A metà del nuovo album di David Byrne c’è un momento in cui una marimba tiene il ritmo sopra un bordone in tonalità minore, una tromba sospira come una ventola della metropolitana e lui biascica: “Ho incontrato Budda a una festa in centro. Lui scrollava, io bevevo”. I versi – divertenti ma carichi di solitudine – sono la quintessenza dello stile del musicista statunitense, mentre il resto è diverso dal solito. Non è il funk scarno dei Talking Heads e neanche la teatralità di American utopia. È più vicino a Erik Satie, ma radicato a New York. Stavolta Byrne riesce a fare una cosa rara: scrivere un album leggero e sostanzioso allo stesso tempo; orchestrale senza eccessi e sciocco senza diventare vacuo. Who is the sky? potrebbe essere un libro di inni secolari per la nostra epoca. I dodici brani contengono istantanee di vita quotidiana plasmate da incontri fugaci. Musicalmente è ricco, con una varietà di strumenti che danzano in armonia, e questo è uno dei suoi meriti grazie anche alla newyorchese Ghost Train Orchestra: il loro stile da camera dà ai brani un tocco originale e una profondità cinematografica. Un altro punto forte sono le percussioni e il modo in cui interagiscono con le canzoni. Who is the sky? è un gigantesco carnevale ma non è per tutti. Se conoscete l’eccentricità di Byrne vi piacerà, ma se cercate del pop semplice potreste uscirne frustati. Questa è musica per chi ama stupirsi.
Maria Luísa Richter, Northern Transmissions

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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati