Tra il 26 e il 30 ottobre 2018 il nordest dell’Italia è stato colpito da un evento atmosferico estremo chiamato tempesta Vaia, che per la sua intensità è stato poi classificato come uragano. In particolare, nella notte del 29 ottobre in alcune vallate delle Dolomiti e delle Prealpi venete le piogge persistenti hanno fatto esondare i torrenti, e il vento di scirocco, che ha soffiato fino a duecento chilometri orari, ha abbattuto circa 14 milioni di alberi. “A distanza di due anni le conseguenze della tempesta Vaia sono ancora visibili”, dice il fotografo Matteo de Mayda, che ha visitato per tre anni le aree colpite in Veneto e in Friuli-Venezia Giulia, e ha seguito le operazioni di ricerca e gestione dei danni. Molti degli alberi abbattuti sono ancora a terra perché raccoglierli richiede esperienza e risorse. La loro corteccia inoltre è stata attaccata da un coleottero parassita. Le comunità montane delle zone colpite hanno subìto gravi danni economici a causa del crollo del prezzo del legno e della chiusura temporanea delle attività turistiche.
Mescolando foto d’archivio e reportage, immagini satellitari e al microscopio, il progetto Non c’è quiete dopo la tempesta vuole far riflettere su cause, conseguenze e opportunità di quello che è accaduto, e su come con il cambiamento climatico stia aumentando la frequenza di questi eventi. ◆
Matteo de Mayda è un fotografo nato nel 1984. Non c’è quiete dopo la tempesta è stato realizzato tra il 2019 e il 2021 in collaborazione con il giornalista Cosimo Bizzarri, i dipartimenti Tesaf e Dafnae dell’università degli studi di Padova. Fa parte del progetto multimediale Climate change Italia_, nato dalla collaborazione tra l’agenzia Contrasto e l’Istituto Oikos._
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati