Un milione di anni fa, nel 1993, Jurassic park di Steven Spielberg scatenò due minacce sul pianeta. La prima, ovviamente, erano i dinosauri che mettevano in guardia gli aspiranti ingegneri genetici dal giocare a fare dio. Ben più sconvolgente fu l’esplosione degli effetti speciali creati al computer, usati impropriamente in quasi ogni modo immaginabile da quella prima stupefacente mandria di maestosi brontosauri virtuali. I sequel di quel film sono stati tra le peggiori delusioni. E così il settimo capitolo della saga da sei miliardi di dollari prova a resettare tutto, fa piazza pulita dei tanti personaggi dei film precedenti e consente allo sceneggiatore David Koepp (già autore degli adattamenti dei primi due Jurassic) di ripristinare l’elemento che all’inizio aveva funzionato. Va bene provocare le emozioni da “film di mostri”, ma bisogna sapere quando dare priorità ai personaggi umani rispetto alle minacce immaginarie. E allora ecco un cast tutto nuovo che passa da una sequenza ben realizzata all’altra con l’efficienza della Hollywood vecchia scuola. Un losco boss di Big Pharma (Rupert Friend) non bada a spese pur di reclutare una spericolata veterinaria (Johansson) e un pragmatico paleontologo (Bailey) per una missione suicida in mezzo ai dinosauri. Johansson segna un notevole passo avanti rispetto a Bryce Dallas Howard: Zora è un personaggio forte che non ha nessun bisogno di diventare l’interesse amoroso di qualcuno.
Peter Debruge, Variety

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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati