Quando nel 1953 uscì La mia vita tra i selvaggi, raccolta di racconti sulla vita familiare di Shirley Jackson, l’autrice era già nota per un tipo di scrittura molto diverso. Cinque anni prima aveva sconvolto i lettori con La lotteria, il racconto di una lapidazione rituale in un villaggio statunitense che scatenò proteste e incredulità. Molti restarono sorpresi quando pubblicò questi testi pieni di humor domestico: visite ai grandi magazzini, notti caotiche in cui tutti dormono nei letti sbagliati, la caldaia e l’auto che si guastano mentre il marito è via. Eppure queste storie, già apparse su riviste femminili, avevano conquistato il pubblico. Jackson descrive la maternità senza sentimentalismi: confessa l’invidia per il marito in viaggio, la frustrazione mascherata dal sorriso, la paura davanti a quei “piccoli esseri indipendenti” che sfuggono a ogni controllo. I bambini qui non sono adorabili. Scritti anche per necessità economica (per lo più era Jackson a mantenere la famiglia ) questi testi usano gli stessi strumenti della sua narrativa: dettagli su dettagli, ironia sottile e un gran senso del ritmo.
Ruth Franklin, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1640 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati