Unsung heroes è un progetto sulla violenza contro le donne nel mondo. Nel 2019, con il sostegno della ong Médecins du monde, per otto mesi il fotografo Denis Rouvre ha visitato più di dieci paesi, dove ha incontrato un centinaio di donne. Il suo obiettivo era metterne in luce la dignità e la forza. Tutte hanno lottato contro degli abusi, e hanno accettato di mostrare i loro volti e raccontare le loro storie.

Chantal è stata violentata da un gruppo di soldati nel Sud Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo; Basanti, in Nepal, è stata ferita da un uomo che le ha lanciato dell’acido sul viso; Sarah è scappata dalla guerra in Siria e ora vive in un campo profughi in Libano.

“Sono racconti di violenza domestica, fisica e psicologica, ma anche legati alle guerre, alla discriminazione o alla povertà”, dice Rouvre. “Ognuna mi ha confessato quello che ha vissuto, rompendo il silenzio con coraggio e sincerità. Questo aspetto non è affatto scontato, perché spesso hanno paura di restare isolate dalla loro comunità, o di essere abbandonate dal marito o dalla famiglia”.

Sarah in un campo profughi per siriani in Libano. “Il viaggio da Homs, in Siria, è stato molto duro. Ma anche qui la situazione è difficile. A volte non abbiamo da mangiare, né vestiti per i bambini o coperte per il freddo”. (Denis Rouvre)

Secondo Catherine Giboin, vicedirettrice di Médecins du monde, il lavoro di Rouvre è importante perché ci ricorda fino a che punto i diritti delle donne sono ancora messi in discussione: il diritto di mostrare il proprio corpo, di portare avanti una gravidanza con un’assistenza sanitaria adeguata, di usare contraccettivi, di avere una stabilità economica.

Chantal, 30 anni, vive nel Sud Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo. “Stavo raccogliendo foglie di manioca quando li ho visti arrivare. Erano una ventina, vestiti da soldati. Mi hanno violentata uno dopo l’altro, mentre alcuni di loro guardavano con le armi in mano. A un certo punto anche se vedevo quello che facevano, il mio cervello si era perso, non capivo più niente”. (Denis Rouvre)

Rouvre ha ritratto le donne negli stessi luoghi in cui le ha intervistate: “Così hanno potuto prendere confidenza lentamente con la macchina fotografica. Hanno deciso loro come vestirsi e come posare. Io ho scelto solo la luce e l’inquadratura. La foto era l’ultimo passaggio di tutto il lavoro”. ◆

Daily, 15 anni, Colombia. “Ho quattro fratelli e vivo con mia madre. Sono stata violentata da mio padre e sono rimasta incinta. Ho abortito. Mi piacerebbe finire gli studi, sono all’ultimo anno. Vorrei studiare medicina o fare l’assistente di volo. Ma vorrei anche aiutare altre ragazze che hanno sofferto come me, per convincerle a non farsi trattare male da nessuno. Non bisogna restare in silenzio, non devono fare il mio stesso errore”. (Denis Rouvre)
Hyam, Territori occupati, Palestina. “Qui viviamo tutti nel terrore, giorno e notte. Prima avevamo gli ulivi e andavamo a raccogliere le olive nei campi. Ora non possiamo nemmeno più piantarli altrimenti i coloni israeliani li distruggono. Organizziamo incontri per donne che hanno subìto abusi dagli israeliani degli insediamenti. Alcune raccontano che i loro figli vivono nella paura. Cerchiamo di dare coraggio a queste donne, e per loro è un sollievo condividere queste difficoltà”. (Denis Rouvre)
Sanu Nani, Nepal. “Vivo in una casa fatta di lamiere, senza acqua corrente, in una discarica di Kathmandu. Dovevo ripagare alcuni debiti ma non avevo abbastanza soldi. Avevo sei figli, anche se ne sono sopravvissuti cinque. Non sapevo come fare. Avevo un’amica che lavorava nella discarica e sono andata a cercare lavoro lì. Non è facile, non sai mai cosa può succedere, è pieno di vetri, aghi e materiali pericolosi. Il rumore dei trattori mi spaventa, ma riesco a guadagnare abbastanza per sopravvivere”. (Denis Rouvre)
Basanti, 29 anni, Kathmandu, Nepal. “Ero al mercato quando un uomo mi ha lanciato dell’acido sul viso. Poi mi ha colpito con un coltello in testa e sul corpo. Da allora ho paura di tutto. Riesco a fuggire con la mente solo in sogno. Ma quello che mi fa più male è che i miei figli non vogliono più vedermi perché li spavento”. (Denis Rouvre)
Sephora, Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo. “Una mattina un profeta è venuto a casa nostra e mi ha accusato di essere una strega. Alla chiesa Mama Olangi mia zia mi costringeva a partecipare ai riti di esorcismo per cui dovevo digiunare ogni giorno. Mi picchiava, ero diventata la sua schiava. Non potevo nemmeno sedermi accanto ai suoi figli, perché aveva paura che potessi ‘mangiarli’. Un giorno è diventata improvvisamente gentile e materna, e mi ha preparato da mangiare. Non mi fidavo, così ho versato dell’acqua nel piatto. Mi ha guardato e mi ha detto che se avessi mangiato sarei morta. Così sono scappata e ho cominciato a vivere per strada. Un giorno un gruppo di ragazzi mi ha violentata. Sono rimasta incinta. Oggi ho due gemelli di cinque anni”. (Denis Rouvre)
Furaha, 30 anni, Bukavu, Repubblica Democratica del Congo. “Ero incinta di sei mesi quando tre uomini mi hanno violentata. Indossavano cappotti verdi e avevano delle pistole. Dopo alcuni giorni ho cominciato ad avere dolori alla pancia. Alla fine dell’ottavo mese i dolori continuavano a preoccuparmi e ho deciso di andare in ospedale, ma ho partorito mentre ero in strada. Il bambino era già morto. Mio marito ha fatto le valigie e se n’è andato di casa”. (Denis Rouvre)
Afifa, Territori occupati, Palestina. “Un giorno mi hanno detto che mio figlio Ahmad era stato ferito a un posto di blocco. Credevo non fosse niente di grave, perché era già capitato in passato. Quel giorno doveva andare a un matrimonio e l’unico modo per arrivarci era passare da lì. Lo hanno ricoverato in ospedale. Aveva la faccia gonfia, era irriconoscibile. È morto una settimana dopo. Da tre anni non vado a una festa di matrimonio. Perdere un figlio è la cosa peggiore che possa succedere a una madre”. (Denis Rouvre)

**Denis Rouvre **è un fotografo francese nato a Épinay-sur-Seine, nel 1967. _Unsung heroes _ha vinto il secondo posto dei Sony world photography awards 2020 per la categoria ritratto.

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Questo articolo è uscito sul numero 1377 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati