Edmund White (September Dawn Bottoms, The New York Times/Contrasto)

Non aspettatevi di leggere Gli amori della mia vita di Edmund White, come si usa dire, usando una mano sola. È vero, il sottotitolo è Un memoir erotico e rievoca con fervore alcune decine dei tremila partner sessuali che Edmund White (morto il 3 giugno a 85 anni), ha collezionato nel corso della sua vita. Il libro accenna a specialità piuttosto esoteriche del sesso gay, tra cui un episodio in cui White s’inginocchia in un magazzino abbandonato di Manhattan per bere sei lattine di birra calda “riciclata direttamente dalla spina del microbirrificio del mio accompagnatore”. Eppure, questa antologia coitale si rivela un’opera sull’amore e sulla sua spiritualità sognante, nonostante i racconti audaci di accoppiamenti a volte anche piuttosto rischiosi. Più di tutto, ciò che ossessiona Edmund White è il linguaggio, perché per lui il sesso nasce nella mente e si consuma sulla pagina, mentre il piacere o il dolore fisico sono solo una tappa intermedia. Il prurito del desiderio, in molti di questi incontri, si trasforma presto in un’estasi poetica. Le “vecchie checche”, come le chiama lui stesso, lo istruiscono da ragazzo sugli aspetti tecnici del sesso; per comprendere le emozioni che lo accompagnano, invece, si rifà ai trovatori rinascimentali che inventarono l’idea letteraria dell’amore nei loro canti e sonetti rivolti a una dama irraggiungibile, “una sorta di sostituta distante e un po’ castrante della Vergine Maria”. Partendo dall’amor cortese, White corre una maratona attraverso la storia della letteratura. Comincia con un lirismo prezioso e ingenuamente idealista: la pelle di Stan brilla “come luce che filtra attraverso il miglior lino belga”. Ma molto presto tutta questa idealizzazione viene corrotta dal realismo. Anche vivendo in povertà bohémienne a New York, White continua a vedere il mondo attraverso una foschia di immagini e non rinuncia mai al tentativo di trasfigurare in simboli lo squallore in cui spesso si ritrova a consumare i suoi incontri. Per lui i moli in rovina che crollano nel fiume Hudson sono cattedrali frequentate da asceti, non da uomini in cerca di sesso anonimo. Il “culto pagano della bellezza” di White lo riporta al mito classico, poiché “la perversione precristiana non si fonda sul senso di colpa, ma sul capriccio”. Peter Conrad, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati