Una donna di spalle guarda un’immensa lavagna nera. Indossa un vestito rosso a pois bianchi e delle calze rosse. La mano sinistra stringe un ombrello di plastica trasparente su cui si appoggia delicatamente. Ai suoi piedi si vede una grande busta con la scritta: “See the world” (guarda il mondo). Sulla lavagna si leggono degli orari. Sembra di essere in una stazione.

Ma perché allora, sopra l’indicazione a lettere maiuscole “Depart train” (Treno in partenza), c’è la frase quasi cancellata “Situation de production des vehicules du 14/09/2015” (stato della produzione dei veicoli del 14/09/2015)? Forse siamo in un edificio che prima di diventare una stazione era una fabbrica di automobili? Non c’è niente che aiuti a capirlo davvero. Guardando meglio, vediamo che le prime due destinazioni dell’elenco sono Voyage (Viaggio) e Imaginaire (Immaginario). È tutto molto strano ma anche molto preciso, inquadrato con cura, al tempo stesso realistico ed enigmatico. La seconda immagine della serie Imaginary trip della fotografa congolese Gosette Lubondo, che ne comprende quindici, conferma l’impressione di essere in una stazione. Nella foto una donna è nel vagone di un treno in cui non ci sono i sedili. Un vecchio vagone abbandonato, inquadrato con un perfetto controllo della simmetria, che fa da scenografia all’evocazione, alla costruzione e alla reinterpretazione di un viaggio che prevediamo sarà immobile.

Lubondo scatta con la macchina fotografica messa su un cavalletto per creare una prospettiva rigorosa, identica tra un’immagine e l’altra, con leggere variazioni nell’ampiezza dell’inquadratura. Lo spazio sembra più grande grazie all’uso del grandangolo. Così l’effetto è una stanza molto lunga, scandita dalla successione dei finestrini, che fa da scena a delle storie ordinarie, ma al tempo stesso misteriose e poetiche.

Imaginary trip I, n.3

Non c’è niente di spettacolare in questi piccoli momenti di vita che si svolgono all’interno di un treno: una donna, ancora una volta di spalle, che si muove verso un sedile assente; un’altra che porta il suo grosso bagaglio sulla testa; una persona assorta nella lettura; una dipendente della compagnia ferroviaria che serve un tè a una viaggiatrice; due donne che parlano; un’altra che fantastica guardando il paesaggio mentre un uomo legge il giornale. Poi la scena si anima con quattro passeggeri seduti sulle loro sedie e altri due in piedi che sembrano appena entrati. Nell’ultima immagine la donna si è addormentata poggiando la testa sulla sua giacca rossa, cullata dal lento ritmo del convoglio, mentre le sedie, disposte su tre file, compaiono grazie all’uso della doppia esposizione.

Imaginary trip I, n.7

Un metodo originale

Queste scene, costruite al tempo stesso con precisione e delicatezza, non sono delle storie, ma una manipolazione del tempo. Il vagone, o quello che ne rimane, non è un oggetto ma un rifugio, forse il ricordo o la traccia, se non la prova, di un passato difficile da definire e probabilmente già scomparso. Il processo che ci lascia sempre indecisi tra la seduzione dell’immagine e il dubbio su quello che ci dice consiste più nell’inventare un ricordo, che nel ricostruire ciò che è stato. È in questo spazio sottile che s’insinua la creazione di un universo onirico, che attinge dal passato e che può essere riconosciuto sia da chi lo ha vissuto in prima persona sia da chi ne ha solo sentito parlare. Imaginary trip _è la seconda serie di Lubondo – nata nel 1993 a Kinshasa, dove vive e lavora – e l’ha fatta conoscere a livello internazionale. La serie si lega perfettamente con la prima intitolata _Au fil du temps (Nel corso del tempo), in cui la giovane artista esplorava – in quel caso senza personaggi – i segni, i colori, le luci di un complesso ferroviario abbandonato. Con questo lavoro Lubondo assorbe e al tempo stesso rompe con il modo in cui la fotografia ha da sempre segnato il suo universo.

Imaginary trip II, n.2

Lo zio del padre di Lubondo, Etienne Nkazi, fu uno dei primi fotografi congolesi. Cominciò a lavorare nel 1914. Il padre, Yina-Mambu Diakota, era il fotografo dei circoli kimbaguisti, la chiesa cristiana nata in Congo. Dopo aver fondato una rivista di musica (con cui ha fatto conoscere la ricca scena musicale del paese), una serie di alti e bassi professionali e la perdita di gran parte del suo archivio, continua a lavorare ancora oggi all’età di settant’anni.

Imaginary trip I, n.14

Gosette, che era la figlia più giovane, non pensava alla fotografia. Racconta con ironia che, essendo la più piccola della famiglia, non aveva il permesso di toccare la macchina fotografica: “Forse proprio perché mi vietavano di toccarla, ne sono rimasta affascinata”. Nel 2011 si è iscritta all’accademia di belle arti di Kinshasa. Nel 2014 si è diplomata e l’anno successivo ha seguito il master in fotografia tenuto dal critico e curatore d’arte camerunense Simon Njami, promosso dal Goethe Institut di Johannesburg, in Sudafrica. Nel frattempo frequentava il seminario del fotografo francese di origine algerina Bruno Boudjelal. Queste esperienze e questi incontri le hanno confermato che la fotografia poteva essere il suo strumento di lavoro e soprattutto un modo per esprimersi.

Imaginary trip I, n.15

Con il passare del tempo Lubondo ha elaborato un metodo originale, seguendo l’obiettivo di riconciliare il presente e il passato per proiettarsi nel futuro. Per questo si è trasformata anche in modella. Nelle sue fotografie l’artista interpreta diversi ruoli, senza alcun narcisismo, per evocare il passaggio del tempo all’interno di un universo fantastico. L’immagine diventa magia, legame con le tradizioni orali africane. E anche se la fotografa posa nella scena interpretando Elikia (cioè “speranza”, la donna con il vestito rosso a pois bianchi, alter ego congolese di Alice nel paese delle meraviglie), non siamo nell’autoritratto ma in un fenomeno di sdoppiamento, come suggeriscono le sovraimpressioni di persone e oggetti che compaiono in alcune fotografie.

Imaginary trip I, n.1

Il suo nome, Gosette, diffuso nel Congo centrale, significa “consolali!”. E lei cura le piaghe del tempo con dolcezza, senza fretta. Sempre indossando lo stesso vestito rosso a pois bianchi, nella serie Imaginary trip II la fotografa ha scelto come ambientazione un’ex scuola, aperta nel 1936 da una congregazione cristiana e oggi abbandonata. Anche in questo caso il suo personaggio è accompagnato da figure trasparenti, da fantasmi, che la seguono gentilmente, in una serena tranquillità. ◆ adr

Da sapere
La mostra e il libro

◆ **Gosette Lubondo **doveva partecipare al festival di Paris photo 2020, in Francia, che è stato annullato a causa della pandemia di covid-19. Le sue foto saranno esposte nella mostra collettiva Memoria: récit d’une autre histoire al Frac Nouvelle-Aquitaine MÉCA a Bordeaux, in Francia, dal 3 febbraio al 29 maggio 2021. I lavori della fotografa sono stati raccolti nel libro _Gosette Lubondo _(Éditions de l’œil 2020).


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Questo articolo è uscito sul numero 1389 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati