Il dalai lama, capo spirituale dei buddisti tibetani, festeggia il 6 luglio i suoi novant’anni. Arrivato a questa veneranda età, la sua successione è nella mente di tutti e promette di scatenare una battaglia serrata. Lui stesso si è espresso sull’argomento il 2 luglio, durante un intervento a Dharamsala, città indiana in cui vivono i tibetani in esilio. Il leader spirituale ha dichiarato che il suo successore sarà designato secondo i metodi tradizionali del buddismo tibetano, cercando la sua reincarnazione e precisando che nessuno ha il diritto di interferire.
Questa frase merita una spiegazione. Il concetto di reincarnazione è centrale nel buddismo tibetano, ma il Partito comunista cinese, per cui teoricamente la reincarnazione dovrebbe essere un’eresia, ritiene di avere il diritto di scegliere il successore dell’attuale dalai lama dopo la sua morte. In nome di una lettura storica dei rapporti tra la Cina imperiale e il Tibet, Pechino sostiene che spetta alle autorità cinesi indicare la reincarnazione di Tenzin Gyatso, nome di nascita del 14° dalai lama.
Naturalmente il Partito comunista cinese non si è affatto convertito al buddismo. Al contrario, si tratta di una manovra di potere per ottenere il controllo del territorio e della vita dei dieci milioni di tibetani.
L’attuale dalai lama è venerato dai tibetani di tutto il mondo anche se vive in esilio dal 1959, dieci anni dopo l’invasione del Tibet da parte delle truppe di Mao Zedong. Il leader spirituale resta un simbolo di unità e resistenza contro qualsiasi tentativo di cancellare l’identità tibetana, assimilandola alla cultura cinese.
Il Partito comunista cinese vuole indebolire la presa dell’istituzione religiosa sulla popolazione tibetana. Di sicuro Pechino riuscirà a suscitare una confusione tale che l’influenza del futuro dalai lama sarà ridimensionata.
Esiste un precedente: quello della designazione del panchen lama, seconda carica del buddismo tibetano. Nel 1995 un bambino indicato come la sua reincarnazione fu rapito dalle autorità cinesi, che in quel modo volevano imporre il “loro” panchen lama. Da allora non abbiamo mai più visto il bambino prescelto, mentre il panchen lama ufficiale è celebrato a Pechino. I tibetani temono che succeda lo stesso con il dalai lama.
Come impedirlo? Diversi anni fa l’attuale dalai lama ha dichiarato che la sua reincarnazione andrà cercata “nel mondo libero” e non nei territori tibetani sotto il controllo cinese. Il 2 luglio il capo spirituale ha ricordato ai suoi discepoli che qualsiasi designazione da parte di altre entità rispetto a quelle della tradizione dovrà essere considerata illegittima. Il compito di individuare la reincarnazione del dalai lama spetta a un’organizzazione, il Gaden phodrang trust.
Basteranno queste precauzioni? Di sicuro la mossa del dalai lama non impedirà a Pechino di provare a imporre il proprio candidato e sfruttare la confusione provocata dall’esistenza di due dalai lama. Considerando il fatto che il culto del dalai lama è sopravvissuto a quasi settant’anni di esilio, in un contesto in cui il semplice possesso di una sua foto può avere conseguenze gravi, possiamo immaginare che il partito non riuscirà ad allontanare i tibetani dal simbolo della loro identità. Ma Pechino agisce in Tibet come fa nello Xinjiang, ovvero cercando di cancellare le identità e provando a mettere le religioni sotto il proprio controllo.
Questa situazione crea un nuovo argomento di studio: comunismo e reincarnazione. Era impensabile, eppure il partito ci è riuscito.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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