Quando conosciamo Emelie, la narratrice occasionale della Colonia di Annika Norlin, lei è già abbondantemente esaurita. La vita moderna in città è diventata insostenibile. Un tempo era orgogliosa della sua affidabilità, sia nel lavoro sia nella vita sociale: “Prima restavo a lavorare fino a tardi, poi uscivo. Andavo alle partite di calcio, a teatro, alle feste, in palestra. Bevevo cocktail nei bar, correvo, m’iscrivevo a club del libro”. Ma l’iperattività ha lasciato il segno, e un giorno si ritrova incapace perfino di alzarsi dal letto. Così parte per la campagna del nord della Svezia, lancia il suo iPhone in un lago e si prepara a godersi il frastuono del silenzio. Ma Emelie non è sola. Poco dopo l’inizio del suo isolamento, scorge la colonia del titolo: un gruppo sorprendentemente eterogeneo di sette persone che mangiano, si lavano e cantano insieme. Scopriremo che sono lì da circa quindici anni. Ma il loro idillio fuori dagli schemi riuscirà a sopravvivere all’arrivo di un’estranea? La colonia è stato un caso editoriale e un best seller in Svezia ed è stato scritto da un’autrice che ha alle spalle una lunga carriera come pop star con la band Hello Saferide. La fuga e la ricerca di senso nella natura selvaggia è un grande topos americano e il richiamo a tanta letteratura statunitense, da Thoreau a Melville, è evidente, ma Norlin dedica così tanto tempo ai retroscena dei singoli personaggi che rimane poco spazio perché condividano una filosofia comune. Charles Arrowsmith, Los Angeles Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati