In Romania il numero del giorno è 53,6, perché indica la percentuale con cui il 18 maggio l’europeista Nicușor Dan ha vinto il ballottaggio delle presidenziali. Ma c’è un’altra cifra che non va dimenticata: 5,4 milioni. Sono le persone (il 46,4 per cento dei votanti) che hanno scelto il candidato di estrema destra George Simion, del partito ultranazionalista Aur (Alleanza per l’unione dei romeni). Nel paese c’è una frattura evidente: i due schieramenti sembrano radicalmente incompatibili. Riuscirà il nuovo presidente a riconciliarli? E come?

Nei prossimi giorni, quando il quadro dei risultati sarà completo, ci saranno diverse analisi dell’accaduto. Per ora possiamo dire chiaramente che per la prima volta la Romania ha un presidente non sostenuto direttamente dai grandi partiti tradizionali. Di più: la vittoria di Dan è una sconfitta per il Partito socialdemocratico (Psd), per i nazional-liberali (Pnl, centrodestra) e anche per l’Unione salvate la Romania (Usr, centrista e liberale).

Nicușor Dan, sindaco di Bucarest ed esponente dell’Usr, ha deciso di candidarsi ufficialmente da indipendente. Questa strategia gli ha dato un grande vantaggio, cioè un vero potere negoziale, ma presenta anche un rischio significativo, perché ogni futuro governo dovrà avere il sostegno del Psd e del Pnl. Oggi entrambi i partiti, e forse pure l’Usr, devono rinnovare progetti, obiettivi e quadri dirigenti. Bisognerà vedere se hanno le risorse, le persone e la disponibilità per farlo. Ma questa è un’altra questione.

È evidente però che il Psd non è ciò che dice di essere, cioè un partito socialdemocratico, e che il Pnl non è affatto liberale. Quindi devono ritrovare la loro identità, perché il paese ha bisogno di due forze su posizioni politiche diverse.

Il punto è che tutti i partiti romeni si sono “aurizzati”, cioè hanno inseguito i temi dell’Aur. Si sono accodati al suo programma ultraconservatore e neoliberista, in cui gli interessi di piccoli gruppi di persone sono presentati come gli interessi della collettività. Il Psd e il Pnl, insomma, hanno bisogno di un urgente cambio di rotta

Il voto di protesta a favore di Simion non è il risultato della “propaganda esterna russa” o di un “riassestamento ideologico” (anche se questi fattori si sono fatti sentire), ma ha radici economiche, sociali e politiche che affondano negli anni novanta. In Romania c’è una grande fetta di popolazione abbandonata e non rappresentata che si sente “esclusa dallo stato”, anzi “derubata dallo stato”, e che è pronta a vendicarsi alla prima occasione.

È quella che da anni chiamo “politica del risentimento”: non se ne uscirà se non con misure strutturali. Oggi, inoltre, questo risentimento è amplificato, anche a causa della stratificazione sociale, politica e soprattutto economica, che si porta dietro enormi ingiustizie e disuguaglianze.

Da sapere

◆ Il 18 maggio 2025 in Romania si è tenuto il ballottaggio delle elezioni presidenziali. Il sindaco di Bucarest Nicușor Dan (del partito liberale Usr) ha sconfitto George Simion, del partito di estrema destra Aur (Alleanza per l’unione dei romeni), che si era imposto al primo turno. Il voto era stato convocato a gennaio, dopo l’annullamento per interferenze russe delle elezioni del 24 novembre, il cui primo turno era stato vinto a sorpresa dal candidato filorusso e ultranazionalista Călin Georgescu.


Le lezioni del passato

Bisognerà anche capire come il presidente cercherà di riconfigurare il suo ruolo e le forme del negoziato con i partiti e le strutture di potere. Le aspettative sono grandi. Bisogna ripartire da zero, ma non può farlo solo la presidenza. Senza l’appoggio dei partiti e del parlamento ogni cambiamento è impossibile.

Il compito più urgente del nuovo presidente è occuparsi della formazione del governo. Riuscirà Dan a imporne uno che si assuma i rischi necessari senza però prendere decisioni che turbino troppo una società già provata? C’è da sperare che non si ripeta quello che successe tra il 2008 e il 2012, quando il presidente Traian Băsescu e il primo ministro Emil Boc imposero una politica antisociale e antistatale. Riproporla sarebbe catastrofico.

Nicușor Dan dovrà gestire la crisi politica, ma soprattutto quella economica, in cui il paese naviga da tempo. E dovrà occuparsi della politica estera in una fase estremamente confusa e segnata da trasformazioni globali. Sarà tenuto, inoltre, a ricalibrare i rapporti di forza con le strutture di potere e con quelle parti dello stato che alla società appaiono oscure e poco trasparenti, cioè i servizi segreti. Ma la missione più difficile e più urgente riguarda il ripristino della “pace sociale”. Come presidente di tutti i romeni – indipendentemente da dove vivono e dalla loro estrazione sociale – dovrà impegnarsi per rendere possibile la riconciliazione. La politica dell’odio e del risentimento oltre che nociva è estremamente pericolosa. Come riuscirci? Innanzitutto bisogna identificare le cause della diffusa insoddisfazione dei cittadini.

Nicușor Dan ha vinto con uno scarto di 820mila voti. Un margine piuttosto basso. Nella sua cerchia quasi tutti hanno paura di ripetere gli errori di presidenti come Emil Costantinescu, Băsescu e Klaus Iohannis, che furono accolti come salvatori della patria ma finirono per deludere profondamente le aspettative. Il fallimento di Dan sarebbe terribile: non voglio nemmeno immaginarne le conseguenze. Da qui deriva la sua grande responsabilità.

Mi auguro che il nuovo presidente riesca a costruire una squadra capace. Già sette, otto anni fa sostenevo che al paese serviva un nuovo contratto sociale, un presidente con un programma che tutelasse i bisogni dei cittadini, attento a non demolire lo stato sociale che ancora sopravvive nel paese: servizi pubblici, infrastrutture, istruzione, sanità, energia, assistenza, pensioni. Un presidente pronto a contribuire al loro sviluppo, non a saccheggiarli e a privatizzarli. Che rispetti la costituzione della Romania, dov’è scritto nero su bianco che il diritto al lavoro, il diritto alla salute, l’istruzione, l’assistenza sociale – e non solo il diritto alla libertà di espressione – devono essere gratuiti.

Speriamo che stavolta i romeni riusciranno ad avere di meglio. E a evitare la violenza che aleggia nell’aria. ◆ mt

Vasile Ernu è uno scrittore romeno nato nel 1971 a Odessa (ex Unione Sovietica, oggi Ucraina). In Italia ha pubblicato Nato in Urss (2010) e Gli ultimi eretici dell’impero (2012).

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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati