Nel romanzo d’esordio semi-autobiografico di Paul Mendez, Latte arcobaleno, l’avatar dell’autore è Jesse McCarthy – giovane, gay, nero ed ex testimone di Geova – che ha imparato cosa significa essere nero da uomini bianchi. L’arrivo di Jesse (e presumibilmente quello di Mendez) a Londra all’inizio del millennio gli consente di dare un qualche ordine a tutte queste dimensioni della sua vita. Jesse fugge dalla sua cittadina di provincia e dalla crudeltà della famiglia. Adolescente onesto e religioso, non riesce a conquistare l’amore di sua madre, che lo ha cresciuto da sola prima di sposare il marito britannico, Graham, e unirsi ai testimoni di Geova. A Londra, Mendez descrive ogni casa, pub, bagno e ristorante con una precisione forense, e le sue osservazioni sui piccoli dettagli che determinano lo status economico sono sia divertenti sia commoventi. Latte arcobaleno cattura lo spirito di Londra subito dopo il duemila, con i suoi riferimenti alle Sugababes, ai jeans attillati e all’atmosfera apocalittica dopo l’11 settembre, specie per un adolescente cresciuto con l’aspettativa religiosa che il mondo possa finire nel corso della sua vita. Ricco di occasioni d’incontri sessuali, Jesse ci si getta a capofitto. Queste esperienze sono lo specchio che riflette sia come Jesse percepisce se stesso sia come è percepito dagli altri. Latte arcobaleno è un romanzo audace e crudo, e anche se c’è qualche spigolo da limare, il risultato è memorabile e affascinante. Nadifa Mohamed, New Statesman
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Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati