All’inizio del nuovo romanzo ellittico di Yiyun Li, la narratrice senza nome descrive il difficile compito che si è prefissata nello scrivere questo particolare libro, che prende la forma di una conversazione immaginaria tra una madre e il figlio morto. “Ero un generico genitore in lutto per un generico figlio perso in una tragedia inspiegabile. C’erano già tre cliché”. L’umorismo in questo libro è sottile ma potente, sempre seguito da un’eco vitale di assurdità che rimanda all’occasione della conversazione: infatti, la non inspiegabile tragedia per cui la narratrice è in lutto è il suicidio di suo figlio di 16 anni, che lei chiama Nikolai, anche se non era questo il suo vero nome. Li ha scritto il libro nei mesi successivi al suicidio del figlio, e la responsabilità che la scrittrice si assume è simile a quella della maternità, che è per lei una preoccupazione ricorrente. Nel romanzare questa conversazione, la narratrice ha fatto sì che l’incontro tra lei e il figlio potesse aver luogo, anche se il mondo in cui parlano non è limitato dal tempo o dallo spazio, ma è “fatto di parole”. Lei cerca di stabilire che non devono più “attenersi alle regole che legano un figlio e un genitore”, ma la “speranza senza colpa” o la “colpa senza speranza” che circonda quella relazione li trascina; madre e figlio sono ancora bloccati in una lotta fatta di necessità e obblighi reciproci, anche se sembrano andare d’accordo quando Nikolai era vivo. _Dove le ragioni finiscono _è un’interrogazione della forma così come un tentativo di capire come vivere la sofferenza e scriverne. La madre scrittrice speranzosa e colpevole sa bene che il romanzo non è una conversazione con suo figlio, ma con se stessa. Lauren Oyler, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati