Hilda Bustamante si sveglia e scopre di avere la “bocca piena di vermi”. Siccome è buio e non riesce a vedere nulla, si chiede se è caduta dal letto, se è rotolata sul pavimento nel cuore della notte, se ha “dimenticato come si dorme dopo 79 anni”. Presto si rende conto di essere in una scatola, di essere stata sepolta, di essere morta. E ora è di nuovo viva. A quel punto il lettore si chiede: “E ora?”. Comincia così il primo romanzo dell’autrice argentina Salomé Esper. Da questa premessa, il ritorno in vita di una donna morta, i lettori sono introdotti in un mondo di personaggi curiosi e sono invitati a riflettere su cosa potrebbe succedere davanti a un evento eccezionale come una risurrezione. Il tono del racconto oscilla tra il realismo magico e i romanzi di Manuel Puig in cui si intrecciano i ritratti, le voci, i desideri, le paure, le ansie e le miserie degli abitanti di una piccola città di provincia. La cosa più interessante della storia di Hilda Bustamante è che torna in vita senza spiegazioni, senza cause apparenti, senza uno scopo specifico. Soprattutto senza alcuna morale. Ecco perché la domanda che si pone appena uscita dalla tomba (“E ora?”) è la grande domanda che attraversa tutto il romanzo. Per dirla in altre parole: “Cosa si può fare”, si chiede Esper, “per rompere l’ansia per la produttività o la funzionalità che ci si aspetta anche di fronte a un miracolo?”.
Cristian Vázquez, Letras libres
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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati