In questo sontuoso romanzo Helen Humphreys offre una visione nuova di Henry David Thoreau, filosofo spesso considerato un solitario, descrivendo la sua casa di famiglia come luogo di comunione e compagnia: la sera, i suoi genitori e fratelli leggevano ad alta voce con piacere gli uni per gli altri; Thoreau e sua sorella Sophia seguivano insieme l’apparire di ogni uccello e fiore in primavera. “Il mondo sarebbe molto più solitario,” pensa, “senza Sophia con cui condividere il colibrì, il beccaccino, il salicone e le raganelle”. Le famose lunghe passeggiate di Thoreau nei dintorni della sua città natale, Concord nel Massachusetts, erano occasioni per parlare con i contadini della stagione del raccolto e scambiarsi aneddoti sugli animali del bosco. Anche durante i suoi noti giorni di solitudine, il Thoreau immaginato da Humphreys si ritrova a “stare in agguato” ogni mattina per sorprendere il boscaiolo Alek Therien, “così da potersi scambiare una parola all’inizio della giornata”. Humphreys basa il suo romanzo sul meticoloso diario del poeta e filosofo e ci offre un ritratto di Thoreau che è stato offuscato dalla sua stessa reputazione. Non visse un’esistenza claustrale da “eremita del Massachusetts”, anche se nessuno, nemmeno sua madre, voleva accettare questa realtà. La solitudine non era il suo fine ultimo; era un mezzo per attivare i suoi poteri di attenzione. Dopotutto, il dono più grande di Thoreau era la sua profonda capacità di osservazione.
Hillary Kelly, The Atlantic
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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati