Tra i molti premi per la sua opera, Alexis Wright ha vinto il Miles Franklin, il più prestigioso riconoscimento letterario australiano. È paradossale, ma significativo, che il suo epico romanzo Meritoria sia uscito proprio nel 2025, quando gli australiani hanno votato contro la proposta di ampliare i diritti politici delle popolazioni indigene. Scrittrice e attivista aborigena, Wright firma un Ulisse ambientato nel Territorio del Nord, un romanzo appassionato e difficile, ludico, polifonico, allegorico e vertiginoso, incrocia Joyce e García Márquez, Borges, Chatwin e Arundhati Roy. Tutto si fonde: realismo e magia, sogno e realtà, asini e farfalle, Odissea e Mago di Oz. Dietro la potenza linguistica si sente il dolore di una terra spogliata, bruciata da secoli di sfruttamento dopo millenni di cura aborigena. La storia segue la famiglia Steel, che vive ai margini del paese di Praiseworthy (“meritorio” in italiano) durante il cosiddetto intervento voluto dal governo Howard nel 2008, catastrofico per le comunità indigene. Ma il racconto attraversa le epoche, fino ai tempi di Trump e dell’emergenza climatica. Nonostante l’intensità e la complessità, la voce narrativa è calda, salmastra, di struggente bellezza. Nel finale, quando l’eroe ritorna, guidato da uno sciame di falene, la moglie legge “il testo delle loro ali”, un volo dell’incommensurabile, una mappa del tempo. Un’immagine fantasmagorica che sembra descrivere lo stesso romanzo: vasto, visionario e terribilmente necessario.
Ruth Padel, The Spectator

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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati