Le visioni di Viviane Sassen sono spesso ambientate in Africa, dove la fotografa olandese ha trascorso tre anni da bambina, quando suo padre lavorava come medico in un ospedale keniano.
L’artista viene dal mondo della moda, ha realizzato campagne per marchi importanti, ma negli anni il suo linguaggio si è trasformato in qualcosa di unico, che mescola pittura, collage, video e arti plastiche. Attraverso l’uso di tecniche e materiali diversi, le sue opere enigmatiche danno vita a mondi difficili da classificare.
La posa contorta di una donna inginocchiata sulla terra rossa rimanda a una preghiera scomposta, quasi un gesto di dolore. Sembra una statua, bloccata in un atto di fede o di sottomissione. Un corpo giovane sprofonda tra le pieghe di un lenzuolo bianco. È inerme, ci chiediamo se sia addormentato o morto.
Sassen costruisce atmosfere oniriche e surreali: la fotografia è una performance, uno scambio, uno spazio in cui ricorda e desidera, in cui cerca rifugio nell’ombra. Frammenti di corpi si fondono con elementi naturali o scivolano su superfici di carta e vernice, sfidando la gravità. Nelle sue coreografie le figure sono pura astrazione: danzano, si uniscono, diventano parte del paesaggio.
Polvere, terra e materie organiche compaiono come simboli ricorrenti, promemoria silenziosi della morte, intesa non come fine ma come inevitabile passaggio di trasformazione del vivente.
Ora la collezione Maramotti di Reggio Emilia dedica a Sassen una retrospettiva curata dalla stessa artista. Si chiama This body made of stardust e comprende cinquanta opere realizzate a partire dal 2005, che insieme permettono di cogliere l’evoluzione stilistica e la definizione di un approccio multidisciplinare dell’autrice, che gioca con i chiaroscuri della vita. Al centro del percorso espositivo c’è il concetto di memento mori, una riflessione sull’ineluttabilità della morte ma anche un’esortazione a vivere intensamente. ◆
◆ La mostra di Viviane Sassen, che apre il 27 aprile 2025, sarà accompagnata da una pubblicazione con testi di Federica Angelucci, direttrice della galleria Stevenson di Città del Capo, e del critico d’arte e curatore Marco Scotini. La retrospettiva si inserisce nel fitto programma del festival Fotografia Europea, che compie vent’anni e che proprio ai vent’anni dedica questa edizione. “Nella biografia di una persona vent’anni segnano la linea d’ombra, la fine dell’innocenza e, insieme, il sapore della libertà e dell’indipendenza. A vent’anni si può ancora diventare tutto, ma ci si può anche scoprire soli, separati dal mondo e dall’eredità della famiglia”, scrivono i direttori artistici Tim Clark, Walter Guadagnini e Luce Lebart. Circa venti le mostre in programma, distribuite in diverse sedi della città emiliana. Tra i nomi degli artisti coinvolti ci sono Daido Moriyama, Myriam Meloni, Federica Sasso e Toma Gerzha. Il festival comincia il 24 aprile e si concluderà l’8 giugno 2025.
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Questo articolo è uscito sul numero 1610 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati