Quando scende la notte il villaggio diventa buio e silenzioso. Ma, se si prosegue lungo la strada principale per cinque minuti, a un certo punto si vedono intrecciarsi grandi fasci di luce gialla e azzurra. È la centrale idroelettrica sul fiume. A marzo, nel sud della Cina, la stagione delle piogge deve ancora arrivare, il livello dell’acqua è basso e il fiume scorre lentamente. Più ci si avvicina alla centrale, più è difficile ignorare il frastuono proveniente dalle quattro miniere di bitcoin lì accanto: decine di migliaia di macchine che “estraggono” criptovalute ventiquattr’ore su ventiquattro e ventilatori che girano senza sosta per evitare che si surriscaldino. Di notte fa ancora freddo, ma quando entriamo siamo investiti da ondate di calore.
Le miniere di bitcoin di solito sono ben nascoste nelle campagne, lontano dai centri urbani. Per arrivare alla centrale idroelettrica che si trova sul confine della contea di Hyonga si prende un aereo fino a Chengdu, capoluogo della regione del Sichuan, si continua su un treno ad alta velocità per la città di Meishan, poi si fanno due ore di autobus fino alla contea e infine ancora mezz’ora di macchina. E questa è la miniera di bitcoin meno sperduta, dove si produce quella ricchezza virtuale che ha fatto impazzire tantissima gente. Grazie a una fornitura di elettricità a basso costo, le apparecchiature per il mining, il processo di estrazione, fanno a gara per approvare le transazioni sfruttando la loro potenza di calcolo. Quelle che ci riescono sono premiate dal sistema, che fa arrivare i bitcoin direttamente sul conto del proprietario del computer.
Mani nere e poca luce
Alle otto di mattina Zhao Jun si sveglia nel dormitorio che dà sul cortile della centrale idroelettrica, legge i messaggi dei clienti sul suo smartphone e si prepara ad affrontare la giornata. La sua stanza con quattro letti somiglia a una di quelle degli studentati universitari, ma è occupata solo da lui. Tra i letti a castello c’è un tavolo vecchio e usurato, il pavimento è coperto da bruscolini e le confezioni vuote degli spaghettini istantanei, rimaste sul tavolo, sono piene di mozziconi. Non c’è nessuno che si prenda la briga di fare le pulizie.
Zhao Jun è l’amministratore di una delle miniere di bitcoin. È arrivato meno di un mese fa da Longyan, nella regione del Fujian, per occuparsi delle macchine per l’estrazione. Aveva sentito dire che l’elettricità generata dall’acqua è difficile da immagazzinare, che “se non viene usata, finisce sprecata come l’acqua sorgiva” e che quindi sarebbe stato redditizio farla confluire in una miniera. D’inverno, durante la stagione secca, il costo dell’elettricità sale e i computer che continuano a lavorare sono come studenti eccellenti che, grazie alla loro potenza e capacità di calcolo, non temono la poca energia a disposizione.
Questa miniera può ospitare anche trentamila macchine, ma adesso ce ne sono solo tremila in funzione. Una potente consuma 3,5 kwh all’ora, più di duemila kwh al mese, cioè più o meno quanto consuma una famiglia ordinaria in sei mesi. I computer appartengono a clienti diversi che da casa controllano i movimenti sui loro account. Ogni tanto si preoccupano per la potenza di calcolo e lo comunicano a Zhao Jun su WeChat. Alcuni addirittura gli chiedono di trovare una posizione più fresca per le loro macchine, proprio come un genitore raccomanda al maestro di trovare un posto migliore in classe per
il figlio.
In questa gigantesca officina, il più delle volte Zhao Jun è solo con migliaia di computer. Non ci sono finestre, ma qualche spiraglio di luce filtra dalle intercapedini dei muri e dai grandi ventilatori a parete sempre accesi. Quando passa tra le macchine disposte sugli scaffali e i cavi a tenuta stagna, Zhao Jun usa spesso una torcia, a volte ne indossa una frontale, come quelle che usano i minatori sottoterra. Dopo qualche ora di lavoro, ha le mani completamente nere, proprio come se stesse estraendo carbone. Nell’officina, oltre a Zhao Jun, c’è solo Li Qiang. Ma a maggio, con l’arrivo della stagione delle piogge, arriverà una trentina di altri amministratori da ogni angolo del paese.
I bitcoin sono scambiati come le azioni. Le fluttuazioni, ripide come montagne russe, sono la norma e non sono rare le storie di chi si arricchisce o porta in bancarotta l’intera famiglia in una sola notte. All’inizio del 2021, per esempio il loro valore è salito costantemente fino a toccare un massimo di 60mila dollari. Verso la fine di febbraio il prezzo ha cominciato a fluttuare e il 26 febbraio è crollato del 12 per cento, sotto i 45mila dollari. La maggior parte degli amministratori ci è abituata e mantiene una calma distaccata: l’aumento del prezzo e la svalutazione della moneta digitale non incidono davvero sul loro reddito, che continua a crescere.
Quando s’invia un messaggio a un cliente, bisogna stare calmi. Il destinatario potrebbe essere di buon umore e rispondere con un “regalino”. Se il valore è sceso molto, Zhao Jun usa parole di conforto. Tra i clienti ci sono quelli che lui definisce i “dritti” e i “polli da spennare”. I “dritti” non si preoccupano dei crolli, anzi, ne sono felici perché “è tempo di speculare”. Dopo un crollo drammatico, la ripresa sarà veloce. E viceversa.
Le macchine per il mining arrivano prima dei minatori. Negli ultimi giorni i camion carichi di computer si sono visti spesso alla centrale. Zhao Jun e Li Qiang li assemblano e li trasportano. Per qualche yuan anche gli abitanti del villaggio ogni tanto vengono a dare una mano: entrano nell’officina uno dopo l’altro con le macchine. Sanno che qui possono guadagnarsi la giornata, ma non hanno mai sentito la parola bitcoin.
Certi giorni Zhao Jun è così occupato che non ha nemmeno il tempo di pranzare. Trangugia in fretta degli spaghetti istantanei e riprende a fare su e giù. La sera, quando è un po’ più libero, va a cenare al villaggio: spiedini arrosto, zuppa di montone o verdure saltate. In tutto ci saranno quattro o cinque trattorie, e inevitabilmente a lungo andare stancano.
Zhao Jun è considerato un “minatore anziano”. Ha quasi 31 anni e ne ha vissuti sei così. È magro e particolarmente comunicativo, anche se parla un mandarino con influssi dialettali. Durante la stagione secca, molte miniere si spostano a nord. Zhao Jun ha lavorato nello Xinjiang, nella Mongolia interna, nel Qinghai, nello Yunnan, nel Guizhou, nel Sichuan e in molti altri posti. Di fatto, va dove c’è bisogno di lui. Dice di non sentirsi solo: si gode la libertà e “l’odore dei soldi”. Nell’officina, a fargli compagnia, c’è un husky di nome Beibei, che si è portato dalla sua casa nel Fujian. Quando Zhao Jun guida dal suo villaggio natale fino alle miniere in aree remote, Beibei sta seduto sul sedile accanto al suo. La famiglia di Zhao crede che portare con sé un cane eviti la malasorte.
Ma non tutti sono soddisfatti di questa vita. Li Lei, l’amministratore della miniera accanto, un mese fa ha chiuso il negozio dove riparava computer a Shenzhen per venire qui. Se le paragona allo stile di vita che conduceva nella metropoli, le montagne sono piuttosto noiose. Non c’è vita notturna, Tik tok e i videogiochi sono le uniche distrazioni; nella stagione delle piogge è diverso, perché ci sono abbastanza persone per organizzare una partita a carte. Li Lei vorrebbe tornare a Shenzhen, ma vuole anche fare soldi.
L’occasione al volo
Molti amministratori di miniere di bitcoin hanno cominciato la loro carriera riparando computer. Anche Zhao Jun. Nel 2012 si è laureato in informatica e ha fatto uno stage organizzato dall’università in una fabbrica di elettronica. Ma dopo qualche mese aveva l’impressione di “sprecare il suo talento”, di non meritare di essere seppellito lì dentro. Così ha chiesto un prestito alla famiglia, ha aperto un negozio di riparazioni di telefonini a Longyan e ha cominciato ad assemblare e vendere computer.
Dopo un anno o due, si era fatto una discreta fama. All’epoca non esistevano ancora le macchine per l’estrazione, ma molti dei suoi primi clienti trattavano con i bitcoin. Un giorno uno di loro gli ha chiesto un modello specifico di scheda grafica così, mosso dalla curiosità, Zhao Jun ha scoperto cos’era il mining.
Più passava il tempo e più si faceva conoscere tra chi cercava qualcuno che aggiustasse le macchine per il mining. Il suo nome ha cominciato a circolare e un giorno qualcuno lo ha invitato nelle montagne dello Yunnan perché lo aiutasse. Era un’occasione per crescere: molti soldi, spese coperte e un po’ di mistero. Zhao Jun ha colto l’occasione al volo.
◆ Lanciata nel 2009, bitcoin è la prima criptovaluta al mondo a vasta circolazione, denaro digitale che due persone possono inviarsi su internet senza intermediari. Il mining (estrazione) è il processo che fa eseguire a computer specializzati (piattaforme di mining) calcoli matematici per verificare e registrare le transazioni. I minatori sono gli addetti al controllo delle macchine che possono ricevere una commissione sulle transazioni che registrano. I computer specializzati sono molto grandi e per funzionare richiedono un’enorme quantità di energia elettrica, il cui consumo cresce ogni giorno. Coinbase
È andato in aereo a Kunming e poi, dopo qualche ora di macchina, è arrivato nel piccolo villaggio circondato da montagne dov’era nascosta la miniera. All’epoca era una centrale elettrica collegata con dei cavi a duecento macchine. Zhao Jun, emozionato, passava giorno e notte nell’officina con il suo capo. Nella miniera il rumore era tale che per rispondere al telefono dovevano correre fuori e per comunicare tra loro, anche se erano vicini, dovevano urlare. Zhao Jun ci ha messo parecchio ad abituarsi. Tra colleghi scherzavano sul fatto che quando tornavano a casa per il capodanno lunare non riuscivano più a dormire, perché non c’era quel frastuono.
**Oscillazioni **
Nel 2015 questi minatori si potevano ancora contare sulle dita di una mano. La maggior parte di loro era collegata all’industria informatica. Oggi sono più di centomila ma la sensazione è che nei posti migliori ci lavorino sempre i più esperti. In tanti ormai chiedono a Zhao Jun di amministrargli una miniera, e lui oggi può permettersi di scegliere l’offerta migliore.
“Per molto tempo la Cina è stata l’epicentro mondiale del mining, un processo che consuma grandi quantità di energia per assicurare il funzionamento della rete delle criptovalute ed estrarre nuovi bitcoin attraverso macchine specializzate note come mining rig (piattaforme minerarie)”, scrive Wired. “Secondo il Centro per la finanza alternativa dell’università di Cambridge, nell’aprile 2021 più del 65 per cento dei minatori di bitcoin lavoravano in Cina. Ma oggi i minatori cinesi sono sulle spine dopo l’annuncio del governo, il 20 maggio, di un giro di vite imminente contro l’estrazione e il commercio di bitcoin”. La decisione s’inserisce in un’azione più ampia intrapresa da Pechino per contenere i rischi finanziari.
Come hanno reagito i minatori? Alcuni hanno cominciato a darsi da fare per liberarsi delle macchine; molti di loro probabilmente avevano contratti di hosting (che permettono di affittare uno spazio per le macchine in grandi centri per l’estrazione, approfittando del basso costo dell’energia elettrica e d’infrastrutture ottimizzate) vicini alla scadenza e, data l’incertezza della situazione, hanno deciso di vendere i computer , dice a Wired Robert Van Kirk, direttore di Kaboomracks, un sito di compravendita di strumenti per l’estrazione di criptovalute. Altri, continua Van Kirk, stanno pensando di spostare l’attività altrove. Qualcuno parla di minatori nel panico che trasportano di notte le loro macchine in Kazakistan.
Il Kazakistan, con un clima relativamente freddo e la disponibilità di energia a basso costo prodotta con il carbone, ha alcune caratteristiche ideali per l’estrazione di criptovalute. Inoltre confina con lo Xinjiang, dove si estrae un terzo dei bitcoin cinesi. Ma il paese centrasiatico potrebbe anche essere solo una tappa verso un altro posto, come il Nordamerica, l’Europa del nord o l’America Latina. Logisticamente, però, non sarà una passeggiata: spostare decine di migliaia di macchine dalla Cina agli Stati Uniti, per esempio, con la pandemia e la circolazione ridotta dei container, può essere un incubo, continua Wired.
La maggior parte dei minatori cinesi sta aspettando nuove indicazioni dal governo di Pechino. Non è la prima volta che le autorità cinesi fanno la voce grossa contro i bitcoin. Ma stavolta potrebbe essere diverso, visto che l’annuncio dell’imminente giro di vite è stato fatto dal viceprimo ministro Liu He, consigliere economico del presidente Xi Jinping.
Il 13 giugno le autorità della provincia dello Yunnan, la quarta del paese per hashrate _(l’unità di misura della potenza di elaborazione della rete bitcoin), hanno annunciato che taglieranno la fornitura di elettricità a chiunque sarà scoperto a usarla per estrarre bitcoin. Anche lo Xinjiang, la Mongolia Interna e il Qinghai hanno annunciato la chiusura di una parte o di tutte le miniere. Il grande consumo di energia nel processo di estrazione si scontra con l’impegno della Cina di ridurre le emissioni di CO2 almeno del 65 per cento rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030 e di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, scrive il South China Morning Post. Inoltre Pechino sta testando lo yuan digitale, una moneta elettronica garantita e controllata dallo stato, con l’obiettivo di farne la prima valuta digitale scambiata a livello internazionale. ◆ _cag
Le miniere sono sempre in località sperdute e ora che può aspirare ad alti compensi, Zhao Jun non vuole più tornare nello Xinjiang. Ha passato un inverno intero nel deserto del Gobi: per comprarsi una bottiglia d’acqua doveva guidare per tre ore. L’elettricità lì non è prodotta con l’acqua ma con il carbone. Ogni giorno, al risveglio, Zhao Jun alzava la testa e vedeva una fitta coltre di nebbia. Quando andava a dormire, la sera, il suo volto era completamente nero.
Chen Xiaolong gestisce un’impresa con alcuni amici e possiede quasi diecimila macchine per il mining. Molti computer nella miniera dove si trova Zhao Jun sono suoi. Anche lui ha cominciato a credere che i bitcoin potessero diventare un business solo nel 2017, l’anno in cui il valore della valuta digitale è salito vertiginosamente. Prima Chen aveva lavorato nel settore immobiliare, in aziende vinicole e in altre industrie e pensava che la valuta elettronica non avesse futuro.
Quando ha capito che le prospettive erano buone, Zhao Jun ha speso gran parte dei suoi risparmi per comprare decine di macchine di seconda mano con cui ha cominciato a “estrarre” moneta. Erano sue, e all’inizio se le portava ovunque andasse e si occupava personalmente delle operazioni e della manutenzione. Solo quando le miniere sono diventate abbastanza solide ha scelto di lasciarle per un periodo nello Yunnan. Ma non le ha tenute lì, le ha rivendute quando sono cresciute di valore. In circa due anni, ha estratto 1,5 bitcoin.
Ma poi nel 2020 il valore dei bitcoin ha subìto delle oscillazioni. Nella prima metà dell’anno, influenzato dalla pandemia, è sceso continuamente e il 12 marzo, il giorno del cigno nero, sotto la doppia spinta dell’epidemia e della guerra del greggio, è crollato sotto i quattromila dollari. Quel giorno Zhao Jun ha pensato che era ora di smettere e ha venduto il suo bitcoin e mezzo per qualche decina di migliaia di yuan, con cui ha ristrutturato casa. Sul suo conto c’era veramente poco.
Inaspettatamente nella seconda metà dell’anno la valuta ha ricominciato a crescere velocemente. Zhao Jun avrebbe potuto guadagnare decine di migliaia di dollari. Rimpiange spesso di non essersi preso il rischio ma allo stesso tempo si compiace della sua sobrietà. Legge molte storie di persone che si sono arricchite in una notte e ammira il coraggio dei “dritti”. Un suo amico, quando la valuta è scesa, ha comprato decine di migliaia di macchine per l’estrazione pagandole come “rifiuti tecnologici”. Quando il loro valore è risalito, le ha vendute in blocco a un prezzo seicento volte superiore e il giorno dopo si è comprato un’auto di lusso.
Mettere radici
Rispetto alla sua bancarotta Zhao Jun dice che si rifarà, ma ancora non ha avuto il coraggio di provarci. Anche Chen Xiaolong il 12 marzo 2020 ha pensato che il corso dei bitcoin “si fosse esaurito” e ha svenduto molte monete digitali. Alcuni suoi clienti sono stati costretti a spegnere le loro macchine, altri le hanno vendute all’azienda al prezzo di fabbrica.
Il 1 marzo, per raggiungere gli obiettivi di consumo energetico che le erano stati assegnati, la Mongolia Interna ha proibito il mining e ha annunciato che tutte le attività connesse sarebbero cessate entro la fine di aprile. Chen Xiaolong si è ritrovato improvvisamente a dover trasferire tutte le macchine dei suoi clienti nelle miniere del sud della Cina.
Zhao Jun, invece, sente la necessità di stabilizzarsi e mettere radici. Il figlio di suo fratello, più giovane di lui di qualche anno, va già alle scuole medie mentre lui da quando ha cominciato questo lavoro non si è mai fermato in nessun posto. Le amicizie resistono, ma non l’amore. Recentemente ha incontrato una ragazza del Sichuan e ha deciso di smettere di correre e di fermarsi nella regione di lei per qualche tempo. Il negozietto di riparazioni di computer nel suo villaggio natale è ancora aperto: Zhao Jun l’ha affittato e l’ha ingrandito. Sarà il suo buen retiro. ◆ cag
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Questo articolo è uscito sul numero 1414 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati