A cento anni dalla morte della più grande tragédienne francese, arriva un film biografico leggero che rinuncia a ogni accenno di enfasi. La sceneggiatura di Nathalie Leuthreau opta per il tratteggio anziché la portata epica. Cattura Sarah Bernhardt (Kiberlain) nel 1923, sul letto di morte, per tornare indietro e concentrarsi su due momenti chiave della sua vita: il 1915, anno in cui, dopo una rovinosa caduta, le fu amputata una gamba, e il 1896, quando i suoi cari avevano organizzato una sontuosa celebrazione, una “giornata Sarah Bernhardt”, a cui prese parte tutto il bel mondo parigino. All’interno di una struttura frammentata il film sembra un gioioso laboratorio di attori intorno a questo “tesoro nazionale” (come la definì Georges Clemenceau). Poco interessato ai fatti, La divina di Francia è fedele a una sola cosa: il magnetismo indecente di una donna la cui personalità era talmente seduttiva da farle perdonare praticamente ogni cosa.
Murielle Joudet, Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati