Non è un caso che il grande scrittore bosniaco Ivo Andrić (1892-1975) conservasse manoscritti non destinati alla pubblicazione, tra cui l’ultima raccolta di racconti La casa solitaria. Erano testi incompiuti non solo perché non destinati alla stampa, ma soprattutto perché rivelano nuovi spazi d’espressione. In queste pagine troviamo un tardo Andrić che torna all’espressione lirica ma rimette in discussione tutto, perfino se stesso. Qui non è un narratore sovrano e onnisciente che conosciamo ma un evocatore di ricordi, un uomo che cerca la storia. Quando quel filo di ricerca e di spazio spirituale s’interrompe, dice Andrić, “davanti a me, invece della mia storia e del mio lavoro, si aprirà l’insopportabile trivialità di un’esistenza che porta il mio nome ma non è mia, e la mortale desolazione del tempo che spegne improvvisamente ogni gioia di vivere e ci uccide lentamente”. In questo modo, il classico rapporto andrićiano storia-narratore-vita viene sconvolto e a essere importante non è più solo la storia in sé, ma anche il narratore che ne diventa parte integrante. E chi sono quelle apparizioni che gli fanno visita dall’oblio? Seppur molto diverse tra loro, una cosa le accomuna: hanno qualcosa da aggiungere a ciò che è noto su di loro, vogliono liberarsi, desiderano una verità più piena. Si trovano in grave disaccordo con la vita, intorno a loro, e con la morte, dentro di loro. Alcuni lo hanno compreso, altri no, né lo faranno mai. Tanto più che la loro sventura è causata dalla solidarietà stessa del narratore, dato che è lui, in fin dei conti, a permettere la loro riapparizione. Si ha l’impressione che il libro non si concluda: è come se Andrić avesse appena cominciato ad accennare a quella affascinante vicinanza della morte senza però raggiungerla. Ci trascina nel suo sonno vigile in cui reale e irreale si sovrappongono come davanti a un abisso. Questo serve a una nuova, più completa verità. La casa solitaria rivela un nuovo Ivo Andrić: più vicino al suo esordio per quell’elemento lirico, morbido e gentile ma comunque saldo nella sua piena maturità, per la maestria nell’interpretazione del materiale prosastico e per la saggezza. Nella Casa solitaria Andrić è un maestro della prosa e contemporaneamente anche un saggio e un poeta. Vuk Krnjević, Književne novine (1976)
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Questo articolo è uscito sul numero 1610 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati