Tra il 26 e il 30 ottobre 2018 il nordest dell’Italia è stato colpito da un evento atmosferico estremo chiamato tempesta Vaia, che per la sua intensità è stato poi classificato come uragano. In particolare, nella notte del 29 ottobre in alcune vallate delle Dolomiti e delle Prealpi venete le piogge persistenti hanno fatto esondare i torrenti, e il vento di scirocco, che ha soffiato fino a duecento chilometri orari, ha abbattuto circa 14 milioni di alberi. “A distanza di due anni le conseguenze della tempesta Vaia sono ancora visibili”, dice il fotografo Matteo de Mayda, che ha visitato per tre anni le aree colpite in Veneto e in Friuli-Venezia Giulia, e ha seguito le operazioni di ricerca e gestione dei danni. Molti degli alberi abbattuti sono ancora a terra perché raccoglierli richiede esperienza e risorse. La loro corteccia inoltre è stata attaccata da un coleottero parassita. Le comunità montane delle zone colpite hanno subìto gravi danni economici a causa del crollo del prezzo del legno e della chiusura temporanea delle attività turistiche.

Mescolando foto d’archivio e reportage, immagini satellitari e al microscopio, il progetto Non c’è quiete dopo la tempesta vuole far riflettere su cause, conseguenze e opportunità di quello che è accaduto, e su come con il cambiamento climatico stia aumentando la frequenza di questi eventi. ◆

Test con dinamite per verificare la possibilità di usare le esplosioni per ripulire il terreno da ceppaie e detriti. Altopiano di Asiago, comune di Roana (Vicenza).
Una delle frane che hanno colpito la strada provinciale 251 in val di Zoldo (Belluno). L’assenza di alberi e i terreni smossi hanno esposto le comunità a un alto rischio di valanghe e frane.
Immagine aerea realizzata con la tecnologia lidar, in cui sono riconoscibili in viola le sezioni di bosco abbattute dalla tempesta Vaia.
Abramo Zoppe trasporta i tronchi caduti alla segheria, Rocca Pietore (Belluno).
Un albero infestato dal bostrico tipografo nella foresta di Pramosio, comune di Paluzza (Udine).
Un giovane esemplare di bostrico tipografo al microscopio
Lo sgombero dei sentieri a Digonera (Belluno). Raccogliere gli alberi caduti è un’operazione complessa e costosa. A terra possono costituire una protezione naturale per frane e valanghe, in attesa che siano costruiti paravalanghe e parasassi per mettere in sicurezza strade e paesi. Per questo, alcuni sostengono che i tronchi vadano lasciati dove sono. La tempesta Vaia ha danneggiato circa 8,5 milioni di metri cubi di alberi. È l’evento con il maggior impatto sugli ecosistemi forestali mai avvenuto in Italia.
Sottoguda, Rocca Pietore. Il rischio di valanghe è aumentato per la mancanza di vegetazione.
Luca Deganutti, Università di Padova. Il dipartimento territorio e sistemi agro- forestali dell’università sta cercando di localizzare i danni dell’uragano usando tecnologie avanzate.

Matteo de Mayda è un fotografo nato nel 1984. Non c’è quiete dopo la tempesta è stato realizzato tra il 2019 e il 2021 in collaborazione con il giornalista Cosimo Bizzarri, i dipartimenti Tesaf e Dafnae dell’università degli studi di Padova. Fa parte del progetto multimediale Climate change Italia_, nato dalla collaborazione tra l’agenzia Contrasto e l’Istituto Oikos._

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Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati