Abbiamo sentito (e spesso predicato) l’importanza di dare voce a chi è ai margini, ma la narrativa contemporanea raramente offre personaggi neurodivergenti davvero complessi. Gary Shteyngart colma questa lacuna con Vera, o la verità, storia di una bambina di dieci anni, brillante e malinconica, che vive a Manhattan in un futuro prossimo. Vera Bradford-Shmulkin è un prodigio delle scienze, appassionata di linguaggio e tecnologia, e ha un lieve disturbo dello spettro autistico: cammina sulle punte, agita le braccia, lotta contro il suo “cervello da scimmia”. Non è oggetto di pietà, ma un’eroina consapevole, una piccola Virgilio che guida il lettore attraverso un’America inquieta. Figlia di un intellettuale russo-americano, Igor Shmulkin, sposato con la seconda moglie Anne, attivista liberal e madre adottiva, Vera cresce tra due mondi. La madre biologica di origini coreane è un’ombra lontana. Shteyngart tratteggia con ironia la vita familiare newyorchese degli anni 2030: auto a guida autonoma, intelligenze artificiali come mentori e salotti progressisti. Sullo sfondo, degli Stati Uniti dilaniati da attacchi xenofobi. In questo contesto, Vera partecipa a un dibattito scolastico che riflette le fratture del paese, mentre cerca la madre scomparsa e la verità su se stessa. Vera, o la verità brilla di ironia e malinconia, mescola satira politica e tenerezza domestica.
Hamilton Cain, Los Angeles Review of Books
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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati