Per scendere in piazza i giovani non hanno aspettato la generazione Z: dal maggio ’68 alle primavere arabe del 2011, hanno sempre costituito il grosso delle insurrezioni popolari e delle rivolte. Come si spiega allora il grande interesse suscitato dalla generazione Z – cioè i nati tra la fine degli anni novanta e l’inizio degli anni 2010 – che dal 2024 con le loro manifestazioni a cascata scuotono o fanno cadere i governi, a un ritmo che ha accelerato negli ultimi mesi? Dal Bangladesh al Madagascar, passando per il Marocco, il Nepal, l’Indonesia, il Kenya o il Perù, una specie di internazionale giovanile è entrata nell’arena. Questa sollevazione ha colto di sorpresa i governi e ha relegato ai margini classi politiche spesso screditate.
Ogni mobilitazione scaturisce da un contesto preciso. Tuttavia, questi indignati del sud globale hanno molti tratti in comune. Al di là dell’età, scandiscono le stesse frasi contro la corruzione, il nepotismo, le disuguaglianze, la disoccupazione, il peggioramento dei servizi pubblici. Le loro rivendicazioni toccano soprattutto la società e l’economia, e questo li distingue dai loro predecessori, le cui aspirazioni erano più espressamente politiche (nazionalismo, socialismo, democrazia…). Con questo atteggiamento pragmatico, hanno attirato le simpatie di un’ampia parte della popolazione, che a loro insaputa li ha elevati a custodi del bene comune, a vedette morali, in paesi devastati dal tradimento e dal cinismo delle élite.
Fluidità orizzontale
Un’altra caratteristica che hanno in comune sono i metodi delle mobilitazioni. Saranno anche alla loro prima esperienza di piazza, ma sui social media questi ragazzi sono già dei veterani. Sono nati e cresciuti immersi nella cultura digitale, di cui condividono i codici, il linguaggio, l’estetica. Uno dei loro simboli è la bandiera tratta dal manga One piece: un teschio che ride con un cappello di paglia. Questa pratica digitale ha favorito il contagio oltre le frontiere, in una sorta di emulazione universale per sfidare un ordine ingiusto. Inoltre ha garantito agli attivisti l’anonimato, tra gli anfratti di piattaforme come Discord, dove le loro parole d’ordine hanno circolato sotto il naso dei servizi di intelligence.
Il flusso, lo stato liquido: la generazione Z è brava ad aggirare gli strumenti coercitivi degli stati. Le manifestazioni a favore della democrazia a Hong Kong nel 2019 avevano già teorizzato questa tattica sotto il motto “be water” (siate acqua). I militanti della generazione Z “hanno capito che bisogna muoversi in modo decentralizzato per evitare la repressione: questo crea movimenti senza volto, senza leader”, sottolinea Payal Arora, antropologa dell’università di Utrecht, nei Paesi Bassi, ed esperta di intelligenze artificiali inclusive. Nel momento in cui si moltiplicano i _flashmob, _assembramenti improvvisi in grado di innescare incendi più vasti, alcuni paesi scelgono di bloccare i social media. A fine agosto il governo del Nepal ha impedito l’accesso a 26 siti (tra cui Discord, Facebook, YouTube, LinkedIn, X, Instagram), con l’unico risultato di infiammare ancora di più gli animi.
L’“orizzontalismo acquoso” è il punto di forza della generazione Z quando protesta, ma diventa la sua principale debolezza nella fase successiva, quella politica. Come può un movimento senza leader e allergico alle gerarchie imporre il suo programma?
Questo difetto era stato fatale per l’_hirak _(movimento) algerino, che aveva insistito a non scegliere dei rappresentanti e si era trovato disarmato quando, a partire dal 2020, il regime aveva deciso di reprimerlo con la violenza. In Marocco, dove la monarchia è ancora un’istituzione molto rispettata, la protesta dei giovani si è indebolita nel momento in cui è intervenuto re Mohammed VI con un discorso in cui gli è bastato evocare la necessità di “giustizia sociale”. Paradossalmente la contestazione di quest’autunno ha consolidato il suo ruolo di arbitro supremo.
E anche quando la rabbia cresce, alimentata dalla repressione, fino a rovesciare i clan al potere, com’è successo in Nepal e in Madagascar (o in Sri Lanka nel 2022 e in Bangladesh nel 2024), i manifestanti devono appaltare ad altri la transizione. Giovani e inesperti, non hanno gli strumenti per governare. Discord è una piattaforma utile a mobilitare le persone, non una scuola di pubblica amministrazione.
I protagonisti delle proteste devono delegare a figure più convenzionali – ma “Z-compatibili” – il compito di sbarazzarsi del vecchio regime. In Bangladesh è andato al potere l’economista Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace 2006; in Sri Lanka l’ex marxista Anura Kumara Dissanayake; in Nepal la giurista Sushila Karki, apprezzata per la sua integrità; in Madagascar il colonnello Michael Randrianirina, che ha ispirato il colpo di mano contro il presidente Andry Rajoelina, costretto all’esilio.
Affidare gli ideali originari a questi nuovi attori sarà una scommessa vincente? Le reti di oligarchi che sono state sconfitte si ricostituiranno? La gen Z resta vigile e sorveglia il processo di rinnovamento per evitare che sia dirottato. Altrimenti, la bandiera di One piece _potrebbe tornare a sventolare. ◆ _fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati