C’è stato un tempo in cui conoscevamo tutti i nostri vicini, i loro nomi, i loro figli, entravamo nelle loro case. Eravamo a tal punto parte della vita degli altri che non c’erano personaggi secondari. In quel tempo della nostra infanzia, tutte le vite avevano la dignità e il mistero di un’epopea. È questo tempo, perduto per sempre, che riscopriamo in Amélia, un sobborgo creato dall’autore a partire dal quartiere dove è cresciuto. Il suo romanzo ha una dimensione politica, perché non si limita a raccontare una bella storia, ci costringe a pensare criticamente al Portogallo. I personaggi di questo libro provengono da un luogo poco esplorato nella letteratura portoghese: i quartieri sociali, le città suburbane che gravitano intorno a Lisbona. Luoghi dove vagano figure in equilibrio tra iperrealtà e fantasmagoria. La profonda umanità di questo ritratto del Portogallo degli anni ottanta è fatta di piccoli dettagli altamente simbolici. Entrare ad Amélia è come conoscere il nome e la storia dei nostri antenati. Joana Emídio Marques, Observador

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Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati