La protagonista di Ammazzati amore mio è una donna sposata che vive con la famiglia in una casa vicino alla foresta e se la passa male, così male che pensa addirittura di uccidere tutti: il marito, la suocera da poco vedova e il figlio di sei mesi. La noia, l’alienazione e la violenza caratterizzano il primo romanzo dell’argentina Ariana Harwicz, che scuote e sorprende fin dalla prima riga, e non dà tregua al lettore fino alla fine. Come una bestia in gabbia, questa donna borghese passa dall’autocommiserazione all’autodistruzione, sente un richiamo selvaggio che le chiede di scappare da quella vita, e ciò che trova fuori è la natura, lo sguardo di un cervo, suoni sconosciuti, animali al pascolo. Ariana Harwicz arriva ad aprire una fessura nel luogo in cui altri narratori sguazzano: l’intimità. Che questa alienazione e insoddisfazione portino la protagonista ai bordi della follia è un fatto secondario, perché la cosa veramente interessante sono i suoi monologhi interiori, il flusso della sua coscienza squilibrata e il trattamento stilistico del suo erotismo perverso, con riferimenti sfumati a Virginia Woolf e Zelda Fitzgerald. L’uso rigoroso della prima persona e la predominanza del tempo presente consentono di mantenere un ritmo veloce e vertiginoso.
Malena Rey, Página12
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1409 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati