“È stata una notte terribile, non riuscivamo a dormire e quando alla fine siamo andati a letto, il tetto ci è caduto sulla testa”, racconta ad Arab News Rashad al Sayed, un abitante di 57 anni del campo profughi di Al Shati, a ovest della città di Gaza, dal suo letto di ospedale. Al Sayed viveva al sesto piano di un edificio bombardato dall’esercito israeliano l’11 maggio. Suo figlio Ahmed, 23 anni, è rimasto gravemente ferito ed è in terapia intensiva. Tre vicini sono rimasti uccisi nell’attacco. “I peggiori combattimenti dal 2014 tra i due acerrimi nemici Israele e Hamas non mostrano segni di diminuzione”, commenta il giornale saudita.

Tahael Harris, che lavora in un centro comunitario a Lod, confida al Jerusalem Post che non si sente più sicura in città e che la vita non sarà più la stessa dopo le tensioni seguite alla protesta della comunità araba tra il 10 e l’11 maggio: “Non possiamo più vivere così, qualcosa deve cambiare”.

Gli abitanti del centro d’Israele, presi di mira dai razzi lanciati dalla Striscia di Gaza, non avevano mai vissuto niente del genere, commenta il quotidiano israeliano Haaretz. E le pressioni sul governo israeliano per rispondere con durezza probabilmente saranno sempre più forti, per questo “gli avvenimenti dell’11 maggio stanno portando Israele e Hamas sull’orlo di un’altra guerra”. In un articolo pubblicato sullo stesso giornale Amira Hass punta il dito contro “la stupidità d’Israele”, responsabile di “aver infiammato una città divisa”, Gerusalemme. “La stupidità è l’arroganza di un paese convinto di essere onnipotente, che ha finito per costruire un muro di ferro per proteggere il suo reame da una rivolta inevitabile”.

Secondo Marwan Bishara, analista politico che scrive su Al Jazeera, “la risposta breve alla domanda ‘perché?’ è semplicemente ‘perché no?’, considerato che ogni nuovo giorno israeliano porta con sé ancora più sgomento palestinese”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1409 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati