“Pochi giorni dopo il noioso discorso pronunciato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu all’Onu per annunciare la creazione di un nuovo Medio Oriente centrato su Israele e i suoi nuovi alleati arabi, i palestinesi, completamente omessi dalla sua fantasiosa mappa regionale, hanno inflitto a lui e a Israele un colpo fatale, sul piano politico e strategico”, scrive l’analista Marwan Bishara su Al Jazeera. “Quello che Hamas voleva ottenere non è un segreto: voleva vendicarsi e punire Israele per l’occupazione, per gli insediamenti illegali e la profanazione di simboli religiosi palestinesi, in particolare la moschea Al Aqsa a Gerusalemme. C’era poi il desiderio di colpire la normalizzazione dei rapporti tra Israele e il mondo arabo, che ha accettato il regime di apartheid instaurato da Tel Aviv. Infine, voleva garantirsi uno scambio di prigionieri, come quello con cui è stato rilasciato Yahya al Sinwar, il leader di Hamas nella Striscia di Gaza che ha trascorso più di vent’anni in una prigione israeliana. Al pari di tanti altri palestinesi, anche Mohammed Deif, il capo dell’ala militare di Hamas, ha perso i suoi cari a causa della violenza israeliana. È chiaro perciò che l’operazione ha anche un risvolto punitivo e vendicativo”.

Bishara considera la risposta militare israeliana “un gravissimo errore” che “isolerà Israele come mai prima. La scandalosa umiliazione che ha subìto sta già indebolendo la sua posizione nella regione. I regimi arabi che hanno normalizzato le relazioni e collaborano con il governo di Netanyahu sembrano decisamente sciocchi”. Secondo Bishara anche l’Autorità nazionale palestinese “sta fallendo sul piano politico, nel tentativo di tenersi in equilibrio tra la condanna dell’occupazione e la collaborazione con Israele nel campo della sicurezza. Questo equilibrio non è più sostenibile. Il cambiamento riguarda i due popoli e la loro volontà di vivere in pace o morire combattendo. Non c’è più tempo e spazio per le vie di mezzo”.

Su Haaretz la giornalista israeliana Amira Hass scrive: “In pochi giorni gli israeliani hanno vissuto quello che i palestinesi vivono da decenni: incursioni militari, morte, crudeltà, bambini uccisi, corpi ammucchiati per strada, assedio, paura, ansia per i propri cari, prigionia, vendetta, fuoco indiscriminato, distruzione di edifici, vacanze o feste rovinate, impotenza di fronte a uomini armati e umiliazione. Ve l’avevamo detto. L’oppressione e l’ingiustizia esplodono in momenti e luoghi inaspettati. Lo spargimento di sangue non conosce confini. Il mondo si è improvvisamente capovolto e l’incubo quotidiano dei palestinesi ha mandato in frantumi la facciata di normalità che ha caratterizzato la vita di Israele per decenni. Hamas l’ha schiacciata con un’operazione che ha mostrato ingegnosità militare e capacità di fare piani, tenerli segreti e usare tattiche diversive. I suoi uomini si sono lanciati in questa campagna con la volontà di sacrificare la vita, sapendo di avere buone probabilità di essere uccisi”.

Amira Hass si chiede: “Hamas ha un progetto e un obiettivo politico realistici, o cercava soprattutto di riabilitarsi agli occhi dei residenti di Gaza? L’operazione militare è affiancata da un piano per assistere e salvare i civili di Gaza sotto attacco? O il compito spetterà ancora una volta alle agenzie umanitarie internazionali?”. Come in passato, osserva Hass, la conclusione dell’esercito israeliano e di molti cittadini è che servono altra morte e altra distruzione. “A quanto pare è anche la conclusione dei governi occidentali, che si sono affrettati a esprimere il loro sostegno a Israele, ignorando la sua violenza e la sua crudeltà strutturale e il contesto di espropriazione del popolo palestinese dalla sua terra”. ◆ gim, dl

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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati