sessantamila złoty di costi fissi. Organizzare un paio di eventi al mese gli permette almeno di sostenere quelle spese. La multa più alta che ti possono fare gli ispettori sanitari è di trentamila złoty. A volte è quello che si guadagna in una serata. Quindi non c’è molto da perdere. La gente del settore è in trappola, ma il governo non fa niente per aiutarla”.

Karol ammette che l’aspetto economico è determinante, ma la verità è che le feste illegali sono semplicemente diventate di moda. Grazie a lui sono riuscita a mettermi in contatto con alcune persone del giro. Ecco i risultati di un breve sondaggio: cinque si sono contagiati andando a una festa, cinque si mettono in quarantena dopo ogni evento, mentre quattro continuano a fare una vita normale, vanno al lavoro, fanno visita ad amici e familiari, come se niente fosse.

Quando ormai mi sono rassegnata a non entrare in nessun gruppo segreto, in una pagina su Facebook appare un annuncio “Cercansi persone interessate a danzaterapia”. Faccio immediatamente richiesta e dopo cinque secondi ricevo un invito con un elenco di artisti e questo testo: “Abbiamo la terapia anticovid che fa per te! Abbiamo messo insieme un team di specialisti per la prossima fase. Potete quindi prenotare la data. L’incontro è a numero chiuso: chi primo arriva meglio alloggia. Condizioni di partecipazione: discrezione e pagamento anticipato. Non si fa avanti e indietro: si entra tra le 20 e le 22, si esce la mattina”. Mando i soldi al numero di conto indicato, scrivo “terapia” nella causale del bonifico e aspetto. Invece di ricevere l’indirizzo del posto su Messenger, mi arriva una telefonata dell’organizzatore: “So che sei una giornalista. Ti va di fare uno scambio? Tu non descrivi i particolari delle mie feste, e io ti racconto bene il mio punto di vista”.

Ci incontriamo in centro per un tè illegale. Sebastian è un tipo sui cinquant’anni, stile hip-hop. “Quello che faccio non può essere considerato al 100 per cento buono o cattivo. Costringo qualcuno a venire alle mie feste? No. Parto dal presupposto che ognuno ha la propria testa e conosce benissimo il rischio di trovarsi in mezzo alla folla senza mascherina. Organizzo eventi perché è quello che ho sempre fatto”.

A un certo punto, durante la pandemia, ha preso in considerazione l’ipotesi di fare l’autista di Uber. Ma ha capito subito che non sarebbe stato redditizio: i suoi amici che lo facevano tornavano a casa dopo 13 ore al volante con 40 złoty (circa nove euro) in tasca. Sebastian invece con una festa si paga le spese e le bollette di casa e ha qualcosa di cui vivere.

Parliamo del senso della comunità. Dice che gli eventi illegali sono il risultato del moto di ribellione che nasce nelle persone quando lo stato moltiplica i divieti e limita gli aiuti. Il succo è che una comunità non può essere costruita a scapito degli altri. “Se qualcuno ti desse un milione di złoty, smetteresti di organizzare questi eventi?”, gli chiedo. Dopo un attimo di esitazione risponde: “È uno stile di vita, il punto è questo”.

La mamma di Sebastian ha più di 80 anni e vive con lui. Sa dell’attività del figlio ma, secondo lui, minimizza, alza le spalle. “È probabile che abbia già avuto il covid-19. Io l’ho avuto, la mia ragazza pure. Certo che ho paura per mia madre. Ho degli amici che sono morti di questa schifezza a quarant’anni. Ma mamma è forte. Non molla”.

Ma se dovesse succedere il peggio? Sebastian chiude la conversazione. ◆dp

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Questo articolo è uscito sul numero 1399 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati