Nata negli anni duemila, in pieno boom digitale, la generazione Z è cresciuta all’ombra della crisi climatica, della pandemia e dell’irruzione dell’intelligenza artificiale e si afferma oggi come una forza di mobilitazione politica che supera le frontiere, con una lingua e dei codici tutti suoi. È un fenomeno inedito nella storia politica contemporanea. L’ondata di ribellioni guidate nelle ultime settimane dalla generazione Z in diversi paesi non è stata una successione fortuita di eventi, ma svela uno schema interconnesso che ha una risonanza internazionale ed è libero da confini, nazionalismi e divari culturali.

Le modalità di protesta di questi ragazzi e ragazze respingono lo stile be water (siate come l’acqua, espressione che definisce una strategia di mobilitazione fluida e imprevedibile), diventato famoso con le proteste del 2019 a Hong Kong. Attraverso un uso esperto dei social media, la generazione Z ha fatto proprie la filosofia taoista e le tattiche di guerra dello stratega cinese Sun Tzu: azioni flessibili nella forma, che si adattano alle circostanze e senza un comando centralizzato.

Questa strategia ha degli echi nelle vicende in corso in Birmania, dove, dopo il colpo di stato del 2021, i giovani hanno contrapposto meme, umorismo e solidarietà digitale alla repressione. Le mobilitazioni del 2023 in Kenya contro la legge di bilancio hanno dimostrato che questo schema si propagava ad altri continenti: l’hashtag #RejectFinanceBill è diventato virale in tutto il mondo, sostenuto da movimenti di finanza partecipativa e di sostegno reciproco in rete.

È attraverso queste lenti che bisogna leggere le recenti proteste in Indonesia. Le cronache della resistenza non le forniscono le organizzazioni studentesche o le tradizionali organizzazioni militanti, ma gli account su TikTok, Instagram e X che catturano l’immaginario collettivo. Queste mobilitazioni, già avvenute nell’arcipelago nel 2020 e nel 2022, non si riducono più a discorsi politici: assumono forme più fluide, nutrite di creatività visiva e venate di umorismo. Dietro questa apparente leggerezza si nasconde però una serietà concreta: la preoccupazione per la corruzione, per politiche ritenute oppressive e per le ingiustizie economiche nella vita della popolazione.

Il Nepal ha inaugurato un nuovo capitolo. Davanti all’inerzia di una corruzione persistente e di un’economia in declino, il movimento di contestazione si è amplificato nel giro di pochissimo, portando alle rapide dimissioni del governo e allo scioglimento del parlamento e dimostrando che l’energia della generazione Z può far tremare le strutture del potere.

Le strategie digitali, la cultura pop e la solidarietà sovranazionale della generazione Z si sono manifestate anche in Thailandia e in Malaysia, mentre in Nigeria, in Cile e in Colombia la creatività digitale si è mescolata con la musica e le arti di strada, tra i principali vettori delle contestazioni. In questa risonanza, ciascuno attinge alle esperienze straniere per adattarle alla propria realtà. Nascono da qui forme di sostegno che sembrano quasi istintive, come quando ad agosto i giovani malaysiani hanno manifestato la loro solidarietà con i manifestanti indonesiani. La generazione Z vive come una comunità mondiale, accomunata dalle stesse lotte. Il sociologo Karl Mannheim affermava che ogni generazione nasce da esperienze storiche che forgiano una coscienza collettiva. Per la generazione Z è l’esperienza di un mondo interconnesso e attraversato da crisi.

Contro i privilegi

Timor Leste è l’ultimo focolaio di proteste in Asia, con migliaia di studenti che dal 15 settembre 2025 scendono in piazza facendo eco ai coetanei in Indonesia, nelle Filippine e in Nepal, dove nelle ultime settimane è esplosa la rabbia per le disuguaglianze economiche e la corruzione. A Timor Leste gli studenti manifestano contro i privilegi dei parlamentari, che percepiscono pensioni a vita, un rimborso spese per l’acquisto di auto (abolito dopo la mobilitazione) e uno stipendio annuale di 36mila dollari, mentre il reddito nazionale lordo pro capite nel 2024 è stato di 1.560 dollari. Nikkei Asia


Questa generazione non ha conosciuto il mondo senza internet e convive con la crisi climatica, le disuguaglianze economiche, i conflitti sociali, le discriminazioni e un crescente autoritarismo. Non sono questioni limitate ai dibattiti nazionali, ma elementi alla base di una lotta globale. Da qui nasce la sensibilità politica di questa generazione: più personale, ancorata all’identità, e al tempo stesso più transnazionale.

Si può analizzare il fenomeno attraverso la teoria della mobilitazione delle risorse, che sottolinea i fattori che mettono in moto l’azione collettiva. La generazione Z non ha un capitale economico, ma per contro dispone di una risorsa decisiva: internet. I suoi movimenti non si strutturano attorno a segreterie di partito o a sedi permanenti, ma a partire da gruppi WhatsApp, server Discord o forum on­line. Questo fenomeno traduce anche un’evoluzione: l’abbandono delle mobilitazioni basate sulla classe a vantaggio di movimenti strutturati intorno a identità e valori morali condivisi, una tendenza che il sociologo spagnolo Manuel Castells definisce “movimenti sociali in rete”.

La fiamma della democrazia

C’è però un paradosso. Se la generazione Z si mostra creativa, audace e in grado di mobilitare in poco tempo migliaia di persone senza lasciarsi intimidire dalla repressione, continua a essere soggetta alla frammentazione. La sua attenzione si sposta velocemente da una questione all’altra: un movimento può esplodere oggi e disperdersi già dopo una settimana. Anche l’assenza di struttura formale rende difficile la negoziazione di politiche concrete. Le mobilitazioni di massa possono far cadere governi, ma non si traducono necessariamente in riforme durature, ed è per questo che alcuni le definiscono come semplici movimenti sporadici, privi di una strategia a lungo termine. Queste critiche sono fondate, ma non devono nascondere l’essenziale: l’obiettivo non è solo correggere il potere o esercitarlo, ma dare forma a una nuova coscienza politica che presuppone il coraggio di non restare in silenzio.

La generazione Z ricorda al mondo che le proteste di oggi non sono più appannaggio di un solo paese o di uno spazio specifico, ma fanno parte di una dinamica collettiva. Magari non promette una rivoluzione immediata, ma alimenta una fiamma che mantiene viva la democrazia. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati