Javiera Electra, cantautrice cilena di 27 anni, è una delle voci più potenti della nuova scena art-pop latinoamericana. In una fredda notte di agosto a Santiago stava correndo da una parte all’altra nell’intervallo tra due concerti per promuovere il nuovo singolo. La sera aveva chiuso il festival femminista Ruidosa insieme alla cantante Francisca Valenzuela. Due mesi dopo, nella sua casa con la cagna Kira e una maglietta di Salvador Allende, riflette sul successo del suo album d’esordio Helíade, che mescola rock progressivo, elettronica e ritmi latinoamericani come cumbia, bolero e cueca. Il disco trasforma dolore e identità trans in ispirazione artistica. Cresciuta in una famiglia umile tra Rancagua e la Valle central, Javiera ha imparato presto il valore del lavoro, vendendo frutta al mercato e scoprendo il pop grazie al padre, un conduttore radiofonico. Da adolescente si è avvicinata a Britney Spears e Madonna, ma ha trovato la sua voce autentica intrecciando sonorità popolari e sperimentazione. A Valparaíso è entrata in contatto con la comunità trans e dissidente, esibendosi nei centri sociali. Helíade è dedicato all’amica e cantante Roma Gallegos, morta suicida, e ispirato al mito greco delle Eliadi. Javiera rivendica il suo spazio nel mondo della musica: “Se fai un buon lavoro, la gente ascolterà. Io ho appena cominciato”.
Richard Villegas,
Remezcla

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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati