La mattina dell’11 gennaio 2019, Brune (il nome è di fantasia), 31 anni, ha fatto come al solito: appena arrivata all’asilo di Parigi dove lavora come puericultrice, ha aperto la posta elettronica. Un’email del sito MyHeritage annunciava nell’oggetto: “Brune, hai delle corrispondenze di dna!”. Poche settimane prima la ragazza aveva comprato su internet un test del dna, come altri centomila francesi. Lo aveva fatto senza pensarci troppo, divertita dalla promessa di scoprire le sue origini etniche e geografiche. Pensava che non ci sarebbero state conseguenze, invece ora si ritrovava di fronte alla scheda di uno sconosciuto che in base alla percentuale di dna che avevano in comune poteva essere “il suo fratellastro o un nipote”. La parola “fratellastro” l’ha lasciata a bocca aperta, così come il volto del ragazzo che somigliava molto a quello di sua madre. Presa dal panico, Brune ha cancellato il suo account: “Non ho voluto né sapere né capire, ma dimenticare”.

Lo stesso giorno, a cinquecento chilometri di distanza, mentre si preparava ad andare alla scuola media dove insegna, Sylvain Loscos ha ricevuto un messaggio identico. Anche lui è rimasto scosso: tre mesi prima aveva scoperto sullo stesso sito di avere un fratellastro. E ora ecco una sorellastra. Qualche ora dopo, di fronte al suo computer, anche lui è stato preso dal panico: la scheda di Brune, di cui ha salvato la schermata, era scomparsa. Ma poi ha pensato che con un cognome così raro, non sarebbe stato difficile rintracciarla.

Sylvain ha cercato a lungo quel cognome su Google e sui social network, ma non c’era traccia della ragazza: “Ho chiamato il servizio di assistenza di MyHeritage per sapere che cosa era successo e mi hanno detto che aveva cancellato il suo profilo”, spiega. Sylvain era al tempo stesso deluso e determinato. Aveva una buona pista: un cognome, che poteva portarlo alla madre biologica. E non voleva abbandonarla. La sua storia è quella di una ricerca che si è imposta da sola.

Un’infanzia felice

Sylvain Loscos è nato da un parto anonimo il 23 agosto 1983 a Cambrai, nella regione dell’Alta Francia: “Non ho mai voluto né cercato di sapere di più”, dice. Ma ha sempre fatto tutto quello che la legge consentiva. A 18 anni ha chiesto alla Famille adoptive française, l’associazione che lo ha accolto alla nascita, di consultare lo (scarno) fascicolo dell’adozione. Il documento era di poche righe: “Figlio naturale non riconosciuto. La madre cresce da sola un altro figlio, che è stato accolto molto male dalla famiglia. La ragazza ha nascosto a tutti la seconda gravidanza e non vuole allevare questo bambino, che non desiderava e che non può crescere degnamente senza un padre”.

Sylvain inoltre ha scoperto che la madre biologica, il cui nome è Chantale, che aveva 23 anni quando lo aveva dato in adozione e aveva già una figlia di due anni e mezzo, Marie (nome di fantasia). Il documento precisava su Chantale: “Non molto alta, castana ossigenata, molto truccata. Gentile, intelligente e molto simpatica”. Sul padre biologico: “Ventidue anni, francese. Ha abbandonato la madre. Vive nei dintorni di Parigi”.

Nel maggio del 2015 Sylvain, a 32 anni, ha scoperto l’esistenza del Consiglio nazionale per l’accesso alle origini personali (Cnaop). Li ha contattati, e una signora “molto gentile” gli ha detto che si sarebbe messa al lavoro per cercare sua madre. Se l’avesse trovata, l’avrebbe informata dell’iniziativa di Sylvain. La donna sarebbe stata libera di togliere il segreto sulla propria identità. Il tentativo però non ha dato risultati. Dopo qualche mese il
Cnaop lo ha chiamato per annunciargli che il suo caso sarebbe stato chiuso: impossibile trovare la madre. Sylvain non era rimasto troppo turbato: non poteva farci niente.

Tentazione irresistibile

Due anni dopo Sylvain era padre di due bambini, due gemelli di un anno. Lavorava molto – come professore, ma anche come regista e sceneggiatore – e conduceva una vita tranquilla nel paese dov’era cresciuto, a venti chilometri da Lione. Un’infanzia felice in una famiglia affettuosa. Sylvain è molto attaccato ai genitori e alle due sorelle. La più giovane è stata adottata in Corea del Sud. “Per noi l’adozione non è mai stato un tabù, ci scherzavamo sopra. Mia madre ci diceva spesso: ‘Ti conosco come se ti avessi fatto io’”, spiega.

È in quel periodo che ha scoperto l’esistenza dei test del dna. La sua compagna lo ha incoraggiato a farne uno, così avrebbe saputo da dove veniva e se aveva davvero origini maghrebine come pensava. Fra i tre siti che offrivano questi test, ha scelto l’azienda israeliana MyHeritage, fondata nel 2003. Anche se questi test sono rigorosamente vietati in Francia e puniti con una multa di 3.750 euro, sono sempre di più i francesi che ignorano il divieto: basta pagare una cinquantina di euro e in meno di 14 giorni il sito promette di rivelarvi “le vostre radici etniche e geografiche”. Per scoprirle basta strofinare un tampone sull’interno della guancia, inserirlo in una provetta e mandarlo in Texas, dove si trovano i laboratori di MyHeritage. Il 26 ottobre 2018 Sylvain ha ricevuto i risultati. Ha trovato divertente scoprire le cifre: “Europa 57 per cento, Africa 29 per cento e Asia 7 per cento”, anche se questo non gli avrebbe certo cambiato la vita.

Solo quando è tornato sul sito, la sera, Sylvain ha notato la scheda “corrispondenze del dna” e quindi la possibilità di trovare dei potenziali antenati comuni. Ha scoperto di avere 1.947 corrispondenze, classificate dai parenti più lontani a quelli più vicini. Ha cliccato sul più vicino, un certo Simon (nome di fantasia), con cui condivideva il 23,4 per cento del dna: una percentuale considerevole. Il sito indicava: “Relazioni di parentela stimate: zio, nipote o fratellastro”. Il sito permetteva di entrare in contatto con questo sconosciuto, e Sylvain non ci ha pensato due volte. “Se sei nato da un parto anonimo e ti mettono sotto il naso delle corrispondenze del dna, non puoi resistere”. I due si sono parlati al telefono il giorno dopo, il 27 ottobre 2018. Simon è stato categorico: il loro genitore comune poteva essere solo il padre. Il 28 ottobre Sylvain ha ricevuto una chiamata da Alain: “Allora, ufficialmente sono tuo padre?”. E lui: “No, non sei mio padre, sei il mio genitore. Io ho già un padre”.

Durante la mezz’ora passata al telefono, Sylvain ha scoperto di avere davvero origini nordafricane: il padre biologico era un ebreo sefardita, un uomo di successo con una famiglia numerosa: sette figli da matrimoni diversi. Disponibile e sicuro di sé, sembrava emozionato e rassicurato da questo figlio biologico che non pretendeva nulla, né denaro né un’attenzione particolare. Dopo aver riattaccato Sylvain non ha provato particolare emozione: “Mi sono detto che non avevo molto a che vedere con loro. E mi sono chiesto qual era il senso di tutto ciò”.

Sylvain lo avrebbe capito molto presto. “Il rapporto che avevo costruito fino ad allora con la questione delle mie origini è andato in pezzi con il test del dna. Ormai non potevo più vivere la storia della mia nascita come qualcosa di lontano e privo d’interesse, perché adesso davanti alle mie origini c’erano una donna, un uomo e una storia molto reale”.

Una domanda ormai lo ossessionava: “Quali sono state le circostanze della mia nascita?”.

Sylvain non ha provato emozione: “Mi sono detto che non avevo molto a che vedere con loro. E mi sono chiesto qual era il senso di tutto ciò”

Il 27 dicembre 2018 Sylvain ha incontrato Alain in una brasserie parigina. Il sessantenne voleva aiutarlo, ma per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare quella ragazza dell’inverno del 1982. Ha telefonato a un amico di gioventù, Pierre: “Si ricordava molto bene delle due ragazze che avevamo rimorchiato in un bar del 19° arrondissement. Era quasi quarant’anni fa. Doveva essere stata una storia molto fugace”.

Probabilità minime

Due settimane dopo Sylvain ha scoperto la corrispondenza genetica con Brune. Dopo la sua discendenza paterna, era quella materna che compariva sul suo schermo. “Storie così succedono negli Stati Uniti e in Canada, dove test simili esistono da quindici anni, ma è un caso del tutto eccezionale in Francia”, osserva Jean-Louis Beaucarnot, il padre della genealogia in Francia e uno degli autori di Quoi de neuf dans la famille? Notre arbre généalogique à la lumière des tests Adn (“Cosa c’è di nuovo nella famiglia? Il nostro albero genealogico alla luce dei test sul dna”, Buchet Chastel 2021).

Più alto è il numero di iscritti, maggiori sono le possibilità di trovare un parente. Il problema è che in Francia questi test sono rari. Sylvain è molto stupito: “La possibilità che un componente della mia famiglia biologica avesse fatto un test era praticamente nulla. Tanto più che sono illegali in Francia”.

Sylvain ha ricontattato immediatamente il Cnaop. Adesso che aveva identificato la famiglia della madre biologica, l’istituzione avrebbe potuto rintracciarla e proporle di rinunciare al segreto? La risposta è stata negativa: questo compito non spettava al Cnaop. Così Sylvain ha indagato da solo. Di Brune e Chantale nessuna traccia su internet. Ma Marie, la bambina che aveva due anni e mezzo quando lui era nato, aveva una pagina sul sito Copains d’avant.

Le informazioni erano vaghe, non c’era né un indirizzo email né un numero di telefono, ma Sylvain ha trovato i recapiti di una sua compagna di classe. Al telefono l’amica ha confermato che la madre di Marie si chiamava Chantale e che una delle sue sorelle si chiamava Brune. “In quel momento il mio cuore ha smesso di battere. Avevo avuto la conferma. La mia ricerca era finita”.

Ma Marie non ha risposto alla sua email né alla lunga lettera che terminava con queste righe rassicuranti: “Rispetto completamente la decisione coraggiosa di Chantale (…), indipendentemente dalle circostanze che l’hanno spinta a fare un parto anonimo (…). Se avessi la possibilità d’incontrarla, vorrei semplicemente ringraziarla per il suo gesto e dirle che sono stato accolto da una famiglia affettuosa e premurosa”.

Con il passare del tempo Chantale si era convinta che quel bambino fosse morto. Senza questa idea non sarebbe sopravvissuta

Durante le sue ricerche su Facebook, Sylvain ha scoperto che Chantale aveva avuto due figli: Gabriel e Pierre-­Emmanuel (i nomi sono di fantasia). Quando è riuscito a entrare in contatto con Gabriel, nel febbraio del 2019, il ragazzo è rimasto sorpreso. Non sapeva che sua madre avesse avuto un figlio nel 1983, ma la conversazione tra questi “fratelli” ritrovati è stata rilassata, senza nessun imbarazzo. Gabriel gli ha promesso che ne avrebbe parlato alla famiglia: “Proprio questo fine settimana è il compleanno delle gemelle”. È così che Sylvain ha scoperto l’esistenza della gemella di Brune. Ma quel weekend Gabriel non ce l’ha fatta. Attorno al tavolo c’erano Chantale, suo marito e i loro figli. Tre di loro sapevano, ma ognuno ha preferito non rivelare il segreto. È difficile farsi messaggeri di un’informazione così delicata, ricorda Brune.

Sylvain e Gabriel hanno deciso d’incontrarsi il 17 febbraio 2019 a Bayeux, dove viveva la famiglia di Chantale, ma qualche giorno prima dell’appuntamento il ragazzo ha smesso di dare notizie. Senza sapere bene cosa fare, Sylvain ha deciso di prendere il treno comunque. Durante il viaggio ha fatto un ultimo tentativo: ha mandato un messaggio su Facebook al più giovane dei figli di Chantale, Pierre-­Emmanuel, 17 anni, presentandosi come un cugino di passaggio. Incuriosito, il ragazzo ha accettato d’incontrarlo.

Ai tavolini di un McDonald’s, Sylvain gli ha parlato dei test del dna e della sua corrispondenza con Brune. Procede per gradi. “Gli ho spiegato le percentuali: il 12 per cento per i cugini, il 25 per cento per chi ha un genitore in comune e così via”. Pierre-Emmanuel ha osservato: “Così hai una corrispondenza con Brune del 12 per cento!”. Sylvain ha risposto: “No, del 27 per cento!”. Il ragazzo ha capito subito. Una volta rientrato a casa, ha raccontato tutto alla madre. Sylvain invece è tornato a Lione, piuttosto scosso: “Mi sono reso conto di aver lanciato una bomba, ma non sapevo cos’altro fare”.

A Parigi, la sera stessa, Brune ha ricevuto una telefonata dal fratello minore, che le spiegava di aver incontrato Sylvain e di aver raccontato tutto alla madre. Le ha anche detto che Sylvain era stato adottato a tre mesi: “A partire da quel momento ho voluto sapere quello che era successo e avevo voglia di parlargli”, ricorda Brune. “Mi sono fatta mille domande, è difficile trovare le parole per descrivere il mio stato d’animo”.

Un pugno in faccia

A Bayeux, mentre ascoltava Pierre-Emmanuel che gli raccontava di Sylvain, Chantale è crollata. Non aveva mai parlato a nessuno di quel neonato lasciato al reparto maternità di Cambrai 35 anni prima. Non aveva mai immaginato che avrebbe potuto ricomparire. Due anni dopo, quando ricorda quella notte di febbraio, Chantale pensa soprattutto all’effetto che le fece quella notizia, così forte che rimase a letto per giorni, muta e in lacrime, divisa fra la tristezza e la rabbia di fronte alla sfrontatezza di quella persona tornata dal passato: coinvolgere i suoi figli per ritrovarla!

“Era come se mi avessero dato un pugno in faccia, sono quasi svenuta. Per me non esisteva più, era morto, non ci pensavo affatto. So che è difficile da capire, ma il parto anonimo era stato un tale trauma che avevo preferito rimuoverlo del tutto”. Per i figli è stato un terremoto. Come aveva potuto la loro madre, “così affettuosa e materna”, fare una cosa simile, abbandonare un neonato? “Non capivano”, dice Chantale, e lei non riusciva a spiegare. Il marito l’ha convinta ad andare da una psicologa. Per cinque mesi Chantale ha parlato di quello che aveva taciuto per trent’anni. “Mi ha fatto bene”, dice oggi. “Era ora che facessi pace con me stessa”.

Le coincidenze straordinarie di questa storia l’hanno impressionata: “Capisco che Sylvain abbia fatto il test del dna, è normale che cercasse qualcosa”, dice Chantale. Ma Simon? “Si divertiva a fare un albero genealogico”, spiega Alain, suo padre. E Brune? Quando Brune aveva parlato con la famiglia della sua intenzione di fare un test del dna, Chantale ricorda di aver detto: “Perché no? Forse ne faccio uno anch’io”. “Se avessi immaginato che in questo modo avrei ritrovato il figlio che avevo dato in adozione, probabilmente avrei fatto in modo che non lo facesse”, racconta.

Presto Chantale ha deciso di fare i conti con il passato. Nella primavera del 2019 ha scritto una lunga lettera ai figli, ai fratelli e alle sorelle. E ha raccontato la sua storia.

Tre mesi di dubbi

Nel 1982 Chantale aveva 23 anni, era una ragazza madre e viveva a Parigi. Faceva fatica ad arrivare alla fine del mese, ma riusciva a prendersi cura di Marie, la figlia nata due anni e mezzo prima. Quando si innamorò di un uomo affascinante incontrato in una brasserie non si fece molte illusioni: Alain era sposato, non c’era nessuna possibilità di un futuro in comune. All’inizio dell’inverno, quando scoprì di essere incinta, fu una catastrofe: le sembrava impossibile allevare due figli di padri diversi senza essere sposata. E Alain le chiese di abortire.

Ma quando arrivò in ospedale, Chantale cambiò idea. “Preferivo portare a termine la gravidanza e darlo in adozione piuttosto che abortire”, spiega la donna. “Ero stata dieci anni dalle suore e mi dissi: farò un regalo a una famiglia che ne ha bisogno”. Così, senza dire nulla a nessuno, decise di affidare il bambino alla Famille adoptive française. Il giorno della nascita non lo prese neanche in braccio. Era un bambino, e Chantale sognava proprio un maschietto. “È stato molto doloroso ma non potevo fare altrimenti. Avevo tre mesi per poterlo riprendere e ci pensavo tutti i giorni. Vedevo la data avvicinarsi, ma poi mi dissi che sarei andata fino in fondo”.

L’atto di nascita di Sylvain, il fascicolo del suo caso e una cartolina inviata dalla madre di Sylvain alla Famille adoptive française nel 1983 (Nicolas Blandin)

Tre mesi e un giorno dopo il parto di Chantale, il 24 novembre 1983, Eric e Françoise Loscos, una coppia di Lione, ricevettero una lettera che annunciava l’arrivo imminente di un figlio: un neonato ricoverato all’ospedale Saint-Antoine di Parigi per un problema polmonare.

“Mio figlio era in ospedale e volevo andare subito da lui”, racconta Françoise Loscos. Così salì sul primo treno e corse a conoscerlo, “un neonato mingherlino con la testa grande come un pugno”.

Sylvain, il nome che gli diedero Eric e Françoise, fu accolto dalla sua nuova famiglia all’inizio di dicembre. Cominciò a prendere peso e si rimise rapidamente. In seguito i genitori gli raccontarono della sua adozione e il poco che sapevano della sua nascita. Gli parlarono di un genitore maghrebino. “Ma non ne abbiamo mai parlato tanto. Sylvain è nostro figlio, punto e basta. Lo abbiamo amato fin da subito. È importante che la madre biologica lo sappia”. Nei primi tempi Françoise non riusciva a liberarsi dal terrore che una donna suonasse alla porta per dirle: “È mio figlio”.

In quegli anni Chantale pensava continuamente a quel bambino. Ma con il passare del tempo si era convinta che fosse morto. Senza questa idea non sarebbe sopravvissuta, dice. Nel 1988 andò a vivere con un pescatore di Port-en-Bessin in Normandia, che diede il suo cognome a Marie. La coppia ha avuto altri tre figli, poi Chantale ha avuto un ultimo figlio con il suo compagno attuale, incontrato alla fine degli anni novanta. La sua vita è andata avanti e il ricordo di quel figlio era sempre più lontano. “Ti avevo dimenticato”, ha scritto a Sylvain il 19 aprile 2019.

In quella lettera la donna ha ammesso quanto fosse arrabbiata per il modo in cui si era imposto ai suoi figli senza preoccuparsi delle conseguenze, ma ha detto di capire il suo bisogno di sapere. Gli ha parlato dei suoi genitori, un postino e una casalinga che vivevano in una piccola fattoria nella Mayenne; di suo padre, a cui Sylvain somiglia come una goccia d’acqua; del suo primo lavoro in fabbrica; dei suoi anni parigini e di quanto si sentisse libera all’epoca. Gli ha scritto per fare in modo che potesse immaginarla da ragazza; gli ha raccontato che Brune è uguale a lei quando aveva la sua età. E ha aggiunto che doveva perdonare se stessa e sperare che anche lui la perdonasse, ma aveva ancora bisogno di tempo prima di incontrarlo. “Ero sconvolto”, ricorda Sylvain. “La sua storia mi ha commosso. Non ce l’ho con lei. La mia vita sarebbe stata più difficile se mi avesse tenuto”.

Il 22 giugno 2019 finalmente si sono incontrati. Chantale ha dato appuntamento a Sylvain ad Annecy, sulle Alpi. Arrivato in anticipo sulle rive del lago, lui l’ha vista attraversare un ponte di pietra. La sua madre biologica era una signora minuta, sorridente e calma, che gli ha dato con naturalezza un bacio sulla guancia. È stato un incontro semplice e felice. Sylvain ha capito che la storia di questa donna era anche la sua. Ma cos’erano l’uno per l’altra? “Io ho un padre, una madre, una famiglia”, le ha detto Sylvain. Chantale la pensa allo stesso modo: “Non posso dire di considerarlo mio figlio. Abbiamo un legame di sangue, ma non riesco ancora a dirmi che ho sei figli. Ne ho cinque. L’ho portato dentro di me per nove mesi e l’ho messo al mondo, ma non sono sua madre perché non l’ho cresciuto io. Non ho visto i suo primi passi, non l’ho consolato, non l’ho educato. Mi considero piuttosto una madre portatrice”.

La cartolina inviata dalla madre di Sylvain alla Famille adoptive française (Nicolas Blandin)

La pagina vuota

Con questa folla di sconosciuti, Sylvain ha costruito un buon rapporto. A volte si scambia dei messaggi con Alain e Simon. Con Gabriel e Pierre-Emmanuel si sente abbastanza spesso. Invece Marie e la gemella di Brune non vogliono vederlo. Ha anche incontrato i parenti più lontani. Così ha saputo che un’altra persona sapeva. Negli anni ottanta, di ritorno in Normandia, Chantale aveva dato un documento a suo cognato Henri (nome di fantasia), chiedendogli di non parlarne con nessuno: il verbale in cui attestava di aver affidato suo figlio alla Famille adoptive française. Il cognato aveva mantenuto il segreto. Quando Sylvain gli ha telefonato, Henri è rimasto per un momento in silenzio, prima di dire: “Volevo prendere qualche secondo per ascoltare il suono della tua voce”, e gli ha confidato di aver spesso pensato a lui.

La persona a cui Sylvain si sente più vicino è Brune. Si scrivono spesso e ogni tanto si vedono. La ragazza sembra voler colmare un vuoto, dargli qualcosa di cui pensa sia stato privato. “La scorsa estate siamo andati in Bretagna con mio fratello. In questo modo creiamo dei piccoli ricordi”.

La compagna di Sylvain, May, è stata a lungo la sua sola confidente: “Mi ha permesso di attraversare questo periodo della mia vita con una serenità che non avrei avuto se fossi stato da solo”. Per non traumatizzare i suoi genitori, Sylvain non gli ha detto niente fino all’autunno del 2020. Ma quando lo hanno saputo, Eric e Françoise Loscos hanno capito. “Siamo sinceramente contenti per lui”, osserva Françoise. “Il mio primo pensiero è stato per la madre biologica, provo molta pena per lei. Ha vissuto una situazione molto difficile”.

Oggi tutti si dicono tranquilli. Sylvain osserva che è successo tutto all’improvviso e che questo sito ha creato un “bisogno” che non provava o che comunque non era consapevole di provare. Ma è contento di aver riempito la pagina vuota della sua nascita. Per prendere una certa distanza da tutto questo, ha cominciato a scrivere la sua storia. Una sceneggiatura di fantasia con conseguenze meno felici: “Avrei potuto provocare un disastro familiare”.

Alain ha informato i suoi figli. “Hanno trovato la cosa originale, ma conoscendo il padre non si sono stupiti più di tanto”. Sono stati più colpiti dal fatto che Sylvain sia stato dato in adozione. Tutta questa storia ha insegnato una cosa ad Alain: “Ho imparato che si può amare un bambino che è figlio di qualcun altro”.

Brune non rimpiange nulla, anche se osserva che avrebbe voluto “essere più preparata” e sapere in anticipo che un tampone avrebbe potuto rivelarle di avere un fratello di cui non sapeva niente: “È cominciato tutto perché ho fatto questo test del dna. E lo rifarei, perché sono contenta di questa situazione. Mi dispiace che mia madre non ce lo abbia detto, ma capisco che era difficile”. “Senza questo famoso test mi sarei portata il segreto nella tomba”, ammette Chantale. “Ora è un sollievo, non lo nascondo più e tutti sono felici che io possa incontrare un figlio che non ho potuto crescere”.

Una questione delicata

La sua psicologa le ha suggerito di denunciare MyHeritage. Dopo tutto la donna ha subìto un danno grave, poiché il segreto della sua identità è stato rivelato. “Ma ormai è troppo tardi”, dice Chantale. “Non sono contro questi test, ma penso che non dovrebbe essere così facile scoprire l’identità di qualcuno. L’ho detto a Sylvain: per fortuna siamo una famiglia unita”.

In Francia la legalizzazione dei test del dna rimane una questione delicata. “Questi test sono definiti ‘ludici’, ma è una presa in giro”, esclama indignato Jean­-Louis Beaucarnot. “E questo impedisce alle autorità di occuparsi seriamente del tema”. Nathalie Jovanovic-Floricourt, coautrice del libro di Beaucarnot, difende i test del dna per scopi di genealogia genetica, in particolare per chi non conosce la storia delle proprie origini: “Le persone hanno bisogno di conoscere le circostanze della propria nascita, non necessariamente di incontrare i propri genitori”.

Sylvain si dice piuttosto favorevole alla liberalizzazione dei test, “ma in modo regolamentato”, per proteggere il diritto delle donne a partorire nell’anonimato. “Ci sono due diritti che si contrappongono: il diritto al segreto della madre e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Ma cosa sono in realtà le proprie origini? A me interessavano più le circostanze della mia nascita che le persone. Se avessi avuto prima questa lettera di Chantale, forse non l’avrei cercata”. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati