Il 3 novembre l’ex presidente boliviano Evo Morales, in sciopero della fame da due giorni, ha accusato il governo di aver ignorato la sua richiesta di dialogo per mettere fine a un mese di proteste, culminate il 1 novembre nella presa in ostaggio di duecento soldati da parte dei suoi sostenitori.

Riferendosi a quest’ultimo episodio, il ministero della difesa ha emesso un comunicato in cui “condanna fermamente la presa in ostaggio di unità militari con le armi e con la violenza”, senza fornire ulteriori dettagli.

“Ho chiesto un dialogo con il governo e la risposta è stata l’arresto di alcuni miei compagni, poi trasferiti a La Paz”, ha dichiarato Morales all’Afp il 3 novembre.

Dal 14 ottobre i sostenitori di Morales bloccano alcune delle strade principali del paese per protestare contro quella che considerano una “persecuzione giudiziaria” nei confronti del loro leader, sotto inchiesta per il presunto stupro di una ragazza di 15 anni, con la quale avrebbe avuto una figlia.

Ora chiedono anche le dimissioni del presidente Luis Arce, a cui attribuiscono la responsabilità delle carenze di carburante in Bolivia.

Il 1 novembre la polizia, con il sostegno dell’esercito, ha rimosso vicino a Parotani un blocco su una strada che collega Cochabamba, roccaforte di Morales, alla capitale amministrativa La Paz.

Secondo le autorità, diciannove poliziotti sono rimasti feriti e 66 persone sono state arrestate.

“Siamo vittime di una persecuzione”, ha affermato il 3 novembre Morales, il primo presidente indigeno nella storia del paese (2006-2019).

Il 1 novembre Morales ha annunciato uno sciopero della fame “fino a quando il governo non accetterà il dialogo”.

Lo stesso giorno Arce ha dichiarato che la priorità del suo governo è liberare Cochabamba, dove le carenze di carburante si stanno aggravando a causa dei blocchi stradali.

Il 1 novembre duecento soldati in tre caserme di Cochabamba sono stati presi in ostaggio dai sostenitori di Morales, secondo un comunicato del ministero degli esteri.

Morales è ai ferri corti con Arce per ottenere la candidatura del Movimento per il socialismo (Mas, sinistra) per le presidenziali dell’agosto 2025. L’ex capo dello stato, sostenuto da una parte del Mas, punta infatti a candidarsi ignorando un divieto della giustizia.