Dopo che la guerra ha devastato il Sudan, il musicista Ibrahim Ibn Albadya è fuggito da Khartoum con una sola cosa: la sua scheda audio. Da Nairobi, continua a far vivere la musica del suo gruppo, gli Aswat Almadina (“Le voci della città”), simbolo della rivoluzione che ha rovesciato la dittatura di Omar al Bashir. Chitarrista e cantante, Ibrahim ha vissuto due mesi rinchiuso nel suo studio mentre le bombe cadevano sulla capitale. “Non avevamo da mangiare e le strade erano piene di cadaveri”, ricorda. Dopo di che ha deciso di partire: prima Gedaref, poi Addis Abeba, in Etiopia, e infine il Kenya. Ha portato con sé solo un computer, pochi vestiti e la scheda: “La musica è il mio unico bagaglio”. Fondato nel 2014, il gruppo unisce pop-rock e ritmi tradizionali. Le sue canzoni parlano di disoccupazione, corruzione e ingiustizia. “Le persone che scendevano in piazza gridavano i nostri testi”, racconta. Anche se non volevano fare musica “politica”, gli Aswat Almadina sono diventati la voce del popolo. Nonostante arresti e minacce, Ibrahim non ha mai smesso di suonare. In esilio, collabora con la piattaforma Safeguard Sudan’s living heritage, per salvare strumenti e melodie del suo paese. Continua anche a comporre. Nairobi è la sua nuova casa. “Non tornerò indietro”, dice. “Scrivo per ricordare e per dare voce a chi non può più parlare. Finché suonerò, la nostra storia non morirà”.
Menjíbar Reynés Diego, Pam

Dal documentario Gidam (Arthur Larie)

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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati