L’8 settembre almeno 16 persone sono morte e circa cento sono rimaste ferite nella capitale Katmandu quando la polizia ha represso una manifestazione contro un blocco dei social network.

“Al momento possiamo confermare che sedici manifestanti sono morti e altri cento sono stati ricoverati in ospedale”, ha dichiarato all’Afp Shekhar Khanal, un portavoce della polizia.

Le forze di sicurezza sono intervenute quando i manifestanti si sono diretti verso il parlamento, hanno riferito alcuni giornalisti dell’Afp.

“Abbiamo usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua”, ha dichiarato Khanal. Secondo alcuni testimoni, la polizia ha anche sparato proiettili di gomma.

Almeno tre manifestanti sono morti all’Ospedale civile di Katmandu, che ha accolto più di 150 feriti, ha riferito una portavoce della struttura.

“Non avevo mai visto un caos simile”, ha aggiunto.

Ventisei piattaforme bloccate

Il 4 settembre il ministero delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione aveva bloccato ventisei piattaforme, tra cui Facebook, YouTube, X e LinkedIn, accusate di non essersi registrate entro i termini previsti.

In base a una sentenza emessa dalla corte suprema nel 2023, le piattaforme avevano l’obbligo di nominare un rappresentante locale e una persona responsabile dei contenuti.

I manifestanti si sono radunati in mattinata nelle strade della capitale sventolando bandiere del Nepal e cantando l’inno nazionale, per poi scandire slogan contro il governo guidato da K. P. Sharma Oli.

“Siamo qui per contestare il blocco dei social network e la corruzione dilagante”, ha dichiarato all’Afp uno studente di 24 anni, Yujan Rajbhandari.

In un comunicato pubblicato il 7 settembre, il governo aveva affermato di voler regolamentare i social network per garantire la sicurezza degli utenti, respingendo l’accusa di minare la libertà d’espressione.