Ho due bambini piccoli, il maggiore ha due anni e mezzo. L’anno scorso, nel periodo delle feste, familiari e amici hanno cominciato a raccontargli che Babbo Natale gli avrebbe portato dei regali. Mi sembrava troppo piccolo per capire l’idea di Babbo Natale, ma ora che è un anno più grande mi trovo in difficoltà.

So che molti genitori mentono ai figli su varie cose, grandi e piccole – per esempio, dicono che la gelateria è chiusa per mettere fine alla richiesta di un dolcetto – e non intendo giudicarli né condannarli. Ma ricordo bene il dolore che provai quando mi resi conto che i miei genitori erano disposti a mentirmi per semplificarsi le cose o magari anche per proteggere i miei sentimenti.

Quando sono diventata madre ho promesso a me stessa che sarei stata il più sincera possibile con i miei figli, riconoscendo che anche i bambini piccoli meritano il rispetto che si deve a un adulto. E la complicata impresa di “fingermi” Babbo Natale sarebbe uno dei pochissimi casi in cui dovrei tenere in piedi una finzione. In altre parole, non si tratterebbe di mentire una volta sola.

Da bambina mi sentii sconcertata e ferita scoprendo che Babbo Natale non esisteva, e quando affrontai mia madre, lei non volle ammettere la verità né spiegarmi perché aveva partecipato per anni a quella farsa.

Altri genitori mi dicono che assecondare la fantasia di Babbo Natale è una parte importante e divertente dell’infanzia, un rito di passaggio per poi arrivare, un giorno, a scoprire la verità. Allora perché non riesco a liberarmi della sensazione che minerei il rapporto onesto e di fiducia che cerco di costruire con i miei figli?–Laura Iannello, Verona, stato di New York

Aspetta: Babbo Natale non esiste? Il problema è che credere in qualcosa o qualcuno, non da ultimo Babbo Natale, può essere tutt’altro che semplice. Partiamo dal fatto che usiamo il linguaggio per un’infinità di scopi: informare, divertire, onorare, umiliare, discutere, vincere, corteggiare, stupire, spiccare il volo. Sì, un forte impegno per la sincerità è importante. Ci permette di agire sulla base di conoscenze fornite da altri. Tanto di cappello per voler onorare questo ideale a casa tua. Ma per aiutare i bambini a socializzare devi anche riconoscere i limiti di un’onestà radicale.

Per cominciare ci sono molte osservazioni, vere ma scortesi, che è meglio non esprimere, e non basta aggiungere “sto solo dicendo la verità”. Va benissimo dire ai nonni che ti piace il loro regalo di Natale anche se non è vero. E poi, il linguaggio espressivo spesso include affermazioni che non sono letteralmente vere: hai davvero tanta fame da mangiare un elefante? Altrettanto importante è il modo in cui usiamo le parole nell’ambito del gioco.

Il gioco di finzione, dicono gli psicologi dell’età evolutiva, è qualcosa che i bambini imparano a fare in forme sempre più complesse prima dei tre anni. Possono trattare una torta di fango come una vera torta o fare finta di essere qualcun altro: “Sono una principessa!”. E mentre i loro genitori a volte intendono esattamente quello che dicono (“non toccare il fornello!”), possono anche inventare scenette buffe che nessuno potrebbe scambiare per realtà (“ti mangio di baci!”). L’idea di Babbo Natale non rientra esattamente in nessuna di queste categorie, è un tipo di gioco diverso.

Quando i genitori parlano ai bambini della slitta di mezzanotte, di solito hanno un luccichio negli occhi e un atteggiamento giocoso. E così, quando i bambini capiscono che Babbo Natale è un personaggio immaginario, possono avere la sensazione di fare finalmente parte del gioco, non di essere stati crudelmente ingannati. A volte, in una certa misura, sono loro stessi a scegliere di prolungare la finzione, e di non fare domande scomode sulla possibilità che pesanti ungulati volino nel cielo o che un uomo grassoccio riesca a infilarsi in uno stretto camino dopo l’altro. Alcuni sostenitori della tradizione filosofica del pragmatismo hanno proposto la (fuorviante) teoria che è “vero” ciò che è utile credere. In questo senso, molti bambini di sei anni sono allegri pragmatisti.

Ma da bambina la tua esperienza è stata diversa, e quindi oggi è diverso il tuo atteggiamento verso la storia di Babbo Natale. Non riuscirai a trasmettere quel senso di gioco se tu per prima non lo percepisci come tale (di fatto, sembra che tua madre non sapesse bene come uscire dal personaggio, e questo potrebbe dire qualcosa di lei e anche di te). Solo i genitori che sentono davvero lo spirito di Babbo Natale dovrebbero fingersi Babbo Natale. La tua sarebbe una recita forzata, non una fonte di allegria ma un nodo allo stomaco. Non ti divertiresti, e i tuoi figli finirebbero per sentirsi confusi.

Dunque, quando il bambino più grande ti chiederà dell’uomo con la barba e la pancia, potrai semplicemente dirgli: “Io non credo a Babbo Natale, ma milioni di persone sì”. Non vuoi che se ne vada in giro a parlare male di Babbo Natale. In ogni caso, non sarà l’unico scettico dell’asilo, e i genitori più furbi hanno già escogitato una risposta (“eh sì, se non credi a Babbo Natale ricevi solo i regali da mamma e papà”). Nelle scuole dell’infanzia con bambini di origini diverse, tutti si abituano al fatto che ogni famiglia ha le sue tradizioni.

Un’ultima nota. Vuoi che i tuoi figli credano in te e la tua determinazione a guadagnarti la loro fiducia è ammirevole. Ma crescere significa imparare che non bisogna sempre credere a quello che dicono gli adulti, anche quando sono sinceri: possono sbagliarsi sui fatti e sui giudizi che danno per validi. Se un giorno diventeranno genitori, i tuoi figli potranno decidere se partecipare o meno al gioco delle renne.

(Traduzione di Gigi Cavallo)

Il consulente etico è una rubrica del New York Times Magazine su come comportarsi di fronte a un dilemma morale. Qui ci sono tutte le puntate.

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