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a il volto segnato dalla strada. La pelle indurita, i solchi profondi, l’espressione di chi ha passato più tempo a perseverare che a riposare. I capelli sono ricci e neri, la barba folta e brizzolata. Lo sguardo è intenso, come se non abbassasse la guardia da giorni. Dai lobi pendono due orecchini d’acciaio. Ma quelli che si notano di più sono i due piercing sulla linea del labbro inferiore, agli angoli della bocca, del tipo chiamatosnake bite, morso di serpente.
Porta scarponcini da montagna, magliette e felpe di gruppi brutal death metal, e impossibili da trovare nei negozi di musica convenzionali. Quello che indossa costa più di tutti i libri che uno studente di filosofia legge in un semestre e presenta una cartografia precisa delle sue ossessioni artistiche. Ascoltare il brutal death metal significa sprofondare nell’istinto distruttivo della natura umana. Di tutte le correnti musicali emerse in periferia, forse è quella che più ha resistito alla digestione del sistema.
Ma non immaginatevi un uomo violento: non lo è. È affascinato dall’arte decadente. Incantato dall’oscurità. Tutto qui.
Anche il suo corpo porta tracce di queste affinità estetiche. Sul braccio ha tatuato The ancient of days, un disegno del 1794 di William Blake in cui una divinità nuda si accovaccia su un vortice di fuoco mentre apre un compasso sull’abisso.
Nel centro di Bogotá, dove quest’uomo ha trascorso metà della sua vita, mi hanno detto che è affascinato dai poeti maledetti dell’ottocento francese, come Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud, che disprezzavano la morale borghese e cercavano la bellezza ai margini, nella decadenza, nella follia.
Lui cerca una crepa morale nell’arte. E ruba libri da più di vent’anni. I librai della città sanno perfettamente chi è, eppure lui continua a farsi vedere in giro con i suoi piercing e le sue magliette cupe. Le indossa con la certezza di tornare a casa senza un graffio. Ruba quando gli offrono un caffè, quando il libraio si volta a salutare qualcuno, quando squilla il telefono. Gli basta un istante: nei video di sorveglianza che ho potuto consultare allunga la mano come chi coglie un frutto maturo, fa scivolare il bottino nella tasca interna della giacca e se ne va senza fretta.
Questo lupo solitario frequenta soprattutto le librerie indipendenti. E, come un insetto velenoso che svolazza su una vetrina rotta, tutti lo vedono, ma nessuno lo tocca. Conosce bene il delicato ecosistema in cui si muove. Sa che in alcuni quartieri i conflitti raramente si inaspriscono e nessuno lo prenderà a bastonate per un libro rubato. E sa che, se finisce in questura, ne uscirà un paio d’ore dopo senza problemi.
Una volta, dopo aver rubato nella libreria La Verbena, lo hanno portato via in manette. Mentre i poliziotti lo scortavano, ha alzato la testa e ha sorriso al negoziante, che lo stava riprendendo. Non era una presa in giro né una sfida: era l’espressione gentile di chi sa che l’episodio non avrà conseguenze.
È ricomparso alcune settimane dopo, in un’altra libreria, con gli stessi vestiti e la stessa serenità. Il suo nome è John Alexander Cardona Peluza. Alcuni lo chiamano “Peluca”, parrucca. È il più grande ladro di libri di Bogotá.
Alibi morale
Un libraio che lo conosce da decenni, e che preferisce mantenere l’anonimato per evitare ritorsioni, mi ha raccontato che all’inizio questo lupo si vantava di rubare solo nelle grandi librerie. Poi metteva in scena la sua performance in centro: diceva di poter offrire i volumi a prezzi convenienti perché li comprava all’ingrosso. Ma vari video delle telecamere di sicurezza mostrano che nei suoi zaini e nelle sue giacche quei libri venivano da piccole librerie appena aperte e nate per pura testardaggine. Luoghi che, come lui, sopravvivono ai margini.
A causa dei furti questi negozi perdono circa cinque milioni di pesos all’anno (1.160 euro). Un libro tra migliaia di altri libri non sembra una grande perdita, ma in una piccola libreria tutto è contato: non c’è un’assicurazione né un distributore che si faccia carico dei mancati guadagni, come mi spiega Andrés Archila, uno dei proprietari della libreria Matorral.
Il libro rubato lo paga chi resiste dietro al bancone.
Le prime lezioni da ladro il lupo le ha prese dallo scrittore britannico Charles Dickens. Non quello delle cartoline di Natale o dei racconti di redenzione, ma il Dic-kens che vagò per le fogne di Londra con bambini fuggitivi, bande di ladri e criminali dall’aria malinconica. Il Dickens consapevole che un borseggiatore può essere anche un orfano addomesticato dalla fame. Che il furto non è solo un reato, ma una cicatrice non rimarginata che costringe a voltarsi dall’altra parte, perché mette a nudo le disuguaglianze e le dipendenze di un’epoca. Da quel Dickens vengono l’etica tascabile di Cardona e i suoi trucchi per diventare invisibile.
Per alcuni, rubare un libro non è un crimine. È un gesto di espropriazione simbolica contro il monopolio del sapere. Nel 1971 l’attivista Abbie Hoffman dedicò un capitolo di Ruba questo libro alla liberazione dei volumi, con tanto di schemi per scappare dalle librerie come un invito a sfidare la privatizzazione della conoscenza. In America Latina, Roberto Bolaño incoronò il ladro come mito vivente: lui stesso da giovane rubava per far crescere la sua biblioteca allo stesso ritmo di quella degli amici. Rubare era, per lo scrittore cileno, un modo per superare la timidezza e rivendicare un posto nel mondo.
Questo racconto romantico è ancora attuale. Nei commenti ai video condivisi dalle librerie di Bogotá per denunciare i furti spiccano due posizioni: chi chiede una punizione esemplare e chi usa Bolaño come alibi morale. Alcuni paragonano il ladro a un personaggio del romanzo I detective selvaggi (1998), come se rubare un libro fosse un modo contorto ma legittimo per entrare in un universo culturale da cui si è stati esclusi.
Questa logica, però, perde slancio se osservata da vicino. Il capitale culturale, come spiegava il sociologo Pierre Bourdieu, non circola liberamente: è attraversato da gerarchie, dispute e meccanismi di esclusione. Chi vive di libri – editori, librai, promotori – non è estraneo a questi conflitti: li affronta ogni giorno in un ecosistema precario.
Anche se alcuni furti prendono di mira le grandi catene, molti altri colpiscono i negozi indipendenti che sopravvivono a stento. Così il gesto poetico si scontra con la crudezza del danno. Il furto può finire per avvalorare l’idea che una libreria non meriti di crescere, ma solo di resistere. Di restare in un perenne stato di sopravvivenza.
Il lupo che visita le libreria della città non ruba per ideologia. Non si considera un giustiziere della cultura libera né un sabotatore del sistema
In ogni caso, il lupo che visita le librerie di Bogotá non ruba per ideologia. Non si considera un giustiziere della cultura libera né un sabotatore del sistema. Le testimonianze che ho raccolto vanno nella stessa direzione: per lui, il furto è una bravata progettata meticolosamente. Un gioco di calcolo, invisibilità e adrenalina. Nessun senso di colpa. Un libro su ventimila? Non manderà in rovina nessuno.
Il suo casellario giudiziario non è lungo, ma è eloquente. La procura mi ha detto che è stato condannato due volte per furto. Entrambe le sentenze prevedevano detenzioni brevi (in totale otto mesi e sette giorni) e il divieto di esercitare funzioni pubbliche e partecipare a gare o appalti statali fino al 2027. La giustizia lo considera recidivo e, nonostante tutto, nel suo fascicolo non compare l’attività che ha perfezionato per decenni: il furto sistematico nelle librerie indipendenti di Bogotá.
Il lupo si è evoluto e non caccia più da solo. Poco tempo fa è entrato in un libreria del centro commerciale plaza Aventura con la calma calcolata di sempre. Ha salutato il libraio guardandolo negli occhi. Il libraio l’ha riconosciuto immediatamente e l’ha affrontato, ma lui non si è scomposto. Si è voltato e se n’è andato come se nulla fosse. Mentre l’aria si riempiva di smarrimento, un altro uomo – con un lungo impermeabile e una cartella in mano – era ancora lì. Ha preso un classico della Penguin, l’ha nascosto sotto la giacca e se n’è andato.
Ora il lupo distrae con la sua presenza imponente mentre un altro ruba al suo posto. Ha una rete di clienti. È stato visto in azione alle fiere del libro di Medellín, Cali e Pereira.
Mettere radici
La maggior parte dei libri che Cardona sottrae sono più vicini al programma del corso di filosofia o pensiero critico che al podio delle vendite alla fiera internazionale del libro di Bogotá. Sono opere intellettualmente dense, spesso rilegate con copertine rigide e costose, inaccessibili a molte persone. Mettono in discussione le strutture sociali della sopraffazione ed esprimono un desiderio di rottura. Sono strumenti di lotta che non si trovano facilmente nelle biblioteche pubbliche e scarseggiano in quelle universitarie, dove tra l’altro sono spesso in prestito, come ho potuto constatare consultando alcuni cataloghi online.
La maggior parte dei libri rubati è pubblicata da case editrici specializzate in autori che hanno scosso le fondamenta della modernità. In questa biblioteca nera, sotterranea, invisibile al grande pubblico, compaiono il filoso francese Michel Foucault, con la sua dissezione del potere e della sorveglianza; il filosofo tedesco Frie-drich Nietzsche, con il suo martello nichilista contro la morale cristiana e la metafisica tradizionale; lo psicoanalista austriaco Sigmund Freud, con l’esplorazione degli impulsi repressi e dell’inconscio; lo scrittore Stefan Zweig, anche lui austriaco, con il suo ruolo di biografo intellettuale dell’Europa; e il filosofo sudcoreano Byung-chul Han, con la critica all’iperproduttività neoliberista e all’ossessione narcisistica della nostra epoca.
Mentre il mercato editoriale confeziona la realtà in manuali del benessere progettati per calmare l’esistenza senza disturbare troppo, i libri più ambiti da
Cardona sembrano rivelare una resistenza alla privatizzazione della sofferenza.
In un mondo in cui le angosce sono gestite in gran parte come problemi individuali e l’industria della guarigione promette soluzioni a portata di mano per tutti, le opere che lui traffica indicano un’alternativa: pensare al malessere come a una ferita sociale, una questione collettiva, un difetto strutturale che va oltre i fallimenti individuali. Chi compra i suoi libri, a quanto pare, non trova conforto nella pseudoterapia di Instagram o nei best seller sulla crescita personale.
Ma la resistenza è parziale: risponde, in gran parte, alla vecchia guardia del pensiero critico occidentale. Una ribellione illuminata, maschile, europea e bianca. Nel mercato rifornito da Cardona, la trasgressione sembra valere solo se in copertina rigida e pubblicata a Barcellona. Le prospettive femministe, queer e decoloniali non raggiungono ancora lo status di bene ampiamente desiderato.
La Colombia è stata uno dei primi
paesi dell’America Latina in cui alcuni di quegli autori europei hanno fatto irruzione con forza. Non sono stati una tendenza passeggera: hanno messo radici nel pensiero critico nazionale.
Più di quarant’anni fa le idee di Foucault trovarono terreno fertile nel paese, grazie alla pedagogista e ricercatrice Olga Lucía Zuluaga. Fu lei a trasformare la percezione del sociologo in Colombia, elevandolo da semplice esecutore di programmi scolastici a intellettuale organico, capace di generare conoscenza.
L’opera di Nietzsche era arrivata ancora prima. Secondo il filosofo Danilo Cruz Vélez, le sue idee eretiche sbarcarono qui intorno al 1890, quando erano ancora lettera morta in Spagna. Mentre l’autore diCosì parlò Zarathustra (1883-1885) era assente dalle biblioteche di vari paesi latinoamericani, lo scrittore Baldomero Sanín Cano fece un gesto impensabile: ordinò i suoi libri dalla Germania, come chi porta la polvere da sparo in una casa di buona famiglia.
L’arrivo precoce di Foucault, Nietzsche e altri filosofi europei contribuì a plasmare una tradizione intellettuale che diffida del potere e mette in discussione la morale. Il fatto che i loro testi siano tra i più rubati nelle librerie può essere interpretato come il prolungamento di quell’eredità. Anche se oggi non sono così redditizi per il mercato editoriale, il loro prestigio sopravvive nel mondo accademico e nel sottosuolo.
I libri che Cardona ruba sono destinati ai professori universitari, agli studenti di lettere, agli accademici che, volendo accedere ai classici del pensiero critico occidentale, rimangono intrappolati in un paradosso: combattono a parole il privilegio, ma desiderano gli oggetti che lo consacrano.
Gli zii ricchi
Come ogni oggetto del desiderio in un’economia di scarsità, molti di questi libri non sono esposti nei banchetti logori di calle 16, in centro, né sono ammucchiati accanto ai best seller di autoaiuto e ai romanzi commerciali. Vanno ordinati. Stanno in uno zaino, non in una vetrina. Si vendono nei bar e nei ristoranti per evitare di destare sospetti. Non sono pubblicizzati: sono consegnati.
Il lupo ruba per gli studiosi che non possono (non vogliono) comprare quei volumi alla libreria Lerner. Un professore in pensione dell’Universidad distrital va spesso in cerca di libri di case editrici come Atalanta. Chi insegna nelle università pubbliche (il cliente tipico in questo circuito clandestino) con una laurea breve e poca esperienza, guadagna circa 3,5 milioni di pesos al mese (circa 800 euro). Anche con un dottorato e una carriera consolidata, il suo stipendio difficilmente supera gli 11 milioni (2.500 euro).
In questo contesto, e con la pressione costante di doversi aggiornare per non rimanere indietro, comprare un libro rubato non è considerata una deviazione morale e si trasforma in una transazione ragionevole. Nessuno chiede da dove venga il libro. Contano solo due cose: che ci sia e che costi meno.
Ma manca un tassello. Cardona ruba. Gli studenti e i professori comprano. Chi distribuisce i libri?
“Gli zii ricchi”. Li chiamano così per proteggere la loro identità. Sono due figure di culto di calle 16 e rendono possibile questo giro d’affari. Hanno i soldi per comprare intere casse di libri rubati senza sporcarsi le mani, e anche qualcosa che è raro trovare nel mondo criminale: autorevolezza morale. Sono amati, temuti e rispettati perché prestano soldi. Se un libraio è sommerso dai debiti, loro lo salvano. Se un lavoratore non ha i soldi per pagare la sua quota della catena (un sistema informale di risparmio comunitario molto comune tra i commercianti del centro) ci pensano loro. In questa strada tutti gli devono dei favori. Ecco perché quasi nessuno è disposto a parlarne. È così che si costruisce la lealtà in Colombia: distribuendo banconote.
“Il giorno in cui qualcuno andrà a rompergli le scatole, i librai gliela faranno pagare”, mi dice una persona che conosce gli zii ricchi da vent’anni.
“Molte librerie non formano una comunità, ma diventano microcosmi chiusi. La gente entra, compra e se ne va”
Vengono da San Victorino, la zona della città dove il commercio informale è diventato un impero. In passato vendevano libri scolastici. Quando questo segmento di mercato ha cominciato a perdere terreno, perché molte scuole hanno deciso di stringere accordi direttamente con le case editrici e, dal 2008, il ministero dell’istruzione ha cominciato a fornire copie alle istituzioni pubbliche, hanno deciso di puntare sui libri universitari e sui saggi letterari. Sono passati dal materiale scolastico al capitale simbolico, diventando così i fornitori principali della biblioteca sotterranea degli accademici di Bogotá.
E Cardona non è l’unico a lavorare con loro.
Più risposte
Una delle reti clandestine più temute di Bogotá è la banda dei Tintin. I librai la chiamano così perché dal 2015 saccheggia decine di copie di Le avventure di Tintin, la serie a fumetti ideata e disegnata dal belga Hergé. Oggi l’edizione originale in ventiquattro volumi costa un milione e trecentocinquantamila pesos (309 euro) ed è un bottino ideale: un classico che non si trova ovunque.
Il nucleo operativo è composto da tre donne. Quella al vertice, sui 60 anni, dirige l’operazione con un bastone. Al suo fianco, due donne più robuste e giovani fanno il lavoro sporco. Raramente sono sole, cambiano spesso accompagnatori.
Non sono mosse dall’amore per i libri ma dalla merce che scotta, cioè da tutto quello che si può rivendere rapidamente e senza domande.
Si fanno vedere solo una o due volte all’anno nelle librerie, e tornano solo dopo aver studiato il terreno. Prima mandano delle sentinelle che studiano la posizione delle telecamere, le vetrine e le abitudini del libraio. Preferiscono i giorni tranquilli, quando ci sono meno clienti. Cambiano stile continuamente. A volte sono signore discrete con l’aria di essere appena uscite dalla messa, altre volte sembrano delle anticonformiste che passeggiano per le strade del quartiere La Candelaria. E non cercano solo libri per ragazzi.
Una volta alla Wilborada 1047 hanno rubato quattordici libri di Stefan Zweig. Da Lerner, ne hanno sottratti dieci di Byung-chul Han. In un’altra occasione, hanno preso diversi volumi di filosofi greci e latini.
Alla fiera internazionale del libro di Bogotá sono state viste con degli auricolari per comunicare tra loro. Nessuno le ferma, anche se molti del settore sanno benissimo chi sono. Da un po’ si fanno aiutare anche da minorenni, che usano come diversivo. Sono imprenditrici del furto a scala ridotta, che da più di trent’anni affinano il loro metodo.
Come si spiega che le stesse persone saccheggiano le librerie di Bogotá da tanto tempo? Non c’è una risposta sola.
Ana Aragón, che fa parte dell’Associazione colombiana dei librai indipendenti e coordina il comitato delle librerie della Camera colombiana del libro, comincia facendo una necessaria autocritica.
“Il proprietario di una libreria dovrebbe aggiornare i dipendenti ogni mese. Ma questo non avviene”, dice.
Inoltre, per anni il settore ha operato alla cieca. “Solo cinque o sei anni fa abbiamo iniziato a installare telecamere di sicurezza. Prima non avevamo un canale per parlarci. Il gruppo WhatsApp dei librai è stato creato nel 2017”.
Ma le carenze non si limitano alla logistica. C’è anche una narrativa che sabota dall’interno.
“Alcuni pensano che rubare libri sia accettabile perché ‘la gente vuole leggere e non può permetterselo’”.
Alberto León, libraio di Wilborada 1047, ha vissuto in prima persona la frustrazione delle denunce senza seguito: “Le autorità non se ne occupano e non vogliono davvero andare a fondo. Tutto viene archiviato”.
La risposta ufficiale della polizia conferma le impressioni dei librai: la sezione investigativa criminale ammette di non aver mai avviato un’indagine sul furto di libri a Bogotá. Classifica le denunce sotto l’etichetta generica di “furto in esercizi commerciali”, una categoria così vasta da impedire qualsiasi possibilità di indagine mirata.
Una causa collettiva
Mentre la polizia si nasconde dietro questo cavillo, i casi si accumulano senza conseguenze per i ladri.
Il libraio Marco Sosa sottolinea anche un’altra falla meno evidente: la separazione tra le librerie e l’ambiente che le circonda. Il fatto è che non tutti i furti sono opera di professionisti: ci sono anche studenti, lettori assidui e clienti che un giorno decidono di violare le regole.
“Invece di scagliarci contro i ladri dovremmo chiederci che tipo di rapporto stiamo costruendo con chi entra in negozio. Molte librerie non formano una comunità ma diventano microcosmi chiusi. La gente entra, compra qualcosa e se ne va. Non c’è affinità, non si crea un legame che funzioni da rete di protezione”.
L’associazione colombiana dei librai indipendenti sta lavorando a una proposta: presentare una causa collettiva per evitare che il problema sia affrontato e si perda in denunce isolate, e che mostri il furto come un fenomeno sistematico con un impatto economico rilevante. Una causa condivisa, guidata da un avvocato e piena di prove concrete, in modo da attirare l’attenzione del pubblico ministero. Un’azione contro una macchina che ha operato per decenni nell’impunità totale.
La domanda non è più se ruberanno di nuovo, ma se qualcuno prenderà la situazione in mano.
Oppure il lupo solitario, i Tintin, gli zii ricchi e gli altri continueranno ad aggirarsi come re nudi tra gli scaffali? ◆ fr
Questo articolo è uscito su El Malpensante, una rivista colombiana che esce ogni 45 giorni. Fondata nel 1996 dallo scrittore Andrés Hoyos Restrepo, pubblica articoli di cultura, società e politica. L’autore, William Martínez, è un giornalista culturale colombiano.
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Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati