Il romanzo di Esther Kinsky, Sul fiume, non solo ha creato una nuova lingua, ma ha anche riportato in auge un antico genere, conosciuto nel mondo anglosassone per quasi duecento anni come nature writing, che salvo poche eccezioni è rimasto trascurato in Germania. Sul fiume è pieno di cultura senza voler essere didascalico, è un libro intelligente e saggio e di una bellezza commovente, come l’immagine di un paesaggio enigmatico. Si potrebbe dire che Kinsky esamina i sedimenti della vita umana. Perché gli uomini costruiscono sulle rive dei loro fiumi, gli edifici che dovevano restare per sempre in piedi finiscono inondati, i fiumi vengono deviati, inquinati o lasciati scorrere selvaggi. E per quanto la natura sia primordiale, anche i personaggi di cui Kinsky racconta sono portatori di miti senza tempo. Sembrano agire su un mandato nascosto: re, devoti ebrei, cercatori d’oro, cavalieri, giocolieri, personaggi che sognano, credono, cercano e a volte trovano. È incredibile che gran parte di questo libro sia ambientato a Londra, la città in cui Kinsky è vissuta per più di dieci anni prima di fare di nuovo le valigie e viaggiare per l’Europa orientale, e infine trasferirsi a Berlino. La City come la conosciamo sembra infinitamente lontana dalle paludi a est di Londra, lontana come solo la civiltà può esserlo dalle origini naturali.
Katharina Teutsch, Frankfurter Allgemeine Zeitung
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Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati