Nick Cave è ossessionato dalla Bibbia. Da bambino in Australia cantò nel coro della chiesa. Da quel momento, come ha raccontato, le storie cristiane l’hanno catturato e non l’hanno mollato più, diventando una delle fonti d’ispirazione delle sue canzoni. Carnage – il nuovo album di Cave pubblicato a sorpresa in digitale il 25 febbraio – prosegue su questa scia e getta un’ombra biblica sulla pandemia. È un disco apocalittico e dolce, sospeso tra dannazione e redenzione. Il cantautore l’ha registrato durante il lockdown insieme al polistrumentista Warren Ellis. Il primo pezzo, Hand of God, comincia con una melodia dolce, ma in pochi secondi sembra collassare su se stesso, aprendosi ad atmosfere elettroniche in stile Nine Inch Nails e a orchestrazioni alla Scott Walker. Nel brano il protagonista va lungo un fiume, che potrebbe essere il Giordano o il Mississippi, e una mano di Dio scende minacciosa dal cielo. Nel finale di White elephant, che cita le proteste del movimento Black lives matter, spunta un inno gospel sul regno dei cieli. Dal punto di vista sonoro, Carnage è il gemello minimalista del precedente Ghosteen: i brani sono scarni, per lo più si reggono solo su tappeti di sintetizzatori e qualche nota di piano, come la commovente Albuquerque. Uno dei pezzi migliori è Old time, tra una citazione di Glen Campbell e una fuga del violino di Ellis. Carnage è un album di appena otto brani, ma la qualità della scrittura di Nick Cave è sempre molto alta. E il verso finale dell’ultimo pezzo, Balcony man, è una chiusura perfetta tra nichilismo e ironia. Mentre il protagonista balla su un balcone come Fred Astaire, Cave canta: “Quello che non ti uccide ti rende più pazzo”.
Giovanni Ansaldo,
Internazionale

l. Busacca, Getty Images

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Questo articolo è uscito sul numero 1398 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati