Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha appena vissuto una delle peggiori settimane della sua vita, anche se già tante sono andate storte dall’invasione russa quasi quattro anni fa. Tra l’ultimatum statunitense, i bombardamenti russi e la perdita del suo braccio destro a causa di uno scandalo di corruzione, è un momento nero.
La mattina del primo dicembre Zelenskyj arriva a Parigi in compagnia della moglie per un programma ridotto: un incontro con il presidente francese Emmanuel Macron, poi un pranzo delle due coppie presidenziali all’Eliseo. Il messaggio è semplice, riassunto dal ministro degli esteri francese Jean-Noël Barrot in un’intervista concessa il 30 novembre al giornale La Tribune dimanche: “Il presidente ucraino ha la legittimità per guidare il suo paese verso la pace”.
“Legittimità” è una parola chiave. In questo modo Barrot ha voluto rispondere al leader russo Vladimir Putin, che pochi giorni fa ha definito il governo di Zelensky “illegittimo”. Un attacco assurdo se consideriamo che la “legittimità” del regime di Mosca nasce da elezioni di facciata. Il problema è che Putin è capace di influenzare il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dunque bisognava rispondere e riaffermare la fiducia di Parigi e dell’Europa nei confronti del presidente ucraino in una fase decisiva.
Oggi Zelenskyj deve combattere su diversi fronti simultaneamente, tra cui quello della legittimità, che non gli è concessa da Macron, da Putin o da Trump ma dal popolo ucraino. Il contratto sociale tra Zelenskyj e i suoi concittadini è stato scritto il 24 febbraio 2022, il giorno dell’invasione russa. Davvero possiamo credere che sia stato infranto dallo scandalo di corruzione che ha provocato le dimissioni di Andrij Jermak, primo collaboratore e amico personale del presidente?
Un ruolo per l’Europa
La vicenda ha indebolito Zelenskyj nel peggior momento possibile, in cui è sottoposto a una forte pressione degli Stati Uniti. L’ultimatum di Trump, che gli aveva chiesto di accettare il famoso “piano in 28 punti” prima del giorno del ringraziamento, il 27 novembre, è stato cancellato. Ma la storia non è finita lì.
Il Wall Street Journal, quotidiano statunitense vicino al Partito repubblicano ma molto critico nei confronti di Trump, ha scritto in un editoriale che gli elementi più filorussi dell’amministrazione volevano approfittare dello scandalo di corruzione per abbandonare l’Ucraina. Il giornale ha invitato però a pensarci due volte prima di cedere alle sirene del Cremlino.
L’Europa può avere un ruolo in questo frangente decisivo? Paradossalmente sì, anche se è stata emarginata dagli statunitensi durante la trattativa iniziale con gli emissari di Putin. Gli europei sono infatti riusciti a rientrare in gioco negoziando con il segretario di stato americano Marco Rubio un piano meno aderente alle richieste di Putin. Il 30 novembre gli inviati ucraini hanno incontrato in Florida il negoziatore statunitense Steve Witkoff, protagonista di conversazioni telefoniche riservate che hanno rivelato la sua compiacenza nei confronti di Putin.
Il negoziato prosegue, ma nel frattempo Mosca fa sapere che il piano modificato non è più accettabile. Da questa dinamica nasce l’accusa di “illegittimità” a Zelenskyj, per addossare all’Ucraina la responsabilità di un eventuale (e probabile) fallimento del negoziato. E da qui nasce anche il pranzo di Parigi, destinato a dimostrare che l’Europa non ha intenzione di mollare l’Ucraina, nonostante tutte le difficoltà.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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