Il cantante maliano Salif Keïta ha avuto una carriera lunga e illustre, dagli esordi con la Rail Band negli anni settanta fino alla fama internazionale. Affetto da albinismo fin da bambino, ha trovato rifugio nella musica. Oggi, ormai settantenne, conserva una voce fluida, capace di librarsi con grazia su trame complesse di chitarra ritmica. Non sorprende che sia soprannominato “La voce d’oro dell’Africa”. Keïta si esibisce spesso con formazioni numerose: file di percussionisti, più strumenti a corda e cori femminili carichi di energia. Anche se la versione orchestrale della sua arte è affascinante, è altrettanto prezioso ascoltarlo in una veste più intima. So kono è stato registrato principalmente in una stanza d’albergo in Giappone, con Keïta accompagnato solo da una chitarra acustica e da minimi interventi di ngoni (uno strumento a corde), percussioni e violoncello. Questa semplicità conferisce ai brani una forza emotiva diretta e toccante, come nella traccia Kanté Manfila. Il brano è un omaggio al suo storico collaboratore Kanté Manfila, chitarrista virtuoso e leader degli Ambassadeurs Internationaux. Anche senza comprendere le parole, si percepiscono calore, tristezza e consapevolezza della mortalità. So kono mette Salif Keïta al centro. Riduce il rumore e il clamore intorno a una delle voci più belle dell’Africa, permettendoci di ascoltare, nella sua forma più pura, l’anima di un artista davvero straordinario.
Jennifer Kelly, Dusted
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Questo articolo è uscito sul numero 1610 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati